22.10.2023 DOMENICA XXIX P.A.  A – MATTEO 22,15-21 “…date a Cesare ciò che è di Cesare…”

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo MATTEO 22,15-21

+ In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Con il brano dal vangelo di oggi si apre il resoconto matteano di una serie di discussioni tra Gesù e i suoi avversari che percorrerà tutto il capitolo ventiduesimo del Primo Vangelo.

Si inizia da una diatriba con i farisei e gli erodiani (Mt 22,15-22), si passa poi a quella con i sadducei (23-33), fino a quella con un dottore della legge (34-40); l’ultimo scontro sarà ancora con i farisei (41-46).

Gli argomenti sono i più svariati, ma sono tutti centrati sull’interpretazione di alcune parti della Scrittura.

E noi siamo chiamati a comprendere nel verso giusto questo testo. Perché esso non rappresenta solo una provocazione, come spesso di medita.

Ma ha una sua ragione storico-pedagogica.

Nella tradizione giudaica, per poter interpretare e capire la Torah, la Legge, sia gli studenti che i maestri, sono abituati a confrontarsi tra di loro con questioni e dispute, anche in modo acceso: l’apprendimento della Parola di Dio non è mai un fatto privato per l’ebraismo (tanto che è sconsigliata la lettura della Torah a bassa voce), ma avviene sempre attraverso un compagno o in un gruppo.

Così, non è raro vedere studenti che a coppie leggono il Talmud al muro del pianto di Gerusalemme, o sentire un gran chiasso di voci nelle scuole rabbiniche, sparse per le vie del quartiere ebraico della città santa.

Imparare la Bibbia, per un ebreo al tempo di Gesù, significava discutere animosamente.

Perchè il maestro non teneva mai una lezione cattedratica, e gli studenti prendevano parte con domande e questioni, come dice un rabbino:

«Molta Torah ho imparato dai miei maestri. Più che da loro imparai dai miei colleghi, e soprattutto dai miei scolari» (Makkot 10a).

Il modo con cui i farisei si rivolgono a Gesù, allora, è simile a quello con cui si sarebbero rivolti a qualsiasi altro rabbi, interrogandolo circa una questione sulla Torah: «Rabbi… dicci il tuo parere» (Mt 22,17).

Qui, infatti, abbiamo a che fare la Legge, e con il modo per poterla vivere: la formula tecnica usata per aprire la domanda («È lecito o no?», Mt 22,17), sottende la domanda: “la Legge di Dio permette o no che…?”.

Fratelli e Sorelle, pensiamo al Battista, che diceva ad Erode «Non ti è lecito (secondo la Legge) tenerla» (Mt 14.4).

Ma cerchiamo di contestualizzare il testo, nell’anno liturgico.

La liturgia di domenica scorsa ci ha presentato un re che fa una festa di nozze per il figlio.

Alla festa vengono invitati i privilegiati, ma questi non accolgono l’invito perché occupati in altri lavori.

Vengono allora invitati alle nozze tutti coloro che si trovano per strada, a condizione che abbiano la veste candida.

Gesù presenta la salvezza come un banchetto di nozze a cui tutti possono partecipare, devono però avere il desiderio di tenere lontano il peccato.

Mentre, come abbiamo accennato, la liturgia di questa domenica, ci ricorda la risposta di Gesù ai farisei che volevano metterlo alla prova, chiedendogli se fosse lecito pagare a Cesare il tributo:

“Mostratemi la moneta, date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Per comprendere bene la risposta dobbiamo premettere che Dio ci sceglie perché ci ama e i doni che ha dato a ciascuno devono essere distribuiti durante la nostra vita NEI CONFRONTI DELLA SOCIETÀ CIVILE e VERSO DIO.

L’UOMO È DI DIO ED EGLI È L’UNICO SIGNORE DELLA STORIA, NESSUNO, PER GRANDE CHE POSSA ESSERE, SARÀ MAI COME LUI.

