La solennità dei santi Pietro e Paolo è una festa liturgica in onore del martirio a Roma dei due apostoli, che si osserva il 29 giugno.
SIMONE [Šim’ôn (שמעון)], chiamato da Gesù PIETRO (nacque a Betsaida, in Galilea, nella Giudea romana I secolo a.C. – e fu crocifisso a Roma, nel 64-29 giugno 67) è stato uno dei 12 apostoli di Gesù, insignito dal Cristo dell’autorità di primo Papa della Chiesa Cattolica. Era pescatore di Cafarnao, sul lago di Tiberiade, fu uno dei primi chiamati da Gesù e lo seguì in tutte le predicazioni. Sposato e forse vedovo perché nel Vangelo è citata solo la suocera, mentre nei Vangeli apocrifi è riportato che aveva una figlia, la leggendaria santa Petronilla; il fratello Andrea, dopo aver ascoltato l’esclamazione di Giovanni Battista: ”Ecco l’Agnello di Dio!” indicando Gesù, si era recato a conoscerlo ed ascoltarlo e convintosi, disse poi a Simone “Abbiamo trovato il Messia!” e lo condusse con sé da Gesù.
Chiamato da Cristo a seguirlo dicendogli “Tu sei Simone il figlio di Giovanni; ti chiamerai “kephà” = roccia, pietra, in latino è tradotto Petrus, dopo la pesca miracolosa, avrà la promessa da Cristo che diventerà pescatore di anime.
Il Maestro lo invita a seguirlo insieme al fratello Andrea, e con Giacomo e Giovanni lo rende testimone di taluni fatti importanti, tra i quali, la risurrezione della figlia di Giairo, la trasfigurazione, l’agonia nell’orto degli ulivi. Nel suo cammino al fianco del Messia, Pietro emerge come uomo semplice, schietto, a volte impulsivo. Spesso parla e agisce a nome degli apostoli, non esita a chiedere spiegazioni e chiarimenti a Gesù circa la predicazione o le parabole, lo interroga su varie questioni. Ed è il primo a rispondere quando il Maestro si rivolge ai dodici. “Volete andarvene anche voi?”, domanda Gesù dopo aver parlato nella sinagoga di Cafarnao suscitando sconcerto anche tra i suoi tanti discepoli, molti dei quali, da quel momento, decidono di non seguirlo più. “Signore, da chi andremo? – risponde Simon Pietro –. Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6, 67-68).
A Cesarea di Filippo, quando Gesù chiede ai suoi “Voi chi dite che io sia?”, è Pietro ad affermare: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). E Gesù: “E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,18-19).
È questo l’incarico che Pietro riceve: governare la Chiesa. I Vangeli svelano che Gesù sceglie di affidare la sua Chiesa ad un pescatore poco istruito, che talvolta non sa vedere la volontà di Dio, istintivo: Pietro protesta quando Gesù rivela della sua Passione; vuole sottrarsi alla lavanda dei piedi durante l’ultima cena, non accettando quel gesto così umile dal Maestro; nega per tre volte di conoscere Gesù dopo l’arresto. Gli apostoli gli riconoscono il ruolo conferito da Gesù ed è lui a prendere diverse iniziative. La mattina di Pasqua, informato da Maria Maddalena della scomparsa del corpo del Maestro dal sepolcro, è lui a precipitarvisi insieme ad un altro discepolo. Ma quest’ultimo, precedendolo nella corsa, lascia che sia Pietro ad entrare per primo, come gesto di rispetto verso quella Chiesa nascente che Kephà guiderà.
Dopo la risurrezione di Gesù, gli apostoli si riuniscono in cenacoli in cui talvolta si manifesta il Maestro. Ciascuno riprende la propria quotidianità e Pietro torna sulla sua barca e alle sue reti. Ed è proprio dopo una notte trascorsa a pescare che il Maestro gli appare ancora una volta (Gv 21, 3-7), gli chiede di pascere il proprio gregge e gli predice con quale morte lo avrebbe glorificato (Gv 21, 15-19).
