23.11.2022 – MERCOLEDI’ 34^ SETTIMANA P.A. C – LUCA 21,12-19 “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 21,12-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Prima della distruzione di Gerusalemme, i cristiani sono stati perseguitati dai giudei e dall’impero romano, come ci descrive Luca negli Atti degli apostoli.

Essi sono colpiti per la loro fede in Gesù “A causa del mio nome“, perché essere cristiani è un reato e seguendo Gesù si rischia di entrare nel numero dei malfattori.

Ma l’evangelista invita a tener presenti anche i risvolti positivi delle persecuzioni.

Esse offrono occasioni di testimoniare il Signore con la vita e le parole.

L’azione giudiziaria serve alla predicazione, il carcere, all’attività missionaria e il vangelo di Gesù viene annunziato attraverso le sofferenze dei martiri. Perché il loro esempio è più eloquente dell’annuncio dei predicatori.

I cristiani di Gerusalemme, costretti a fuggire dalla città, portano il vangelo nelle campagne della Giudea e della Samaria (At 8,1-4) e giungono fino in Fenicia, a Cipro e ad Antiochia (At 11,19; 15,3).

Pietro, Giovanni, Stefano sono condotti davanti al sinedrio, Paolo davanti ai governatori romani, e tutti recano il messaggio di Cristo là dove altrimenti non sarebbe mai arrivato.

Paolo scriverà ai Filippesi, (Fil 1,12-14), che la sua carcerazione è una ottima occasione per annunciare il vangelo:

  • “Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo, al punto che in tutto il pretorio e ovunque si sa che sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno”.

La fedeltà a Cristo mette i discepoli in contrasto con tutti coloro che non accolgono la fede cristiana. Se Gesù e la sua parola sono rifiutati, anche i cristiani saranno rifiutati.

Gesù infatti ha detto:

  • Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15,18).

Lo storico romano Tacito riassume così il suo giudizio sui cristiani “Odiosi all’intero genere umano“.

Eppure i discepoli perseguitati a causa della loro fede in Gesù si trovano paradossalmente in perfetta sicurezza.

La loro sensibilità può essere sconvolta; nel profondo del cuore, però, sono tranquilli, nella pace.

Trascinati davanti ai tribunali, non dovranno nemmeno più preoccuparsi di preparare la loro difesa, perché sarà Gesù stesso a farlo “…Io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere” (Lc 21,15).

Effettivamente avverrà, infatti noi sappiamo che gli avversari di santo Stefano “non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava” (At 6,10).

I discepoli di Gesù sanno che, perdendo la loro vita per lui, la salvano (Mt 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24). Niente sarà perso, “…nemmeno un capello del vostro capo perirà” (Lc 21,18).

Anche se abbandonato da tutti, come Paolo nel suo ultimo processo (2Tm 4,16), il vero discepolo ha il Signore vicino, che gli dà forza (4,17) e lo libererà da ogni male, salvandolo per il suo regno eterno (4,18).

La sola cosa importante, quindi, è che la nostra relazione personale con Cristo sia autentica. Lo è davvero?

Se viviamo veramente per lui, niente ci può nuocere, tutto diventa occasione di progresso e di vittoria. In tutte le prove, “siamo più che vincitori, per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,37).

Il cristiano è colui che per vocazione deve resistere fino alla fine con la pazienza, che non è rassegnazione, ma resistenza costante e inflessibile.

Nel libro dell’Apocalisse leggiamo “Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la perseveranza e la fede dei santi” (13,10). Ù

Per questa via il fedele giungerà alla vita eterna.

La pazienza è la caratteristica di Gesù che si fa carico del male. E anche il discepolo viene associato al suo mistero di morte e risurrezione: perdendo la vita, la salverà (Lc 9,24).

Ecco allora che, nel martirio, il cristiano acquista la propria identità con Gesù, il Figlio morto e risorto.

