26.01.2022 MERCOLEDI’ Ss TIMOTEO E TITO – Luca 10,1-9 “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Luca 10,1-9

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

Sempre continuando la PREGHIERA PER LA SETTIMANA DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, ci accompagnano nella Liturgia due grandi Santi, collaboratori di Paolo.

Timoteo, di padre pagano e di madre ebreo-cristiana, fu discepolo e collaboratore di Paolo e da lui preposto alla Chiesa di Efeso. Tito, anch’egli compagno di Paolo nell’attività missionaria, fu posto alla guida della Chiesa di Creta.

Questi due Vescovi delle primissime generazioni cristiane, erano stati ambedue convertiti da San Paolo.

Timoteo e Tito non erano israeliti, non appartenevano al Popolo eletto. Ambedue perciò impersonavano il primo grosso problema incontrato dalla Chiesa nascente. Il problema era questo: era lecito entrare nella Chiesa cristiana senza prima passare dalla Sinagoga ebraica? I pagani potevano essere battezzati direttamente, oppure il battesimo doveva essere riserbato soltanto ai circoncisi?

La questione venne affrontata dagli Apostoli, a Gerusalemme, verso l’anno 50, nel primo Concilio Ecumenico della Chiesa. La controversia fu vivace, ma San Paolo, per quanto israelita, sostenne le ragioni dei pagani convertiti, e in tal senso convinse anche gli altri Apostoli, e San Pietro, che dette autorità alle decisioni del concilio.

Timoteo, come detto, era figlio di una donna israelita e di padre gentile, cioè pagano. Egli rappresentava in qualche modo un punto d’incontro e d’intesa tra le due tendenze. Per rispetto al padre, la madre non l’aveva fatto circoncidere. Quando San Paolo giunse in Asia Minore, a Listra, patria di Timoteo, convertì la madre e battezzò il giovane, promettente figlio.

Tito, a sua volta, era proprio uno di quei pagani della Siria che, convertito da San Paolo, era entrato a far parte della Chiesa di Antiochia. Quattordici anni dopo, Paolo lo portò con sé a Gerusalemme, proprio nel momento cruciale della controversia circa il battesimo dei Gentili. L’Apostolo si oppose risolutamente alla circoncisione del cristiano di Antiochia, e Tito divenne così il vivente simbolo del valore universale del Cristianesimo, senza distinzioni di nazionalità, di razza e di cultura.

Diverso fu invece il comportamento di San Paolo nei confronti di Timoteo. Incontrandolo dopo alcuni anni, gli consigliò la circoncisione. Ciò sembrava in contrasto con i principi paolini, ma evidentemente l’Apostolo delle Genti voleva fare di Timoteo un missionario presso gli Ebrei.

Timoteo divenne così uno dei migliori e più assidui collaboratori di Paolo, docile e affettuoso, riflessivo e fedele. E fedele collaboratore dell’Apostolo fu anche Tito, eloquente e ispirato, zelante e irreprensibile.

Ambedue, Timoteo e Tito, furono latori delle lettere di San Paolo alle varie comunità cristiane.

Due lettere dell’Apostolo, importantissime, furono indirizzate proprio a Timoteo; un’altra lettera, anche questa fondamentale, venne indirizzata a Tito, che era restato ad evangelizzare l’isola di Creta, dove divenne Vescovo di Gòrtina, morendovi vecchissimo, verso la fine del primo secolo cristiano.

Timoteo, invece, inviato da Paolo ad organizzare la Chiesa di Efeso, divenne il primo Vescovo, amato e venerato, di quella grande città orientale, dove morì verso l’anno 97.

La tradizione ce lo consegna Martire, ucciso a colpi di pietra dai pagani della città, adirati perché il Vescovo cristiano si sarebbe opposto ai Baccanali, durante una festa pagana. Ma nessun documento conferma quest’ultimo capitolo della vita del fedele «figlio spirituale» di Paolo.

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

Nella pagina di vangelo di Luca che leggiamo oggi per festeggiare Timoteo e Tito, sono raccolti almeno tre consigli che Gesù aveva dato ai suoi per portare la buona notizia.

  1. andare! Gesù contestualizza ogni suggerimento di come dire e fare, dentro ad un movimento. I discepoli vanno verso le persone, entrano nelle loro case, non aspettano di essere cercati. Perché chi ha bisogno della buona notizia a volte non lo sa. E chi ha la buona notizia, la deve portare là dove non è ancora arrivata.
  2. in sobrietà, senza pretese, né di essere attesi, amati, riconosciuti, né di ricevere compensi per la propria presenza.
  3. presentarsi in pace, portando la pace! E se la pace è rifiutata, andarsene, senza neanche cominciare, né provocare o esasperare. La pace è la premessa per accogliere la buona notizia. La pace è un inizio che ritroviamo in noi come dono, ma che possiamo far crescere solo interagendo con gli altri. La pace si costruisce trafficandola, vivendo e lavorando insieme. Allora diventa possibile e si fa sinonimo di armonia, di disponibilità all’incontro con l’altro, senza pretese o attese esagerate nei confronti degli altri e di sé stessi. La pace però è difficile, basta rifiutarla per precludere ogni suo ulteriore sviluppo.