Dopo l’ascensione di Gesù, Pietro è il punto di riferimento degli apostoli e dei primi seguaci di Cristo, comincia a parlare in pubblico, a predicare e ad operare guarigioni. Viene arrestato, convocato e rilasciato più volte dal Sinedrio, costretto a prendere atto dell’autorità con la quale parlava e dell’entusiasmo della gente intorno a lui che cresceva sempre di più. Pietro comincia anche a spostarsi di città in città per raccontare la Buona Novella.
Ma torna spesso a Gerusalemme, ed è qui che un giorno si presenta, a lui e agli altri apostoli, Paolo raccontando della sua conversione. Pietro e Paolo intraprendono poi strade diverse, entrambi non si risparmiano in svariati viaggi, ma le loro vite si incrociano spesso a Gerusalemme. Pietro si confronta con Paolo più volte, ne accetta osservazioni e considerazioni e vi si ritrova a discutere per decidere gli orientamenti della Chiesa nascente. Infine i due apostoli si ritrovano a Roma.
Pietro è l’apostolo investito della dignità di primo papa da Gesù Cristo stesso: “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”. Pur non essendo stato il primo a portare la fede a Roma, ne divenne insieme a s. Paolo, fondatore della Roma cristiana, stabilizzando e coordinando la prima Comunità, confermandola nella Fede e testimoniando con il martirio la sua fedeltà a Cristo, rafforza la comunità cristiana e ne è guida.
Viene imprigionato durante la persecuzione di Nerone e poi crocifisso a testa in giù, per sua stessa richiesta, mentre Paolo, condannato a morte dal tribunale romano, viene decapitato. La tradizione riferisce che il loro martirio è avvenuto nello stesso giorno: il 29 giugno dell’anno 67. Pietro muore nel circo di Nerone, sul colle Vaticano, Paolo sulla via Ostiense. Sulle loro tombe sorgono la Basilica di San Pietro e la Basilica di San Paolo fuori le Mura.
Certamente una personalità in evoluzione e complicata. Fu tra i più intraprendenti e certamente il più impulsivo degli Apostoli, per cui ne divenne il portavoce e capo riconosciuto, con la celebre promessa del primato: “E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
Ciò nonostante anche lui fu preso da grande timore durante l’arresto e il supplizio di Gesù, e lo rinnegò tre volte. Ma si pentì subito di ciò e pianse lagrime amare di rimorso; egli non è un’asceta, un diplomatico, anzi è uno che afferma drasticamente le cose e le dice, protesta come quando il Maestro preannuncia la sua imminente morte, Pietro pensa e poi afferma: “Il Maestro deve morire? Assurdo!”, come altrettanto decisamente si rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù, durante l’ultima cena, ma in questa ed altre occasioni riceve i rimproveri del Maestro ed egli pur non comprendendo, accetta sempre, perché sapeva od aveva intuito di trovarsi davanti alla Verità.
È un uomo semplice, schietto, sanguigno, agisce d’impeto come quando cerca con la spada, di opporsi alla cattura di Gesù, che ancora una volta lo riprende per queste sue reazioni di essere umano, non ancora conscio, del grande evento della Redenzione e quindi, privato delle sue forze solo umane, non gli resta altro che fuggire ed assistere impotente ed angosciato agli episodi della Passione di Cristo.
Dopo la crocifissione e la Resurrezione, Pietro ormai convinto della missione salvifica del suo Maestro, riprende coraggio e torna quindi a radunare gli altri Apostoli e discepoli dispersi, infondendo coraggio a tutti, fino alla riunione nel Cenacolo cui partecipa anche Maria. Lì ricevettero lo Spirito Santo, ebbero così la forza di affrontare i nemici del nascente cristianesimo e con il miracolo della comprensione delle lingue, uscirono a predicare le Verità della nuova Fede.
Gli Apostoli nell’ardore di propagare il Cristianesimo a tutte le genti, non solo agli israeliti, dopo 12 anni trascorsi a Gerusalemme, si sparsero per il mondo conosciuto di allora.
Pietro ebbe il dono di operare miracoli, alla porta del tempio guarì un povero storpio, suscitando entusiasmo tra il popolo e preoccupazione nel Sinedrio. Anania e Zaffira caddero ai suoi piedi stecchiti, per aver mentito e Simon Mago che voleva con i suoi soldi comprare da lui il potere di fare miracoli, subì parole durissime e cadendo rovinosamente, in un tentativo di operarli da solo.
