«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo MATTEO 9,9-13
+ In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». Parola del Signore
Mediti…AMO
Oggi Matteo stesso racconta la propria chiamata da parte di Gesù.
San Gerolamo osservava che soltanto lui, nel suo Vangelo, indica se stesso con il proprio nome: Matteo (il suo nome simbolicamente vuol dire “Dono di Dio”), mentre gli altri evangelisti, raccontando lo stesso episodio, lo chiamano Levi, il suo secondo nome, probabilmente meno conosciuto, quasi per velare il suo nome di pubblicano.
Matteo invece insiste in senso contrario: si riconosce come un pubblicano chiamato da Gesù, un pubblicano poco onesto e disprezzato perchè collaboratore dei Romani occupanti, per i quali fa l’esattore delle tasse a Cafarnao di Galilea.
Gesù lo vede, lo chiama. Lui si alza di colpo, lascia tutto e lo segue, e da quel momento cessano di esistere i tributi, le finanze, i Romani.
Tutto cancellato da quella parola di Gesù “...seguimi“. Abbiamo detto che Luca e Marco lo chiamano anche Levi, ma gli danno il nome di Matteo nella lista dei Dodici scelti da Gesù come suoi inviati “…Apostoli”. E con questo nome egli compare anche negli Atti degli Apostoli.
Pochissimo sappiamo della sua vita. Ma abbiamo il suo Vangelo, a lungo ritenuto il primo dei quattro testi canonici, in ordine di tempo, scritto in lingua “ebraica” o “paterna”, secondo gli scrittori antichi.
E quasi sicuramente si tratta dell’aramaico, allora parlato in Palestina, perchè Matteo ha voluto innanzitutto parlare a cristiani di origine ebraica, ai quali è fondamentale presentare gli insegnamenti di Gesù come conferma e compimento della Legge mosaica.
Vediamo infatti – anzi, a volte pare proprio di ascoltarlo – che di continuo egli lega fatti, gesti, detti relativi a Gesù con richiami all’Antico Testamento, per far ben capire da dove egli viene e che cosa è venuto a realizzare.
Partendo di qui, Matteo delinea poi gli eventi del grandioso futuro della comunità di Gesù, della Chiesa, del Regno che compirà le profezie, quando i popoli “vedranno il Figlio dell’Uomo venire sopra le nubi del cielo in grande potenza e gloria” (24,30).
Scritto in una lingua per pochi, il testo di Matteo diventa libro di tutti dopo la traduzione in greco.
La Chiesa ne fa strumento di predicazione in ogni luogo, lo usa nella liturgia. Ma di lui, Matteo, sappiamo pochissimo.
Viene citato per nome con gli altri Apostoli negli Atti (1,13) subito dopo l’Ascensione al cielo di Gesù. Ancora dagli Atti, Matteo risulta presente con gli altri Apostoli all’elezione di Mattia, che prende il posto di Giuda Iscariota.
Ed è in piedi con gli altri undici, quando Pietro, nel giorno della Pentecoste, parla alla folla, annunciando che Gesù è “Signore e Cristo”. Poi, ha certamente predicato in Palestina, tra i suoi, ma ci sono ignote le vicende successive. La Chiesa lo onora come martire.
L’apostolo ed evangelista Matteo incarna in modo paradigmatico la figura del conoscitore della Scrittura che ha imparato ciò che riguarda il Regno di Dio, ed «è come un padrone di casa che trae fuori dal suo deposito cose nuove e cose vecchie» (Mt 13,52).
Era uomo di una certa cultura, di formazione ellenistica, tanto che pare abbia grecizzato il suo nome, Levi, di origine ebraica (Mc 2,14; Lc 5,27).
Il compito svolto da questo discepolo di Gesù nella trasmissione del vangelo è di capitale importanza.
Dopo la risurrezione si erano raccolti alcuni episodi della vita del Signore, e organizzati dei «discorsi» (raccolta di parole del Signore) attorno ad alcune parole-chiave. Questi elementi di «lieto annuncio» del Cristo, potevano servire ai primi cristiani, a «compimento» delle letture dell’Antico Testamento che ascoltavano ancora nelle sinagoghe.
Matteo, anche in base a queste prime redazioni, scrisse in aramaico un’ampia sintesi di «parole» e di «fatti» di Gesù mettendo in rilievo la sua «messianicità» e la posizione dei cristiani, cioè della Chiesa di fronte alla legge e al culto dell’Antica Alleanza.
Il destino del Vangelo di Matteo è decisamente curioso: a partire da una scorretta interpretazione del passato, per oltre un millennio si è creduto che Marco fosse un riassunto di Matteo, relegando il primo dietro il secondo.
In realtà oggi sappiamo che è stato proprio Marco a scrivere per primo un Vangelo e che Matteo, qualche anno dopo, ha sentito la necessità di scrivere un altro testo che ricopiasse Marco e che aggiungesse alcune cose.
Perché?
Oggi gli studiosi sono d’accordo: la distruzione del tempio e di Gerusalemme aveva gettato nello sconforto i cristiani di origine giudaica.
