25.01.2022 MARTEDI’ CONVERSIONE DI SAN PAOLO – Marco 16,15-18 “Andate in tutto il mondo e annunziate il Vangelo”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Marco 16,15-18

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Marco è un evangelista che non spreca molte parole. Gli piace dipingere la situazione con pochi tratti, a volte molto marcati.

Quello di oggi è l’ultimo discorso di Gesù risorto ai suoi discepoli, prima di ascendere al cielo: si tratta del “mandato missionario”.

È NECESSARIO “PROCLAMARE IL VANGELO”, CIOÈ LA BUONA NOTIZIA DELL’AMORE CHE VINCE LA MORTE.

Questa predicazione sarà accompagnata da “segni” concreti: è una parola capace di tradurre nella realtà quotidiana l’amore di Dio.

Certo, i segni descritti da Marco non sono proprio quotidiani. Ma se andiamo oltre il genere letterario e grattiamo in profondità, scopriamo che sono tutti segni per gli altri.

Ma prima di entrare nel testo riflettiamo un secondo su un’altra figura di spicco primaria, per la SETTIMANA DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI. Che, non poteva che essere PAOLO DI TARSO, dopo la sua conversione avvenuta sulla via di Damasco.

San Paolo è l’unico santo del quale ricordiamo la conversione, oltre che la morte. E questo perché il suo percorso spirituale è diventato il modello per ogni cercatore di Dio che incontra il Cristo, rivelatore del Padre e dell’uomo.

L’Apostolo dei Gentili” si preoccupava al massimo DELL’UNITÀ DEL POPOLO DI DIO. Con il termine “gentili” si traduce in lingua italiana il plurale latino gentēs con il significato ecclesiastico di “pagani, non-cristiani“.

Quindi indica nel «linguaggio neotestamentario, chi non appartiene alla religione ebraica o chi, nel mondo greco romano, non era convertito al cristianesimo».

Un «appellativo, per lo più usato al plurale, con cui, nei primi secoli del cristianesimo, furono designate le genti non giudaiche (e quindi pagane) partecipi dei costumi e della cultura greca nel mondo romano»

Il latino gentēs è la traduzione del greco ecclesiastico éthnē, (“le nazioni“, “i popoli“, “le genti“), a sua volta traduzione dell’ebraico gōyīm (già presente, infatti, nella traduzione in lingua greca della Bibbia ebraica), qui inteso in particolare come i non ebrei.

Anche al contrario, fu proprio questa preoccupazione di aver a cuore L’UNITA’ DEL POPOLO DI DIO, il motivo che lo spinse a perseguitare i cristiani: egli, infatti, non poteva accettare neppure l’idea che ebrei appartenenti al suo popolo, si staccassero dalla tradizione antica.

E questo perché Saulo di Tarso, fariseo, era stato educato, come lui stesso afferma, alla esatta osservanza della Legge dei Padri ed era pieno di zelo per Dio.

Ai Giudei che lo ascoltano dopo il suo arresto egli paragona appunto il suo zelo al loro: “… pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi”.

È dunque possibile essere pieni di zelo per Dio, ma in modo sbagliato. E questo straordinario Apostolo, il cui nome non appare nei Vangeli e che non ha conosciuto Cristo nella carne, lo dice nella lettera ai Romani, al capitolo 10,2 “…Essi hanno molto zelo, ma non è uno zelo secondo Dio“, è uno zelo per Dio, ma concepito secondo gli uomini.

Questo Apostolo era già credente, fin troppo. Infatti, accecato dalla sua passione, non riusciva a vedere che il suo zelo era diventato SOLO DANNOSISSIMO FANATISMO.

Vorrei anche precisare due parole sul senso della conversione.

Quando parliamo di conversione, non intendiamo SOLO IL PASSAGGIO DELL’ATEO ALLA FEDE, MA ANCHE QUELLO -COME NEL CASO DI SAULO\PAOLO- DEL CREDENTE ALLA FEDE CORRETTA.

E questa conversione caratterizza la Chiesa, sempre pronta ad adeguare il proprio stile di vita alle esigenze che il Vangelo richiede.

La conversione sulla via di Damasco, per Paolo, non fu che l’inizio di una vita nuova in cui dovette affrontare numerosi cambiamenti. Immaginate che stava andando a Damasco per realizzare una strage di quanti si erano convertiti al Cristianesimo: una corrente eretica per gli israeliti, non solo osservanti ma anche duri di cuore e chiusi all’annunzio del Vangelo.

Ma Gesù lo raggiunge…. e Saulo cade… e guardate come brilla la simbologia!

Infatti, l’unico modo di salvare SAULO era quello di scaraventarlo in terra.

Infatti, spesso, la conversione passa proprio attraverso una caduta, un fallimento.

E Gesù lo sa, e fa cadere SAULO… che mentre è a terra, si ravvede… perché inizia a riflettere.

Poi però si rialza PAOLO, ormai cieco, PERCHÉ LA CECITÀ È LA CONDIZIONE DELLA SUA ANIMA! E in questa cecità dovrà restare fino a quando incontrerà un Anania tremante, davanti al a quel Saulo tristemente famoso, che egli ancora non sa esser diventato Paolo.

Fratelli e Sorelle, sempre la Parola passa attraverso le mani inadatte di qualche cristiano non all’altezza della situazione, CHE PERO’ SI FA STRUMENTO DI DIO. Infatti da Anania Paolo riceve IL BATTESIMO E LA LUCE, SIGNIFICATA DAL RECUPERO DELLA VISTA.

Eppure, alla fine del suo entusiasmante, sofferto e tormentato percorso, libero, si consegnò completamente a Cristo e morì martire della FEDE CRISTIANA.