Risuscitò Tabità a Giaffa per la gioia di quella comunità fuori Gerusalemme. Ammise al battesimo il centurione romano Cornelio e la sua famiglia, stabilendo così che cristiani potevano essere anche i pagani e chi non era circonciso, come fino allora prescriveva la legge ebraica di Mosè.
Subì il carcere e miracolosamente liberato, lasciò Gerusalemme, dove la vita era diventata molto rischiosa a causa della persecuzione di Erode Antipa, intraprese vari viaggi, poi nell’anno 42 dell’era cristiana dopo essere stato ad Antiochia, giunse in Italia proseguendo fino a Roma ‘caput mundi’, centro dell’immenso Impero Romano, ne fu vescovo e primo papa per 25 anni, anche se interrotti da qualche viaggio apostolico.
A causa dell’incendio di Roma dell’anno 644, di cui furono incolpati i cristiani, avvenne la prima persecuzione voluta da Nerone; fra le migliaia e migliaia di vittime vi fu anche Pietro il quale finì nel carcere Mamertino e nel 67 (alcuni studiosi dicono nel 64), fu crocifisso sul colle Vaticano nel circo Neroniano, la tradizione antichissima fa risalire allo storico cristiano Origene, la prima notizia che Pietro fu crocifisso per sua volontà, con la testa in giù; nello stesso anno s. Paolo veniva decollato sempre a Roma ma fuori le mura.
Il corpo di Pietro venne sepolto a destra della via Cornelia, dove fu poi innalzata la Basilica Costantiniana.
La grandezza di Pietro consiste principalmente nella dignità di cui fu rivestito e che trascendendo la sua persona, si perpetua nell’istituzione del papato. Primo papa, Vicario di Cristo, capo visibile della Chiesa, egli è il capolista di una gerarchia che da venti secoli si avvicenda nella guida dei fedeli credenti.
L’umile pescatore di Bethsaida, si trovò a guidare la nascente Chiesa, in un periodo cruciale per l’affermazione nel mondo pagano dei principi del Cristianesimo; istituì il primo ordinamento ecclesiastico e la recita del ‘Pater noster’.
Indisse il 1° Concilio di Gerusalemme, fu ispiratore del Vangelo di Marco, autore di due lettere apostoliche nonostante la sua scarsa cultura, nominò apostolo il discepolo Mattia al posto del suicida Giuda Iscariota.
Il primo simbolo che caratterizza la figura di Pietro e dei suoi successori è la ‘Cattedra’, segno della potestà di insegnare, confermare, guidare e governare il popolo cristiano, la ‘cattedra’ è inserita nel grande capolavoro della “Gloria” del Bernini, che sovrasta l’altare maggiore in fondo alla Basilica Vaticana, a sua volta sovrastata dall’allegoria della colomba, raffigurante lo Spirito Santo che l’assiste e lo guida.
Il secondo simbolo, il più diffuso, è lo stemma pontificio, comprendente una tiara, copricapo esclusivo del papa con le chiavi incrociate. La tiara porta tre corone sovrapposte, quale simbolo dell’immensa potestà del pontefice (nel pontificale romano del 1596, la tiara o triregno, stava ad indicare il papa come padre dei principi e dei re, rettore del mondo cattolico e Vicario di Cristo). Questo simbolo perpetuato e arricchito nei secoli da artisti insigni, nelle loro opere di pittura, scultura, araldica, raffiguranti i vari papi, oggi non è più usata e nelle cerimonie d’incoronazione è stata sostituita dalla mitria vescovile.
Questo ad indicare che il papa più che essere al disopra di tutti regnanti, è invece vescovo tra i vescovi e che il suo primato è tale perché vescovo di Roma, a cui la tradizione apostolica millenaria aveva affidato tale compito. Le chiavi simboleggiano la potestà di aprire e chiudere il regno dei cieli, come detto da Gesù a Pietro.
