23.03.2022 – MERCOLEDI’ 3′ SETTIMANA QUARESIMA C – MATTEO 5,17-19 “Chi invece osserverà e insegnerà i miei precetti…”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo MATTEO 5,17-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

La Torah, ovvero “la Legge” e la dottrina dei Profeti sono state la grande ricchezza d’Israele.

Circondato da popoli non solo di culture diverse ma del tutto idolatri, gli Israeliti erano riusciti, nei secoli, a rimanere monoteisti, adoratori dell’UNICO VERO DIO.

Ed erano stati sempre bene attenti a mettere in pratica l’insegnamento di Abramo, d’Isacco, di Giacobbe e soprattutto a regolare il proprio cammino esistenziale, alla luce del Decalogo che Mosè ricevette da Dio, sul monte OREB.

In questo contesto, Gesù chiarisce nel Vangelo di oggi, la sua posizione di fronte alla Legge di Mosè e al messaggio spirituale dei Profeti dell’Antico Testamento.

Tanto più che nella Chiesa del tempo di Matteo era ancora vivo il dibattito tra opposte tendenze su quale fosse il rapporto di Gesù con le Scritture dell’AT. E c’erano due fazioni composta da:

  • chi proclamava che egli era venuto come un liberatore, ad abolire e annullare la Legge di Mosè.
  • e chi al contrario sosteneva che il suo compito era stato solo quello di sottoscrivere fin nei minimi dettagli, tutto ciò che vi era già scritto.

E in tutto ciò, chi ce l’aveva con Gesù, lasciava serpeggiare invidia e gelosia.

Così i miracoli e la Parola del Signore che affascinava le folle, suscitarono un astio profondo verso di lui.

Proprio i dottori della legge con gli scribi e farisei cercavano di sobillare la gente buona ma ignorante, calunniando Gesù come se fosse un sovvertitore della peggiore razza.

Per questo Gesù cerco di fare chiarezza. No, non era affatto venuto a buttar tutto all’aria ma a “dare compimento.”

Ed aveva sottolineato che non si era limitato a confermare semplicemente ciò che era stato detto dal Padre. Ma era invece venuto a portare la rivelazione definitiva della Volontà di Dio.

E la Legge antica aveva trovato, nella SUA PAROLA e nella testimonianza della sua vita il pieno compimento che le mancava, perché Egli era venuto a svelarne il senso racchiuso, realizzandolo in primo luogo nella sua persona e rivelandone il pieno significato.

Anche per Gesù resta vero che “Mosè ricevette la Torah sul Sinai, la trasmise a Giosuè, Giosuè la trasmise agli anziani e gli anziani ai profeti:

Ma proprio in nome della sua autorità messianica egli ne dà l’interpretazione ultima e definitiva, PRECLUDENDO OGNI ALTRA ULTERIORE RIVELAZIONE.

ESSENDO EGLI LA PAROLA INCARNATA DEL DIO VIVENTE.

Matteo è stato molto intrigato dal rapporto fra tradizione e novità del Vangelo, perché si indirizzava a comunità cristiane di Siria e Palestina, nelle quali erano presenti numerosi giudeo-cristiani, che si interrogavano su cosa potesse essere tralasciato delle minuziose prescrizioni rabbiniche.

Vi erano allora, come ancora oggi, conflitti fra tradizionalisti e innovatori, fra zelanti della Legge fino al legalismo e cristiani più sensibili al mutamento dei tempi e della cultura.

Quindi, alla luce di quanto detto da Maestro:

  • se da una parte, non esiste alcuna rottura col passato,
  • dall’altra parte ciò non significa che la continuità si riduceva a mera ripetizione e semplice conferma di esso.

Ma, comprendere la Legge, certamente implicava una novità interpretativa e innovatrice propria di Gesù.

E il Cristianesimo, anche oggi nei confronti della fede ebraica, è proprio questo e non altro.

Ma Israele non ha capito e mai capirà che la libertà non si raggiunge uscendo dalla Legge, ma scendendo nel profondo di essa, MA NEL MODO GIUSTO.

Secondo il primo vangelo, quello di Matteo, Gesù resta fedele alla Torah, non la sostituisce con un insegnamento altro, ma con autorevolezza, rivela, alza il velo sulla Legge e ne svela la giustizia profonda, perché sia possibile al discepolo una sua osservanza autentica.

Per Gesù non è sufficiente l’osservanza indicata dai teologi del tempo, interpreti ufficiali delle Scritture (gli scribi), né quella propria dei credenti impegnati e osservanti, associati nei movimenti (i farisei): vuole una giustizia superiore, più abbondante, che superi quella indicata dalle scuole rabbiniche e fissate nella casistica.

Gesù vuole inoltre che quella giustizia predicata sia osservata, vissuta da parte di chi la indica agli altri, perché proprio da questo vissuto dipendono lo stile e il contenuto di ciò che si predica agli altri.