Un evento di un impatto emotivo enorme che li aveva messi in crisi radicale. Ed ecco la risposta di Matteo: il tempio non c’è più, la presenza di Dio se n’è andata ma noi abbiamo Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi.
Matteo scrive il suo testo per incoraggiare la sua comunità, per fornire una chiave di interpretazione della realtà a partire dalla fede. PERCIÒ È COME UNO SCRIBA CHE SA TRARRE DAL SUO TESORO COSE NUOVE E COSE ANTICHE.
Secondo la tradizione Matteo dopo la pentecoste predicò prima in Giudea e poi portò il Vangelo nell’Africa, in Etiopia, e si sa per testimonianza di Clemente Alessandrino, che praticava l’esercizio della contemplazione e conduceva vita austera, non mangiando altro che erbe, radici e frutta selvatica.
Fu trucidato da una squadra di feroci pagani, mentre celebrava il santo sacrificio.
Secondo altre Passiones apocrife, attestate nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, avrebbe portato alla conversione il re Egippo e la terra su cui regnava, l’Etiopia, dopo aver fatto risorgere miracolosamente la figlia Ifigenia.
La tradizione racconta anche che, alla morte del sovrano, gli sarebbe succeduto sul trono il re Irtaco, fratello di Egippo, che avrebbe voluto sposare la figlia del re defunto, Ifigenia, che però aveva consacrato la sua verginità al Signore.
Dal momento che la sua proposta di matrimonio era stata rifiutata dalla giovane, Irtaco chiese a Matteo di persuaderla a concedersi a lui, ma il santo in risposta lo invitò ad ascoltare una sua predica che avrebbe tenuto il sabato successivo nel tempio al cospetto di tutta la popolazione.
Quel sabato l’apostolo proclamò solennemente che il voto di matrimonio di Ifigenia con il re celeste non sarebbe potuto essere infranto per il matrimonio con un re terreno perché se un servo usurpasse la moglie del suo re sarebbe giustamente arso vivo.
Il santo sarebbe stato ucciso sull’altare mentre celebrava la messa, trafitto a colpi di spada da un sicario inviato dal re. Viene raffigurato anziano e barbuto, ha come emblema un angelo che lo ispira o gli guida la mano mentre scrive il Vangelo. Spesso ha accanto una spada, simbolo del suo martirio.
Le reliquie di San Matteo sarebbero giunte a Velia, in Lucania, intorno al V secolo, dove rimasero sepolte per circa quattro secoli. Il corpo del Santo fu rinvenuto dal monaco Atanasio nei pressi di una fonte termale dell’antica città di Parmenide.
Le spoglie furono portate dallo stesso Atanasio presso l’attuale chiesetta di San Matteo a Casal Velino. Il modesto edificio dalla semplice facciata a capanna presenta, alla destra dell’altare, l’arcosolio, dove secondo tradizione furono depositate le sacre reliquie del Santo.
Un’iscrizione latina piuttosto tarda (XVIII sec.), incastonata sul lato corto dell’arcosolio, ricorda l’episodio della traslazione; successivamente le ossa furono portate presso il Santuario della Madonna del Granato in Capaccio-Paestum.
Ritrovate in epoca longobarda, furono portate il 6 maggio 954 a Salerno, dove sono attualmente conservate nella cripta della cattedrale. Il Santo è patrono della città.
Il fatto che Matteo presenta se stesso come un pubblicano perdonato e chiamato, e così ci fa capire in che cosa consiste la vocazione di Apostolo.
E’ prima di tutto riconoscimento della misericordia del Signore.
Negli scritti dei Padri della Chiesa si parla sovente degli Apostoli come dei “principi”; Matteo non si presenta come un principe, ma come un peccatore perdonato.
Ed è qui ripeto il fondamento dell’apostolato: aver ricevuto la misericordia del Signore, aver capito la propria povertà e pochezza, averla accettata come il “luogo” in cui si effonde l’immensa misericordia di Dio: “Misericordia io voglio; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
Una persona che abbia un profondo sentimento della misericordia divina, non in astratto, ma per se stessa, è preparata per un autentico apostolato.
Chi non lo possiede, anche se è chiamato, difficilmente può toccare le anime in profondità, perché non comunica l’amore di Dio, l’amore misericordioso di Dio.
Matteo, vero Apostolo, come dice san Paolo, è pieno di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, avendo esperimentato per se stesso la pazienza, la mansuetudine e l’umiltà divina, se si può dire così: l’umiltà divina che si china sui peccatori, li chiama, li rialza pazientemente.
Anche se non abbiamo mai commesso peccati gravi, dobbiamo dire come sant’Agostino che Dio ci ha perdonato in anticipo i peccati che per sua grazia non abbiamo commesso. Sant’Agostino lodava la misericordia di Dio che gli aveva perdonato i peccati che per sua colpa aveva commesso e quelli che per pura grazia del Signore aveva evitato.
Tutti dunque possiamo ringraziare il Signore per la sua infinita misericordia e riconoscere la nostra povertà di peccatori perdonati, esultando di gioia per la bontà divina.
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!