Per tutti i secoli successivi, s. Pietro, rimase fino al 1846 il papa che aveva governato più a lungo di tutti con i suoi 25 anni, poi venne Pio IX con i suoi 32 anni di governo; ma, recentemente, il pontefice Giovanni Paolo II ha raggiunto anch’egli il quarto di secolo come s. Pietro.
Nessun successore per rispetto, ha voluto chiamarsi Pietro. Nella Basilica Vaticana, nella cripta sotto il maestoso altare con il baldacchino del Bernini, detto della ‘Confessione’, vi sono le reliquie di s. Pietro, venute alla luce durante i lavori di restauro e consolidamento archeologico, fatti eseguire da papa Pio XII negli anni ’50. Sulla destra dell’immensa navata centrale, vi è la statua bronzea, opera attribuita ad Arnolfo di Cambio, raffigurante l’Apostolo assiso in cattedra, essa si trovava originariamente nel mausoleo che all’inizio del V secolo l’imperatore Onorio, volle costruire sul lato sinistro della basilica, per stare accanto alla tomba del martire; durante le cerimonie pontificie essa viene rivestita con i paramenti papali.
Sporgente dal basamento vi è il piede, ormai consumato dallo strofinio delle mani e dal tradizionale bacio di milioni di fedeli e pellegrini, alternatosi nei secoli e provenienti da tutte le Nazioni.
La festa, o più esattamente la solennità, dei ss. Pietro e Paolo al 29 giugno, è una delle più antiche e più solenni dell’anno liturgico. Essa venne inserita nel messale ben prima della festa del Natale e vi era già nel secolo IV l’usanza di celebrare in questo giorno tre S. Messe:
- nella basilica di S. Pietro in Vaticano,
- a S. Paolo fuori le mura
- nelle catacombe di S. Sebastiano, dove le reliquie dei due apostoli dovettero essere nascoste per qualche tempo, per sottrarle alle profanazioni barbariche.
Il giorno 29 giugno sembrerebbe essere la ‘cristianizzazione’ di una ricorrenza pagana, che esaltava le figure di Romolo e Remo, i due mitici fondatori di Roma, come i due apostoli Pietro e Paolo sono considerati i fondatori della Roma cristiana.
SAULO DI TARSO, detto Paolo nasce a Tarso, in attuale Turchia nel 4 d.C. era ebreo, della tribù di Beniamino (Rm11,1; Fl3,5). Sebbene il territorio tradizionale della tribù fosse collocato nel centro della Palestina, poco a nord di Gerusalemme tra la Giudea e la Samaria, quest’appartenenza etnica non era più correlata alla zona geografica, in quanto lungo i secoli il significato territoriale si era progressivamente perso.
È senz’altro il più grande missionario di tutti i tempi, non conobbe personalmente Cristo, ma per la Sua folgorante chiamata sulla via di Damasco, ne divenne un discepolo fra i più grandi, perorò la causa dei pagani convertiti, fu l’apostolo delle Genti; insieme a Pietro diffuse il messaggio evangelico nel mondo mediterraneo di allora; con la sua parola e con i suoi scritti operò la prima e fondamentale inculturazione del Vangelo nella storia.
CITTADINO ROMANO PER NASCITA, è stato uno degli Apostoli, per “adozione” del titolo. Esattamente l’“APOSTOLO DEI GENTILI”. Conosceva l’ebraico, il greco e il latino, tanto da essere considerato “un ebreo perfettamente ellenizzato”.
Grande era la sua formazione biblico-dottrinale pur essendo un laico, cioè non appartenente a nessuna delle classi sacerdotali che gestivano il culto del tempio di Gerusalemme. In Fl3,5 si definisce «fariseo quanto alla legge» (At23,6; 26,5), cioè facente parte di quel movimento che si era sviluppato pochi secoli prima dell’era cristiana e che nel I secolo era fortemente contrapposto al movimento aristocratico-sacerdotale dei sadducei su diversi aspetti dottrinali: diversamente da questi ultimi, i farisei accettavano l’immortalità dell’anima, l’esistenza degli angeli, gli altri libri della Tanakh e una tradizione orale (poi confluita nei Talmud), oltre ai cinque della Torah, e adottavano un’interpretazione delle scritture tendenzialmente meno rigorosa e rigida, più vicina alle esigenze del popolo.
