23.02.2022 – MERCOLEDI’ SAN POLICARPO – MARCO 9,38-40 “Chi non è contro di noi è per noi”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo MARCO 9,38-40

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

Policarpo (69-155), discepolo dell’evangelista Giovanni, fu eletto dagli Apostoli stessi, vescovo di Smirne (attuale Izmir, Turchia).

Nel 107 è testimone di un evento straordinario: il passaggio per Smirne di Ignazio, vescovo di Antiochia, che va sotto scorta a Roma dove subirà il martirio, decretato in una persecuzione locale.

Policarpo lo ospita durante la sosta, e più tardi Ignazio gli scrive una lettera che tutte le generazioni cristiane conosceranno, lodandolo come buon pastore e combattente per la causa di Cristo.

Trattò con Papa Aniceto per definire la data della Pasqua.

All’età di ottantasei anni coronò la sua vita con il martirio (23 febbraio 155). Dopo il suo ritorno a Smirne scoppia una persecuzione.

L’anziano vescovo (ha 86 anni) viene portato nello stadio, perché il governatore romano Quadrato lo condanni.

Quadrato vuole invece risparmiarlo e gli chiede di dichiararsi non cristiano, fingendo di non conoscerlo.

Ma Policarpo gli risponde tranquillo “Tu fingi di ignorare chi io sia. Ebbene, ascolta francamente: io sono cristiano“.

Rifiuta poi di difendersi di fronte alla folla, e si arrampica da solo sulla catasta pronta per il rogo.

Non vuole che lo leghino. Verrà poi ucciso con la spada. Sono circa le due del pomeriggio del 23 febbraio 155.

Il racconto che attesta la sua passione è il più antico documento sul culto dei martiri.

La sua preghiera sul rogo della immolazione finale è un prolungamento della liturgia eucaristica.

Tra le lettere di Policarpo alle comunità cristiane vicine alla sua, si conserverà quella indirizzata ai Filippesi, in cui il vescovo ricorda la Passione di Cristo “…Egli sofferse per noi, affinché noi vivessimo in Lui. Dobbiamo quindi imitare la sua pazienza… Egli ci ha lasciato un modello nella sua persona“.

Policarpo quella pazienza l’ha imitata.

Ed ha accolto e realizzato pure l’esortazione di Ignazio, che nella sua lettera prima del martirio gli scriveva “…Sta’ saldo come incudine sotto i colpi“.

 

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

I guaritori del tempo passato, invocavano l’aiuto di grandi uomini del passato per cercare di guarire chi si rivolgeva alla loro preghiera. Anche facendo gesti magici e scaramantici, in una cultura che legava strettamente la malattia all’opera del maligno.

In questo scenario, qualcuno fra questi guaritori, aveva probabilmente deciso di inserire nel nome dei grandi da invocare, anche Mosè, Abramo, Salomone… e infine (…perché no?), anche la nuova stella emergente, quel tal Gesù, il galileo.

Invece di sorridere a questa ingenuità Giovanni, il discepolo prediletto, il mistico, si preoccupa e riferisce il fatto al Signore, facendosi portavoce di una mentalità gretta, fatta di barriere e di muri, per la quale non conta la vita piena dell’uomo, il vero progetto di Gesù, ma la difesa identitaria del gruppo, e conta solo il loro progetto deviato.

Mettono quindi l’istituzione prima della persona, la loro idea prima dell’uomo: il malato può aspettare, la felicità può attendere.

Come si permette, quel tale, di guarire nel nome di Gesù senza essere del gruppo? Senza essere discepolo?

Gesù sorride e ridimensiona l’allarmato apostolo “…non sono queste le cose importanti. Va bene così, lascia fare, nessuno invoca il mio nome e mi è nemico”.

La protesta di Giovanni ricorda quella di Giosuè, colui che “dalla sua giovinezza era al servizio di Mosè” (Nm 11,28).

Costui vedendo che lo Spirito scendeva anche su alcuni uomini che non avevano partecipato alla cerimonia di investitura profetica, corre da Mosè e protesta “…Mosè, signore mio, impediscili!”.

Ma Mosè gli rispose “…Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dar loro il suo spirito!” (Nm 11,29).

Gesù, quando aveva convocato i Dodici, li aveva invitati a stare con lui e a predicare, con la capacità di espellere i demòni (Mc 3,14-15).

Ma i Dodici sono incapaci di esercitare questa azione liberatrice, in quanto essi stessi condizionati dalla mentalità nazionalista che vedeva nel Messia il trionfatore (Mc 9,28).

Giovanni pertanto aveva preteso di impedire all’individuo di esercitare quella capacità che Gesù aveva concesso ai Dodici (Mc 6,7) ma che essi non erano stati capaci di esercitare.

Fratelli e Sorelle, non dimentichiamo mai che chiunque compie opere di guarigione e liberazione dal male viene da Dio. DIO DUNQUE, CI CHIEDE NON SOLO TOLLERANZA, MA COMPIACIMENTO, ACCOGLIENZA E POSSIBILMENTE COLLABORAZIONE.

E mi viene in mente Papa Giovanni XXIII’ quando diceva:

  • “cerchiamo sempre ciò che ci unisce, mai quello che ci divide”.

Gli Apostoli dimenticano che il Vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione.