Quando parliamo di martiri, pensiamo sempre alle prime comunità cristiane, ci immaginiamo spietati e corrotti imperatori romani sacrificare inermi famiglie cristiane gettandole in pasto ai leoni.

Un calcolo approssimativo ci dice che in questi due millenni circa 40 milioni di cristiani hanno perso la vita con violenza e la metà di essi nell’orribile secolo XX’, appena trascorso, il secolo dei progressi, della tecnologia, dei viaggi spaziali, quel secolo ha visto una vera e propria vendemmia di cristiani, una carneficina che ha accomunato la sorte di tanti fratelli alle sorti degli ebrei nei campi di sterminio, o dei sacerdoti nei gulag sovietici, o nei più recenti integralismi nelle non lontane Filippine o in Somalia.

Fratelli e sorelle come noi, discepoli del Maestro, uccisi senza una ragione, spazzati via dall’odio etnico.

Davanti a questi fratelli siamo chiamati a interrogarci sul nostro cristianesimo da poltrona, sui nostri troppi e inopportuni silenzi durante quelle discussioni impregnate di pregiudizi, e su quelle occasioni – che abbiamo accuratamente evitato – in cui eravamo obbligati a rendere testimonianza, e non lo abbiamo fatto.

Testimonianza di amore e di dialogo, di fermezza, capace di porre interrogativi, di suscitare brecce nelle incrollabili e pagane certezze della nostra modernità.

Spesso dimentichiamo che i cristiani sono uomini e donne “controcorrente”. E questo è normale, poiché il mondo è segnato dal peccato, che si manifesta in varie forme di egoismo e di ingiustizia.

Per cui, chi segue Cristo cammina in direzione contraria.

Non per spirito polemico, ma per fedeltà alla logica del Regno di Dio, che è una logica di speranza, e si traduce nello stile di vita basato sulle indicazioni di Gesù.

Perché lo svolgersi della storia è segnato dalla continua lotta tra il bene e il male. Il cristiano non può esimersene, ma deve prendere posizione.

Eppure quello che emerge anche da queste pagine di sapore apocalittico è l’esortazione a una grande fiducia. Non c’è da tormentarsi per quello che dobbiamo pensare e dire. Le ragioni del male hanno, sostanzialmente, un’intrinseca debolezza.

Mentre le ragioni del bene sono sostenute dalla Parola stessa del Signore.

Ecco perché non dobbiamo temere. Se restiamo fedeli a contattare la Parola, ad adorare Cristo nel nostro cuore, se siamo sensibili e docili allo Spirito con delicatezza di coscienza, non abbiamo nulla da temere.

Troveremo nel nostro cuore e nella nostra mente, illuminati e guidati dallo Spirito, la luce del retto pensare e del retto parlare. Anzi, proprio dentro il contrasto, la derisione a volte e perfino la persecuzione, ci saranno utili per essere “testimoni” di Dio, della verità, del bene.

Non c’è nulla che venga a nuocere a tal punto da non lasciar spazio all’azione del Signore della vita, della positività, che porta sempre alla vittoria: in profondità e in durata.

Gesù ci assicura che la liberazione è vicina.

Certo questa liberazione non sarà indolore, ci sarà da soffrire, ma noi sappiamo che Gesù sta sempre dalla parte dei perseguitati, mai da quella di chi perseguita, anche se chi perseguita pretende di farlo in nome suo.

Ha detto un Padre della Chiesa, San Cirillo di Gerusalemme:

  • “Vuoi conoscere come i martiri rendono testimonianza per la virtù dello Spirito Santo? Ascolta allora quanto dice il Salvatore ai suoi discepoli: Quando vi trascineranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non datevi pensiero del modo come vi difenderete o di che cosa dovete dire, giacché lo Spirito Santo vi insegnerà, in quel momento, come bisognerà parlare (Lc 12,11-12). Sarebbe infatti impossibile rendere testimonianza a Cristo, se non la si rendesse nello Spirito Santo”.

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!