I farisei si formavano in scuole collegate alle sinagoghe, cioè luoghi di culto da loro gestiti e presenti ovunque vi fossero comunità giudaiche. In queste scuole tutti gli Ebrei imparavano a leggere le scritture ebraiche e i fondamenti della dottrina. È verosimile che Paolo abbia iniziato la sua formazione farisaica in una di queste scuole a Tarso e secondo At22,3 continuò e perfezionò gli studi a Gerusalemme presso l’autorevole maestro Gamaliele.
Dalle sue lettere traspaiono i metodi argomentativi tipici delle scuole rabbiniche del tempo, testimoniati poi nei Talmud, come, ad esempio, la gezerah shavah (“decreto simile”), che accosta argomentativamente a un passo biblico un altro per un semplice legame di similitudine-analogia (si veda Rm9,6-28 o 3,1-5,12). L’appartenenza di Paolo al Sinedrio, che sembra essere suggerita da At26,10 è solitamente esclusa dai biblisti. At18,18 indica che Paolo era un nazireo, cioè aveva fatto uno speciale voto di consacrazione a Dio, che implicava una vita particolarmente sobria e rigorosa e il portare i capelli lunghi.
C’è un particolare da aggiungere al ritratto di Gamaliele. Ce lo ricordano ancora gli Atti degli Apostoli. Quando Paolo interviene davanti agli abitanti di Gerusalemme, dopo il tumulto scoppiato nel tempio, l’Apostolo inizia la sua breve autobiografia così: “Io sono un giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna…” (22,3).
Gamaliele I, dunque, era stato il maestro per tre o quattro anni, come si usava allora, di Saulo. È sulla base di questa notizia che lo scrittore ebreo austriaco Franz Werfel (1890-1945) nel dramma Paolo tra gli Ebrei (1926) immagina che Gamaliele supplichi il suo antico discepolo: “Per la libertà di Israele, confessa: Gesù era solo un uomo!”. Ma Paolo ormai è irremovibile nella sua fede e con dolore e fermezza respinge l’amato maestro. Tuttavia una tradizione leggendaria farà convertire anche Gamaliele e gli attribuirà persino un vangelo apocrifo!
I territori da lui toccati nella predicazione itinerante furono in principio l’Arabia, attuale Giordania, poi soprattutto l’Acaia, attuale Grecia) e l’Asia minore, attuale Turchia). Il successo di questa predicazione lo spinse a scontrarsi con alcuni cristiani di origine ebraica, che volevano imporre ai pagani convertiti l’osservanza dell’intera legge religiosa ebraica, in primis la circoncisione. Paolo si oppose fortemente a questa richiesta e, con il suo carattere energico e appassionato, ne uscì vittorioso. Fu fatto imprigionare dagli ebrei a Gerusalemme con l’accusa di turbare l’ordine pubblico. Appellatosi al giudizio dell’imperatore – come era suo diritto, in quanto cittadino romano – Paolo fu condotto a Roma, dove fu costretto per alcuni anni agli arresti domiciliari, riuscendo però a continuare la sua predicazione. Morì vittima della persecuzione di Nerone, decapitato probabilmente tra il 64 e il 67.
L’influenza storica di Paolo nell’elaborazione della teologia cristiana è stata enorme: mentre i Vangeli si occupano prevalentemente di narrare le parole e le opere di Gesù, le lettere paoline definiscono i fondamenti dottrinali del valore salvifico della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione – ripresi dai più eminenti pensatori cristiani dei due millenni successivi.
Nelle sue prime apparizioni negli Atti il nome proprio usato è Saulo (nell’originale greco, Σαούλ, Saùl, oppure Σαῦλος, Sàulos, traslitterazione dell’ebraico שאול, Shaʾùl). L’etimologia è connessa al verbo ebraico שאל, shaʾal (= «domandare», «pregare»): il nome significa dunque «colui che è stato chiesto (a Dio)», «colui per il quale si è pregato».
