24.01.2024 – MERCOLEDI’ SAN FRANCESCO DI SALES – MARCO 4,1-20 “Il seminatore uscì a seminare”.
“«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).
Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.
E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo MARCO 4,1-20
+ In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno». Parola del Signore
Mediti…AMO
San Francesco di Sales (Thorens, Savoia, 21 agosto 1567 – Lione, Francia, 28 dicembre 1622, Vescovo e DOTTORE DELLA CHIESA), ha reso amabile la Chiesa in un tempo di lotte; è un esempio di dolcezza e ha saputo mostrare che il giogo del Signore è facile da portare e il suo carico leggero, attirando così molte anime.
A Parigi completa gli studi presso i Gesuiti che formano ottimi umanisti, brillanti per greco e latino, e cattolici ferventi.
A 11 anni il giovanissimo Francesco chiede la tonsura e sorride in silenzio, persino un po’ divertito, quando suo padre parla di farne un giurista e un senatore.
Nel collegio di Clermont si accosta alla Comunione eucaristica tutte le domeniche e i suoi compagni lo soprannominano “l’Angelo”.
Presto Clemente VIII lo consacra vescovo coadiutore di Annecy, con diritto di successione.
Ha 32 anni. Re Enrico IV lo vorrebbe a Parigi, dove Francesco va nel 1602: è stimato nel salotto di Madame Acarie, cenacolo di cultura e di fede, è ricevuto con onori dal card. De Berulle, popolo e nobili si accalcano sotto il suo pulpito.
Il Re gli offre di diventare vescovo di Parigi. Francesco rifiuta: «Sono già sposato con una povera donna [la diocesi di Annecy] e non posso lasciarla per una più ricca!». Morto il suo Vescovo, è lui il nuovo vescovo di Annecy, in una piccola diocesi savoiarda.
Ma quale Vescovo sarà! Per 20 anni potrà scavare il suo solco e piantare il suo seme. Intanto vive come un monaco, sempre con Dio e sempre a disposizione di chi lo cerca, «come – dice – un abbeveratoio pubblico».
Organizza scuole di catechismo e lui stesso va a insegnare ai bambini. Ai preti che non hanno parrocchia ordina di mettersi a servizio dei parroci e delle anime e di non fare gli scansafatiche.
Non ha ancora un seminario, ma provvede di persona tramite i preti migliori, alla formazione del clero, un clero che vuole incentrato in Gesù.
Ogni domenica celebra la Messa nella sua cattedrale e predica al popolo, ascoltatissimo, mediante colloqui familiari, dal tono delicatissimo, pieni di esempi, di domande e di risposte, con stile bonario e fortissimo, che certamente non rende antipatico Gesù, ma attira e affascina a Lui.
Commenta: «Non ditemi che sono un grande predicatore, ma ditemi, se lo sono, che sono buono, servo di Gesù e delle anime».
Lui stesso è un uomo affascinante, ma di una purezza celestiale. Colpisce in lui soprattutto la sua mitezza, la sua carità (una volta, per via, si toglie le scarpe e le dona a un povero che non le ha!).
Non urta mai con frasi severe, ma non fa sconti né è ambiguo sulla Verità che è pure sempre la prima misericordia e la più grande carità. Ha buon senso, prudenza, una fortezza come di diamante, nell’affrontare dispute con i calvinisti, che però sentono il suo amore di Padre, stile Gesù.
Vuole formare anime forti in tutti i ceti sociali, tra i preti, i religiosi, gli sposi, a cominciare dalla donna, che ritiene per natura un’innamorata di Dio, una “Filotea”, e con questo titolo scrive il suo libro più famoso e più diffuso, bellissimo ancora oggi.
Per chi è chiamato a una forma più alta di santità, scrive il Trattato dell’amore divino – il Teotimo –, guida per i mistici, ma intanto afferma e spiega che la santità è per tutti, che va tradotta e declinata nella vita quotidiana della suora come della madre di famiglia, del prete come del soldato e del commerciante, del contadino come del giurista.
Bellissime a riguardo sono le sue Conversazioni spirituali e le migliaia di Lettere di direzione che scrive ai figli e alle figlie spirituali sparsi per la Francia, l’Italia e l’Europa.
Insomma, si tratta di un umanesimo cristiano: Francesco di Sales ama l’uomo e lo vede redento da Cristo sulla Croce, pertanto degno di amore e di cura per la sua salvezza eterna: Francesco di Sales ama l’uomo perché ama follemente Dio.
Non l’umanesimo centrato sull’uomo da solo, sui suoi presunti “diritti civili”, come è in voga oggi, ma un umanesimo cristo-teocentrico. Fiducia nell’uomo? Sì, ma nell’uomo redento da Cristo, confidenza in Gesù l’unico Redentore dell’uomo. È la vocazione universale alla santità.