E mi piace la simbologia numerica.

Gesù aveva già inviato i Dodici (Lc 9,1-6), da lui scelti e chiamati apóstoloi, inviati, ma ora ne invia altri settantadue, tanti quanti il numero delle genti abitanti la terra secondo la tavola delle nazioni di Genesi 10 (nella versione greca dei LXX).

Li invia davanti a sé come precursori e preparatori della sua prossima venuta: quello che Giovanni il Battista aveva fatto prima che Gesù si manifestasse a Israele (Lc 3,1-18), ora lo fanno i discepoli, affinché il Signore trovi i cuori pronti ad accogliere la buona notizia del regno di Dio.

Ma la cosa che mi ha sempre incuriosito è questa. Perché Gesù dice ai discepoli “…quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto”.

Per rispondere bisogna conoscere un pochino la storia di quel periodo in Israele.

Al tempo di Gesù c’erano diversi movimenti come ad esempio, quello di Giovanni il Battista, dei farisei ed altri.

Molti di essi formavano comunità di discepoli (vi invito ad andare a vedere Gv 1,35; Lc 11,1; At 19,3) attraverso i loro missionari (Mt 23,15).

Ma c’era una grande differenza!

I farisei, per esempio, quando andavano in missione, erano prevenuti, perché sapevano di non poter mangiare ciò che la gente offriva loro, PERCHÉ IL CIBO OFFERTO NON ERA RITUALMENTE “PURO”.

Per questo, portavano borsa e denaro per potersi occupare del proprio cibo.

COSÌ INVECE DI AIUTARE A SUPERARE LE DIVISIONI TRA LA GENTE E CON LA GENTE, QUESTE OSSERVANZE DELLA LEGGE DELLA PUREZZA INDEBOLIVANO ANCOR PIÙ SIA LA LORO MISSIONE CHE IL VISSUTO DEI VALORI COMUNITARI.

Invece Gesù pretende dai suoi discepoli BEN ALTRO!

Al contrario degli altri missionari, i discepoli di Gesù non possono portare nulla, né borsa, né sandali. POSSONO E DEBBONO PORTARE SOLO LA PACE.

Ciò significa che devono aver fiducia nell’ospitalità della gente, perché il discepolo che va senza nulla, mostra che ha fiducia nella gente. Confida nel fatto che sarà ricevuto, E LA GENTE SI SENTE RISPETTATA E CONFERMATA. In questo modo il discepolo riscatta l’antico valore dell’ospitalità.

Non salutare nessuno lungo la strada significa, probabilmente, che non si deve perder tempo in cose che non appartengono alla missione.

I discepoli, poi, non devono andare di casa in casa, ma rimanere nella stessa casa. Cioè, devono partecipare alla vita ed al lavoro della gente del luogo e vivere di ciò che ricevono in cambio, perché l’operaio è degno della sua mercede. Ciò significa che devono aver fiducia nella condivisione.

Essi debbono poi avere la piena Comunione attorno al tavolo, mangiando ciò che la gente offre loro. Non debbono vivere separati, mangiando il proprio cibo.

Ciò significa che devono accettare la comunione e non possono vivere separati, per mangiare il loro cibo. E in questo contatto con gli altri non possono aver paura di perdere la purezza legale. Così facendo, annunciano un nuovo accesso alla purezza, all’intimità con Dio, dove tutto è condivisione per amore gli uni degli altri.

Ogni inviato dovrà sentirsi come il levita del salmo 16,5 che nella sua povertà proclama “Il Signore è mia porzione e mio calice”, perché confiderà solo nel Signore. Sarà povero, ma non misero, senza denaro con sé, ma umile, e attuerà innanzitutto un contatto personale, entrando nelle case, o incontrando sulle strade quelli che cercano la vita piena.

A questi “figli della pace”, della vita in pienezza, gli inviati augureranno lo shalom, ovvero la pace, e con loro entreranno in rapporti quotidiani tipici dei fratelli: ovvero mangiando e bevendo alla loro tavola, senza l’ossessione della purità delle persone e dei cibi…

In tutti gli inviati, poi, deve regnare e manifestarsi la gratuità, che essi mostreranno riversando le loro cure gratuitamente sui bisognosi, curandone i malati nel corpo, nella mente e nello spirito e annunciando a tutti che il regno di Dio è tra noi.

Questa pagina evangelica può sembrarci troppo dura nelle richieste relative allo stile missionario.

Ma in verità per ogni inviato si tratta di essere FIGLIO NEL FIGLIO, come dice Paolo di Tarso, vivendo la missione che il Figlio stesso ha ricevuto dal Padre quando è stato da lui inviato nel mondo.

Basta riferirsi alla missione di Gesù e non inventarci delle missioni “NOSTRE”, come siamo bravissimi a fare, soprattutto in un clima come quello attuale.

Siamo così tesi all’evangelizzazione degli altri che non si guarda più se l’inviato è evangelizzato o no, se assomiglia al suo Signore o se invece è preoccupato del numero degli ascoltatori e del risultato della sua propaganda del prodotto…

Il compianto Vescovo Don Tonino Bello, diceva:

  • “La pace va osata sulla parola di Cristo, non calcolata nei lambiccati dosaggi dei nostri equilibri”.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!