Ma vediamo il testo evangelico.

Gesù aveva appena rimproverato gli Undici per la «loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto» (Mc.16,14); questo però non gli aveva impedito di affidare a loro la missione di evangelizzare il mondo. Nonostante la loro fragilità e i loro difetti. Perché per annunciare con efficacia il Vangelo non è assolutamente necessario essere robusti e dotti, MA OCCORRE ESSERE UMILI E FEDELI.

Se ricordate i brani evangelici dei giorni precedenti, avete notato che Gesù appare al gruppo degli UNDICI, è detto, perché Giuda Iscariota era ormai morto e non ancora sostituito.

Si trattava di persone che, chiamate da Gesù alla sua sequela, erano state coinvolte nella sua vita e avevano appreso da lui un insegnamento autorevole, durato almeno tre anni.

Poi, all’alba del mattino di Pasqua, avevano ascoltato da Maria di Magdala l’annuncio della resurrezione di Gesù (Mc 16,9-10), ma a lei “non credettero” (Mc 16,11).

Anche i due discepoli di Emmaus avevano raccontato come il Risorto si era manifestato sulla strada (Mc 16,12-13), “ma non credettero neppure a loro” (v. 13).

Per questo motivo, quando Gesù “alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore (sklerokardía), perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto” (Mc 16,14).

Gli Undici sono stati quindi preda del dubbio profondo. Sono stati increduli dopo la morte di Gesù come lo erano stati durante la sua sequela, quando egli era stato costretto a rivolgersi alla sua comunità dicendo: “Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non ascoltate?” (Mc 8,17-18).

E allora è lecito chiedersi, ma come potranno annunciare la buona notizia, se neppure loro credono?

Ma nonostante il persistere di questa poca fede, GESÙ INVIA PROPRIO LORO IN UNA MISSIONE SENZA CONFINI, VERAMENTE UNIVERSALE “…Andate in tutto il mondo, annunciate la buona notizia ad ogni Creatura”.

E da questo momento non ci saranno più le barriere del popolo eletto di Israele, non ci sono più i confini della terra santa: davanti a quei poveri discepoli titubanti c’è tutta la creazione!

E questo perché il Vangelo non può essere contenuto né in un popolo, né in una cultura, e neppure in un unico modo religioso di vivere la fede nel Dio unico e vero.

Gli Apostoli devono lasciarsi alle loro spalle terra, famiglia, legami e cultura, per guardare a nuove terre, a nuove culture, nelle quali il semplice Vangelo potrà essere seminato e dare frutti abbondanti.

Posso aggiungere che certamente GLI APOSTOLI SONO STATI PROVATI NELLA FEDE, AFFINCHÉ NON RIPONESSERO LA LORO FIDUCIA NELLE LORO FORZE, MA NEL MANDATO DEL SIGNORE.

Oggi la Chiesa è chiamata ancora ad un “nuova evangelizzazione”. Non nuova nel contenuto perché il Vangelo di Gesù è «…lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8).

Ma deve essere SEMPRE NUOVA “…nel suo ardore, nei suoi metodi, nelle sue espressioni”, ci ha ricordato il nostro amatissimo Papa, Giovanni Paolo II, parlando a Santo Domingo, nel 1992.

Gesù elenca cinque segni che accompagneranno gli annunciatori del Vangelo:

1.«nel mio nome scacceranno demòni»;

2.«parleranno lingue nuove»;

3.«prenderanno in mano serpenti»,

4.«se berranno qualche veleno, non recherà loro danno»;

5.«imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Tutti questi “segni” possono e debbono essere intesi come miracoli che sempre accompagneranno gli uomini di Dio.

Miracoli che dobbiamo credere possibili anche oggi, se veramente crediamo nel Signore Gesù.

Sempre ricordando, però, che in quanto miracoli essi dipendono dalla libera volontà di Dio e quindi, proprio in quanto tali, non possono essere considerati come abituali e necessariamente legati ad ogni atto dell’annunciatore del Vangelo.

Il miracolo è, per sua natura, una libera interferenza che Dio fa -PER AMORE- nel corso abituale e normale delle leggi della natura, e quindi è qualcosa di saltuario e indeducibile.

Gesù, salito al cielo, non ci ha abbandonati, ma vivendo nella gloria di Dio ha lasciato noi poveri uomini e donne a dare al mondo segni che egli è risorto e vivente, che lavora insieme a noi e conferma la nostra povera parola CON LA PAROLA POTENTE DEL VANGELO e con i segni del suo operare.

Papa Gregorio Magno, paragonandosi come apostolo ad una “sentinella”, diceva:

  • “Che razza di sentinella sono dunque io, che invece di stare sulla montagna a lavorare, giaccio ancora nella valle della debolezza? Però il creatore e redentore del genere umano ha la capacità di donare a me indegno l’elevatezza della vita e l’efficienza della lingua, perché, per suo amore, non risparmio me stesso nel parlare di Lui”.

E allora, Fratelli e Sorelle, animo! Come Paolo, anche noi dobbiamo avere il coraggio di testimoniare la nostra FEDE IN GESÙ donando tutto.

CERTO, NOI NON VERREMO DECAPITATI COME SAN PAOLO -SPERIAMO- MA SIAMO CHIAMATI A DARE TESTIMONIANZA DELLA NOSTRA FEDE.

In un mondo indifferente come il nostro, basta ricambiare le offese con parole di perdono; dare testimonianza di sobrietà di fronte al lusso. E accogliere tutti, cominciando dai bisognosi. Difendere la vita nascente o quella che sembra non aver senso. Accettare con senso cristiano la sofferenza che Dio permette, unendola alle sofferenze di Cristo sulla croce.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!