Il nome è lo stesso del primo re degli Ebrei, vissuto nell’XI secolo a.C. – nelle traduzioni italiane reso solitamente con «Saul». Questo nome non risulta essere ricorrente tra i personaggi successivi della tradizione biblica, probabilmente per la descrizione negativa che il Primo libro di Samuele fornisce dell’operato del re – inizialmente scelto da Dio tramite il profeta stesso. La tribù del re era quella di Beniamino – la stessa di Saulo-Paolo (Rm 11,1; Fl 3,5) –, e il re Saul probabilmente poteva rappresentare per questa tribù minore una sorta di “eroe nazionale”.
Nel suo epistolario, però, Paolo non si identifica mai con questo nome, anche se si dichiara appartenente alla tribù di Beniamino: il nome più ricorrente negli Atti, e l’unico usato nelle lettere, è Paolo (nell’originale greco, Παῦλος, Pàulos). Si tratta della traslitterazione greca del nome latino Paulus.
Da giovane fu inviato a Gerusalemme, dove fu allievo di Gamaliele, il maestro più famoso e saggio del mondo ebraico dell’epoca; e a Gerusalemme conobbe i cristiani come una setta pericolosa dentro il giudaismo da estirpare con ogni mezzo; egli stesso poi dirà di sé: “Circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla legge, quanto a zelo persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge” (Fil. 3,5-6).
Verso il 20 terminati gli studi, Saulo tornò a Tarso, dove presumibilmente si trovava durante la predicazione pubblica di Gesù; secondo gli “Atti degli Apostoli”, egli tornò a Gerusalemme una decina d’anni dopo, certamente dopo la Passione di Cristo, perché fu presente al martirio del protomartire s. Stefano, diacono di Gerusalemme; pur non partecipando direttamente alla lapidazione del giovane cristiano, era tra coloro che approvarono la sua uccisione, anzi custodiva i loro mantelli.
Negli “Atti degli Apostoli”, Saul è descritto come accanito persecutore dei cristiani, fiero sostenitore delle tradizioni dei padri; il suo nome era pronunciato con terrore dai cristiani, li scovava nei rifugi, li gettava in prigione, testimoniò contro di essi, il suo cieco fanatismo religioso, costrinse molti di loro a fuggire da Gerusalemme verso Damasco.
Ma Saulo non li mollò, anzi a cavallo e con un drappello di armigeri, con il consenso del Sinedrio, cavalcò anch’egli verso Damasco, per scovarli e suscitare nella città siriana la persecuzione contro di loro.
La sua dottrina
Le sue 14 ‘Lettere’ fanno parte della ‘Vulgata’, versione latina della Bibbia e costituiscono i cardini dottrinali della Chiesa; indirizzate a comunità di cristiani dell’epoca (Filippesi, Colossesi, Galati, Corinzi, Romani, Ebrei, Tessalonicesi, Efesini), oppure a singoli discepoli (Tito, Timoteo, Filemone), in esse Paolo espose il suo pensiero annunziante il Vangelo, da lui definito così: “Io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo”.
In esse si trattano argomenti fondamentali quali la fede, il battesimo, la giustificazione per mezzo della fede, il peccato, l’umanità, lo Spirito Santo, il problema dell’incredulità e della conversione degli ebrei; la natura del ministero apostolico, lo scandalo di un incesto, il problema del matrimonio e della verginità, la celebrazione dell’Eucaristia, l’uso dei carismi, l’amore cristiano, la risurrezione dei morti, le tribolazioni e le speranze degli Apostoli.
E ancora: il mistero dell’Incarnazione, Cristo e la Chiesa, la salvezza universale, l’umiltà di Cristo, del suo primato sull’universo, l’impegno dei fedeli per la loro personale salvezza, la seconda venuta di Cristo e dell’Anticristo, il delineamento della figura e l’opera di Cristo, sotto il punto di vista dell’Antico Testamento, del sacrificio, del culto, del sacerdozio, del tempio; infine insegnamenti pratici per reggere una comunità, la difesa della causa di uno schiavo fuggito.