Infatti Gesù sorprende i suoi: chiunque aiuta il mondo a liberarsi e fiorire è dei nostri. Semini amore, curi le piaghe del mondo, custodisci il creato? Allora sei dei nostri. Sei amico della vita? Allora sei di Cristo.

Perché seguire Cristo è PRATICARE NELLA VITA L’AMORE VERSO TUTTI I FRATELLI, ANCHE SE NEMICI, perché il Signore fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi (Mt.5,43-48).

Gesù era l’uomo senza barriere, uomo senza confini, il cui progetto era uno solo: “voi siete tutti fratelli”.

Mi piace ritornare alle origini della Fede, quando un teologo e filosofo greco antico, Origene Adamantio, di Alessandria (185-254, direttore della scuola catechetica di Alessandria) diceva “…gli esseri umani sono tutti dei nostri e noi siamo di tutti, siamo gli amici del genere umano”.

Non si può imbrigliare il Nome di Gesù, la potenza dello Spirito Santo contro il male e il demonio. La potenza di Dio si rivolge dove vuole, quando vuole e con chi vuole, secondo un disegno prestabilito da Dio.

Mi piace ciò che ha scritto tempo fa S.E. Corrado Sanguineti, Vescovo di Pavia:

“La Chiesa non è una setta che si distanzia da tutti, non è fatta da chi “segue noi”, ma da chi, con noi, segue e ascolta l’unico Signore e Maestro: Cristo, fin dagli inizi, non crea una massa di gregari, ma un popolo di persone e ognuno diventa sé stesso proprio nel mistero del suo rapporto irriducibile e unico con Gesù vivo e presente. La nostra unità di credenti nasce dal seguire Lui, il pastore che ci conduce fuori dai nostri steccati, dalle nostre misure, e ci muove a incontrare tutti, iniziando dai lontani, dai perduti, da coloro che sembrano più distanti da Dio: nell’allegoria giovannea un solo è il pastore, Gesù, uno solo è il gregge, ma non unico è l’ovile (Gv 10,16), il pastore ha altre pecore e anche queste deve cercare e curare. Dunque, nella breve scena di Marco, è suggerita e proposta la vera immagine di Chiesa, una comunità visibile, che al centro non ha sé stessa, ma Cristo, una comunità – direbbe papa Francesco – “decentrata”, tutta tesa ad amare e a servire il suo Signore, e così aperta a tutti, con libertà, con umiltà, con magnanimità.”

Ecco una sana apertura al vero cristianesimo, ecco il compito della Chiesa: Non siamo chiamati a fare proselitismo, ma a portare e a diffondere ovunque la luce di Cristo.

Il bene non si può né colorare né frantumare. Se è autentico, ha un’unica fonte: Dio.

Tutto quello poi che si fa nel Nome del Signore Gesù non può non avere le connotazioni del vero bene: perché il Signore è il nostro avvocato presso il Padre e ci ha solennemente promesso che tutto quello che chiederemo al Padre nel Suo Nome ci verrà concesso.

La chiesa nella liturgia ha fatto suo questo monito e termina tutte le sue orazioni nel Nome del Signore Gesù Cristo.

È il Signore che ispira i cuori perché facciano il bene.

È lo Spirito Santo che ispira quest’uomo, di cui parla il Vangelo di questo giorno, a scacciare i demoni nel Nome di Gesù.

Chi opera nel Nome del Signore non può dire ad un altro che lavora anche lui nel Nome del Signore di non operare.

Sarebbe come se lo Spirito Santo contraddicesse sé stesso o impedisse ad un vero profeta di profetizzare.

Poiché lo Spirito Santo non può contraddire sé stesso, chi proibisce di operare a colui che agisce nello Spirito Santo, di certo non è nello Spirito Santo.

Chi è nello Spirito del Signore riconosce sempre lo Spirito del Signore, qualsiasi cosa Lui faccia attraverso gli uomini.

E dunque, ogni individuo è un uomo che, con la potenza dello Spirito, porta a compimento la stessa attività di Gesù, senza appartenere al numero dei Dodici e senza essere chiamato discepolo, o Apostolo.

Un piccolo particolare sulla frase “chi non è contro di noi è per noi” sembra essere tratto dalla sapienza antica. Mons. Gianfranco Ravasi annota che l’espressione era già usata da Cicerone in una celebre orazione: «noi giudicavamo nemici tutti quelli che non erano con noi; tu giudicavi tuoi amici tutti quelli che non erano contro di te» (Pro Ligario 33).

Quel che determina essere o no con Gesù È L’ATTIVITÀ.

Se l’individuo agisce a favore dell’uomo, Gesù non lo considera un suo rivale, bensì suo collaboratore.

L’insegnamento dell’evangelista è carico di conseguenze: si può benissimo collaborare attivamente con Gesù senza dover appartenere a quei gruppi che pretendono di avere il monopolio del suo insegnamento.

E concludo con una carrellata di antichi Padri della Chiesa:

Ireneo di Lione

  • “La predicazione della verità brilla ovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità”

San Giovanni Crisostomo

  • «Niente può renderti imitatore di Cristo, come il prenderti cura del prossimo. Anche se digiunassi e dormissi per terra…, ma poi non ti prendi cura del prossimo, tu non hai fatto niente di grande e resti lontano dal Modello».

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!