21 aprile DOMENICA IV DI PASQUA B – GIOVANNI 10,11-18 “Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 10,11-18

+ In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Il brano che la Chiesa ci presenta per la IV domenica di Pasqua è tratto ogni anno dal capitolo 10 del vangelo di Giovanni e ci presenta Gesù come il Buon Pastore.

Dopo aver parlato del pastore in generale (Gv 10,2-4), al v.11 Gesù afferma “…IO SONO il buon pastore”.

Il termine che in italiano troviamo tradotto con “buon” ha un significato molto più profondo, perché non è tradotto correttamente.

L’evangelista non sta parlando della bontà di Gesù, perchè quando l’evangelista si deve riferire alla bontà di Gesù, adopera il termine greco “agatos”, da cui il nome Agata, che significa ‘bontà’.

Qui, invece, il termine greco usato è “kalòs”, che letteralmente significa “bello”, ma nel senso di una cosa di buona qualità, che risponde pienamente al proprio scopo.

E questa bellezza sta in un gesto, ribadito cinque volte nel vangelo “io offro!

Io non domando, io dono.

Io non pretendo, io regalo, ma non per aver in cambio qualcosa, non per un mio vantaggio.

BELLO È OGNI ATTO DI AMORE.

Questa è la nostra fede.

Dio considera ciascuno di noi più importante di se stesso e per questo dona la vita.

E, la parte centrale del capitolo (11-18), cui si afferma proprio questo: che il Buon Pastore offre la vita per le sue pecore e le conosce una ad una.

Il discorso è arricchito anche dal raffronto tra il Pastore e il Padre e il Pastore e le sue pecore.

Quello del pastore è un tema ricorrente nell’Antico Testamento, la cui immagine viene associata a Dio o alle guide del popolo (re, sacerdoti, profeti) che come pastori si prendono cura di Israele.

Il capitolo 10 segue quello dedicato “al cieco nato” (9), legando così i due temi del pastore e della luce.

In questi due capitoli si legge, in filigrana, la critica di Giovanni nei confronti dei pastori di Israele (capi e sacerdoti) che non hanno saputo prendersi cura del popolo di Dio.

AD ESSI, GIOVANNI, CONTRAPPONE GESÙ, CHE È IL BUON PASTORE PER ECCELLENZA, IL PASTORE VERO.

Cosa significa il Pastore Vero?

C’è una profezia nel Libro di Ezechiele, al cap. 34, dove il Signore rimproverava i pastori del popolo, perché, anziché prendersi cura del gregge, pensavano soltanto a loro stessi.

E allora, li minaccia il Signore dicendo “…verrà un tempo in cui io stesso mi prenderò cura del mio gregge”.

Quindi il Signore sarà l’unico vero pastore del popolo.

Ebbene, dichiara Gesù, questo momento è arrivato.

Ecco perché questo suscita le ire dei capi religiosi, perché si sentono spodestati da Gesù, che li chiama ladri, si sono impadroniti di ciò che non è loro, il gregge, e omicidi.

E chi sia veramente Gesù, ce lo fa capire la sapiente antitesi tra il Buon Pastore e il mercenario.

Le due figure si differenziano radicalmente, non certo per il ruolo che, all’apparenza, sembra il medesimo.

Ma li oppone e li divide la natura intima del rapporto con le pecore: l’appartenenza per il pastore, e la non appartenenza per il mercenario che fugge quando arriva il lupo e le lascia alla sua mercé.

Perché al mercenario non importa nulla delle pecore, perché non le conosce.

Il pastore, invece, le pecore LE CONOSCE E LE AMA, UNA PER UNA, SINGOLARMENTE, tanto da dare la vita per loro.

Dio ci ama personalmente e chiama ogni singolo individuo AD ESSERE “FIGLIO NEL FIGLIO”, A ENTRARE NEI RAPPORTI CHE INTERCORRONO TRA IL PADRE E IL FIGLIO.

E’ un rapporto che mira a trasformarci, per dono, IN FIGLI DI DIO, quanto lo è il Figlio per natura.

Non solo però il pastore conosce le pecore, ma anche le pecore conoscono il pastore, e partecipano della sua vita, del suo comportamento, dei suoi sentimenti, delle sue ansie e delle sue gioie e “respirano sicurezza e pace.

Ma c’è una “nota dolens”…

“Ho altre pecore che non appartengono a questo recinto, anche quelle devo guidare”.

Cade l’immagine del recinto, dell’ovile.

Il Vangelo ci rivela che il popolo di Dio è unico, non ha frontiere, non ha steccati né dentro, né attorno.

Ma è un popolo IN CAMMINO, guidato da un unico pastore, Gesù, unico principio di unità, unico mediatore di salvezza, unico che davvero può liberarci e farci vivere l’esperienza della vera libertà.

“…anche quelle devo guidare”. Il verbo ‘dovere’ è un verbo tecnico adoperato dagli evangelisti che indica il compimento della volontà divina.

“…e diventeranno un gregge e un pastore”. In passato, per un errore proprio di traduzione, per aver confuso il termine ‘recinto’, ‘ovile’, probabilmente ad opera di S. Girolamo, la traduzione latina era “un solo ovile e un solo pastore”.

Di qui la pretesa della Chiesa per secoli, per tanti e tanti secoli, fino al Concilio Vaticano II, di essere l’unico ovile nel quale c’era la salvezza.

Gesù non è venuto a togliere le persone e le pecore dall’ovile, Israele, per rinchiuderle in un altro recinto più sacro, più bello.

Gesù è venuto a dare la piena libertà: Un gregge, un Pastore.

L’unico vero santuario nel quale da ora in poi si manifesterà la grandezza e lo splendore dell’amore di Dio, sarà Gesù e la sua comunità.

Mentre nell’antico santuario le persone dovevano andare e molte ne erano escluse, NEL NUOVO SANTUARIO, SARA’ IL SANTUARIO STESSO CHE ANDRÀ IN CERCA DEGLI ESCLUSI DALLA RELIGIONE.

Fratelli e Sorelle, sullo sfondo di questo brano del Vangelo, sta la tragedia di un mondo guidato dai “mercenari”, ed affollato da lupi, e privo di veri pastori.

Un mondo di uomini sfruttati e imbrogliati, ai quali non è offerta la vita, ma è loro tolta e troppo spesso, in nome del potere e del profitto, resa più difficile.

Già nella storia di Israele, Dio si era lamentato di questa situazione e aveva annunziato l’avvento di un vero Pastore, che in Gesù riassumeva l’immagine non solo di tutti gli autentici pastori donati da Dio ad Israele, ma soprattutto l’immagine di Dio stesso.

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!