Culto
Non c’è certezza se i due apostoli Pietro e Paolo, siano morti contemporaneamente o in anni diversi, è certo comunque che il 29 giugno 258, sotto l’imperatore Valeriano (253-260) le salme dei due apostoli furono trasportate nelle Catacombe di San Sebastiano, per metterle al riparo da profanatori.
Quasi un secolo dopo, papa s. Silvestro I (314-335) fece riportare le reliquie di Paolo nel luogo della prima sepoltura e in quell’occasione l’imperatore Costantino I, fece erigere sulla tomba una chiesa, trasformata in Basilica nel 395, che sopravvisse fino al 1823, quando un violento incendio la distrusse; nello stesso luogo fu ricostruita l’attuale Basilica.
La Chiesa Latina celebra la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma il 29 giugno, perché anche se essi furono i primi a portare la fede nella capitale dell’impero, sono realmente i ‘fondatori’ della Roma cristiana.
La festa liturgica dei ss. Pietro e Polo venne inserita nel santorale, ben prima della festa del Natale e dopo la Vergine SS.
Sono insieme a s. Giovanni Battista, i santi ricordati più di una volta e con maggiore solennità; infatti il 25 gennaio si ricorda la Conversione di s. Paolo, il 22 febbraio la Cattedra di s. Pietro, il 18 novembre la Dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo, oltre la solennità del 29 giugno.
PARTICOLARI CELEBRAZIONI
- La sera del 28 giugno si ha la benedizione dei palli da parte del pontefice;
- il mattino seguente, al cancello centrale della basilica Vaticana viene appesa la “nassa del pescatore”, a ricordare l’umile mestiere di Pietro
- contemporaneamente nella basilica Lateranense si assiste all’ostensione dei reliquiari contenenti le teste di san Pietro e di san Paolo.
- nella chiesa di San Pietro in Carcere, a Roma, nel rione Campitelli, al clivo Argentario, presso il Foro Romano, dopo una celebrazione sacra, si può compiere la visita alla prigione dove l’apostolo venne rinchiuso dopo l’arresto.
La leggenda vuole che Pietro, scendendo nel Tullianum, cadde battendo il capo contro la parete lasciando in tal modo la propria impronta nella pietra (dal 1720 protetta da una grata).
Rinchiusi nella segreta, assieme ad altri seguaci, i due apostoli fecero scaturire miracolosamente una polla d’acqua e riuscirono a convertire e battezzare i custodi delle carceri, Processo e Martiniano, martiri a loro volta.
I due apostoli non furono uccisi qui perché san Pietro fu condotto sul colle Vaticano e san Paolo alle Acque Salvie (l’attuale chiesa di San Paolo alle Tre Fontane). Nerone imprigiona Pietro e Paolo e li condanna a morte.
- Paolo è decapitato lungo la via ostiense, e prima di morire guarisce l’occhio di una donna di nome Perpetua.
- Pietro sta per essere crocifisso ma dice “Non son degno di essere crocifisso comeil mio Signore”, e viene crocifisso a testa in giù.
Nei Vespri e nella Lodi la Chiesa cantato l’inno Decora lux aeternitatis auream:
La bella luce dell’eternità irrigò
con beati raggi l’aureo giorno che corona i Principi degli Apostoli e (che) ai peccatori in cielo apre una libera strada.
Il Maestro del mondo e il Custode della porta celeste, Padri di Roma e Arbitri delle Genti, vincitore quello per (morte) di spada, questo per morte di croce, siedono nel convivio della vita (eterna), ornati di alloro.
O beato pastore Pietro, accogli clemente le voci dei supplici e le catene dei peccati sciogli con la tua parola, a cui (è) attribuito il potere di aprire alle terre il cielo (e, se) aperto, di chiuderlo.
O egregio dottore Paolo, insegna le leggi e i nostri spiriti attira con te al cielo, fin quando l’oscurata fede scorga il mezzodì e la sola carità regni a somiglianza del sole.
O Roma fortunata, che sei consacrata col glorioso sangue dei due Principi, (e) imporporata col loro sangue: solo per ciò sovrasti le altre bellezze del mondo.
Sia gloria eterna, onore, potenza e giubilo alla Trinità, che in unità ogni cosa governa per tutti i secoli dell’eternità. |