E SOLO A DIO NOI DOBBIAMO RENDERE CONTO DELLA NOSTRA VITA.

In questa domenica, poi, si celebra anche la giornata missionaria mondiale. E, in questa giornata mondiale delle missioni, la Parola di Gesù diventi per noi un appello a scegliere azioni quotidiane che servono l’uomo e servono il creato per restituire a Dio quel che è di Dio, nel rispetto profondo della legge del timore di Dio.

Senza fare confusione: DIO È DIO, L’UOMO È UOMO.

Ecco allora che siamo chiamati a restituire a Dio, QUEL CHE È DI DIO, SERVENDO L’UOMO, SUA IMMAGINE, E IL CREATO.

Senza mai imporci con il nostro egoismo, pensando che possiamo essere Dio, come si illudeva Tiberio Cesare, facendosi imprimere la propria immagine e facendolo scrivere nelle monete romane che lui era Dio del SUO IMPERO.

L’imperatore aveva scelto quindi di far imprimere sulla moneta del tributo: TIBERIO CESARE, FIGLIO DEL DIVINO AUGUSTO.

E dall’altro lato della moneta: PONTEFICE MASSIMO.

Non è a caso che Gesù chiede ai suoi interlocutori di osservare bene quella moneta romana del tributo.

In quella moneta è impresso simbolicamente lo stile di vita che esalta l’uomo come un Dio e lo rende servitore del denaro, cioè promotore di uno stile di vita basato sul potere, sull’essere forti e sicuri, ognuno per sé, soddisfacendo tutti i desideri del cuore con l’accumulo di beni, attraverso il potere del denaro.

Ma allora, “…restituite a Cesare quel che è di Cesare”, cosa vuol dire?

I farisei non amano i Romani mentre gli erodiani collaborando con loro, ma qui si mettono d’accordo pur di eliminare Gesù.

“Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».

Fanno gli adulatori ma sono convinti d’incastrarlo.

Infatti, se dice “sì, vanno pagate”, i farisei lo accuseranno di sottomettersi al nemico e al paganesimo.

Se dice “no”, gli erodiani lo possono denunciare e farlo arrestare.

“Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».

Gesù richiama l’attenzione sul fatto che SU QUESTE MONETE È RAPPRESENTATO UN UOMO CHE PRETENDE DI ESSERE CONSIDERATO UNA DIVINITÀ, QUINDI OLTRE AD ESSERE UNA MONETA DI SCAMBIO, È UN IDOLO, ED ESSI ADDIRITTURA CE L’HANNO IN TASCA.

” Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Questa è una di quelle frasi che tutti conoscono, ma pochi capiscono.

Il potere di Cesare sta SOLO nel denaro.

Io posso decidere se sottomettermi a questo potere o posso fare altre scelte.

I soldi sono una grande invenzione, molto pratica.

Per capirlo basta ricordarsi che prima c’era solo il baratto.

Per cui se avessi voluto comprare una gallina, avresti dovuto dare per esempio dieci uova.

E una casa, quante uova prevedeva per la vendita?

I soldi sono molto più pratici. Con essi si dà un valore a tutto.

Il problema nasce quando si comincia a dare un valore ai soldi stessi, facendoli diventare un simbolo di potere, che ci rendono schiavi al loro servizio.

Gesù non parla qui del dovere di pagare le tasse, che è implicito nel comandamento dell’amore, e non dice che è lecito pagare il tributo, ma statuisce che dobbiamo “restituire a Cesare ciò che è suo”.

In altre parole, dobbiamo riconsegnargli il potere che con il denaro ha su di noi, rimettendo ogni cosa al suo giusto posto.

DARE A DIO QUELLO CHE È DI DIO, SIGNIFICA CONSIDERARE SUO IL CREATO E L’UOMO IN PARTICOLARE, RESTITUENDO ALL’UOMO E ALLE SUE RELAZIONI, LA GIUSTA IMPORTANZA, RISPETTO AI SOLDI.

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!