E un vero riposo per l’anima contemplare questo santo, leggere i suoi scritti, tale è la carità, la pazienza, l’ottimismo profondo che da essi si sprigiona.
Qual è la sorgente di questa dolcezza? Essa viene da una grandissima speranza in Dio.
Nella vita di san Francesco di Sales si racconta che nella sua giovinezza visse un periodo di prove terribili in cui si sentiva respinto da Dio e perdeva la speranza di salvarsi.
Pregò, fu definitivamente liberato e da allora fu purificato dall’orgoglio e preparato a quella dolcezza che lo contraddistinse.
Non faceva conto su di sé: aveva sentito con chiarezza quanto fosse capace di perdersi, come da solo non potesse giungere alla perfezione, all’amore, alla salvezza e questa consapevolezza lo rendeva dolce e accogliente verso tutti.
Ma più ancora dell’umiltà quella prova gli insegnò la bontà del Signore, che ci ama, che effonde il suo amore nel nostro cuore.
San Francesco esultava di gioia al pensiero che tutta la legge si riassume nel comandamento dell’amore e che nell’amare non dobbiamo temere nessun eccesso.
Scrisse un lungo Trattato dell’amore di Dio e anche un libro più semplice, ma delizioso: Introduzione alla vita devota.
Quest’ultimo lo compose capitolo per capitolo scrivendo lettere ad una giovane donna attirata da Dio.
Parlandone a santa Giovanna de Chantal (istituì, insieme a santa Giovanna di Chantal, l’Ordine della Visitazione), che già conosceva diceva di aver scoperto un’anima che era “tutta d’oro” e che egli cercava di guidare nella vita spirituale.
Non riuscì però ad estendere il suo apostolato come avrebbe voluto.
Non potè mai risiedere a Ginevra sua città episcopale, diventata roccaforte dei calvinisti che gliene proibirono l’accesso sotto pena di morte.
Tentò una volta a rischio della vita ma inutilmente.
Avrebbe potuto provare dispetto e amarezza di fronte a questo ostacolo insormontabile, ma la sua fiducia e il suo amore lo mantennero nella profonda pace di chi compie l’opera di Dio secondo le proprie possibilità.
Anche questo è un trionfo della pazienza e della mitezza: non irrigidirsi, non amareggiarsi davanti a difficoltà che non si riesce a vincere ma continuare a vedere dovunque la grazia del Signore e a rendere amabili le sue vie.
Domandiamo al Signore che ci faccia assomigliare a questo santo nella sua pazienza, dolcezza, semplicità, fiducia, che lo resero così simile a Gesù mite e umile di cuore.
MA VENIAMO AL TESTO ODIERNO.
L’evangelista Marco ci dice che la fede nasce come risposta alla Parola che Dio ci rivolge, anzitutto attraverso i vangeli.
Parola che noi conosciamo poco e male, tuttalpiù pensiamo che abbia a che fare con la nostra vita morale, o che, al massimo, insegni cose giuste e buone, ma nulla di più.
Ma se davvero credessimo che in quella Parola si trova il segreto della nostra vita, che in essa ci sia quella lettera d’amore che Dio ci rivolge, non faremmo di tutto per accoglierla e capirla?
Dio, spesso con parabole, semina con abbondanza la sua Parola, e anche se il nostro cuore è sassoso e duro, sa che la Parola può vincere la resistenza della nostra insensibilità e sbocciare.
Ma ciò che è importante è che noi ascoltiamo! “Shemà Israel”- “Ascolta Israele!”, è il primo e grande comandamento per Israele.
E il SIgnore conosce bene questo appello e lo rende fattibile parlando alle folle in modo semplice e chiaro, usando spesso il genere “parabola”, cioè immagini che la gente conosce perché fanno parte della propria vita di agricoltori, pescatori, pastori, donne di casa.
Per mezzo delle parabole, Gesù aiutava la gente a percepire la presenza misteriosa del Regno nelle cose della vita.
Una parabola è un paragone. Lui usa le cose conosciute e visive della vita per spiegare le cose invisibili e sconosciute del Regno di Dio.
Ad esempio, la gente della Galilea capiva quando si parlava di semi, di terreno, di pioggia, di sole, di sale, di fiori, di pesci, di raccolto.
E allora l’ascolto era suscitato anche dal fascino di chi parlava con immagini che comunicavano da sole la vita quotidiana nella sua bellezza e concretezza.
Le folle seguivano un Maestro che sapeva parlare il loro linguaggio.
Erano pronte anche a rimanere senza cibo perché la voce di Gesù diventava pane per la loro vita.
E per noi? È la stessa cosa?
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!