Alla casistica proposta dalla tradizione, Gesù oppone la semplicità del linguaggio, la verità delle parole.

Ovvero possiamo dire che GESÙ INVITA ALLA RESPONSABILITÀ DELLA PAROLA.

Il nostro parlare dev’essere talmente limpido da non aver bisogno di chiamare le realtà sante a testimone di ciò che vogliamo esprimere.

Se il nostro parlare, COINCIDE CON IL PARLARE DI DIO, non sono necessari garanti della verità che esprimiamo.

Non dimentichiamo mai che Dio non è al nostro servizio e non interviene certo a punire le nostre menzogne, almeno in questa vita.

E allora quando uno dice sia “”, sia “”, e quando dice “no”, sia “NO”, PERCHÉ IL DI PIÙ VIENE DAL MALIGNO”, che “è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44):

  • 44voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna.

Nessun “cuore doppio” (Sal 12,3), nessuna possibilità di simulazione per il discepolo di Gesù, nessun tentativo di dire insieme “sì” e “no”:

  • 3Si dicono menzogne l’uno all’altro, labbra bugiarde parlano con cuore doppio.

Non è forse Gesù stesso “l’Amen di Dio” (Ap 3,14), il “Sì” di Dio alle sue promesse, come predica Paolo di Tarso nella sua 2Cor 1,19-20?

  • 19Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu ‘sì’ e ‘no’, ma in lui c’è stato il ‘sì’. 20E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute ‘sì’. Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria.

L’essere umano rispetto agli animali ha il privilegio della parola, ma questo mezzo così umanizzante per sé e per gli altri è uno strumento fragile…

IL DOMINIO DELLA PAROLA È DAVVERO ALLA BASE DELLA SAPIENZA UMANA.

Quella di Gesù non è dunque una “nuova legge”, o una “nuova morale”, MA È L’INSEGNAMENTO DI DIO DATO A MOSÈ, INTERPRETATO CON AUTORITÀ, RISALENDO ALL’INTENZIONE DEL LEGISLATORE STESSO.

SOLO GESÙ, IL FIGLIO DI DIO, IL VERBO ETERNO DI DIO, LA SUA PAROLA VIVENTE, POTEVA FARE QUESTO.

E, alla luce di quanto detto, come non regalarvi questa mattina le parole stupende di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI:

  • “«Dal Messia – scriveva nel primo libro della sua trilogia su Gesù – ci si aspettava che avrebbe portato a una Torah rinnovata, la sua Torah. La maggior parte del Discorso della montagna è dedicata» a questo «tema: dopo l’introduzione programmatica costituita dalle Beatitudini, esso ci presenta per così dire la Torah del Messia.

Ma come si presenta questa Torah del Messia? Subito all’inizio troviamo una parola sempre sorprendente, che chiarisce inequivocabilmente la fedeltà di Dio a sé stesso e la fedeltà di Gesù alla fede di Israele: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt 5, 17-19).

Non si tratta di abolire, ma di portare a compimento e questo compimento esige un di più non un di meno quanto a giustizia, come Gesù afferma subito dopo: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (5,20).

Si tratta dunque solo di un rigorismo inasprito nell’obbedienza alla Legge? O che altro è questa giustizia più grande? Se così all’inizio della nuova lettura di parti essenziali della Torah l’accento viene posto sulla massima fedeltà, sulla assoluta continuità, nel prosieguo dell’ascolto si nota che Gesù illustra il rapporto tra la Torah di Mosè e la Torah del Messia mediante una serie di antitesi: fu detto agli antichi – ma io vi dico.

L’Io di Gesù risalta in un grado che nessun maestro della Legge può permettersi. Come dobbiamo intendere, allora, questa Torah del Messia? Che strada ci indica? Gesù intende sé stesso come la Torah – la parola di Dio in persona. Il grandioso Prologo del Vangelo di Giovanni – “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” – non dice niente di diverso da quanto afferma il Gesù del Discorso della Montagna.

Gesù non fa niente di inaudito o di nuovo quando contrappone alle norme casuistiche, pratiche, sviluppate nella Torah, la pura volontà divina come la “maggiore giustizia” (Mt 5,20) che ci si deve aspettare dai figli di Dio.

Nelle antitesi del Discorso della montagna Gesù ci sta davanti non come un ribelle né come un liberale, ma come l’interprete profetico della Torah che Egli non abolisce, ma porta a compimento» [6].

È un Gesù assetato di giustizia, ma di una giustizia diversa da quella degli uomini che ha di fronte; è un Gesù misericordioso, che troverà misericordia – nella Risurrezione – presso il Padre, dopo aver acconsentito che su se stesso si facesse giustizia per il peccato degli uomini.”

Ha detto il Vescovo S. Agostino, nella sua Omelia 7,8, sulla Epistola di Giovanni:

  • «Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene».

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!