21.06.2023 – MERCOLEDI’ SAN LUIGI GONZAGA – MATTEO 6,1-6.16-18 “…non siate come gli ipocriti”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo MATTEO 6,1-6.16-18

Mediti…AMO

Luigi, primogenito del marchese Ferrante Gonzaga di Mantova, nacque il 9 marzo 1568. Era un ragazzo vivace, impaziente, senza complessi, amava il gioco e si divertiva.

La madre, Marta Tana di Chieri, gli insegnò a orientare decisamente la sua vita a Dio.

A 12 anni ricevette la prima comunione da san Carlo Borromeo, venuto in visita a Brescia, che divenne la sua guida spirituale.

Decise poi di entrare nella compagnia di Gesù e per riuscirci dovette sostenere due anni di lotte contro il padre.

Catechista coi ragazzi, premuroso con i poveri e i malati, fatto tutto a tutti: modello e protettore dei giovani che vogliono vivere la propria fede in Cristo.

Il motto: “Come gli altri”, cioè senza privilegi.

Luigi entrò nella Compagnia di Gesù nell’anno 1587, a Roma, dopo il noviziato. Durante questo periodo i padri Gesuiti si accorsero subito di avere tra le mani un vero gioiello spirituale.

Non solo non aveva bisogno di tutti i discorsi di stampo ascetico, ma il loro problema era di moderare ed equilibrare l’ardore penitenziale che era già patrimonio spirituale del soggetto che dovevano formare.

Con il risultato che per lui la vera penitenza era non fare penitenza.

Confidava ad un suo formatore anziano:

  • Veramente io non so che fare. Il padre rettore mi proibisce di fare orazione, acciò che con l’attenzione io non faccia violenza alla testa: ed io maggior forza e violenza mi fo, mentre cerco di distraèr la mente da Dio che io tenerla sempre raccolta in Dio, perché questo già per l’uso mi è quasi diventato connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena”.

Dio gli era così presente che giunse a pregare: “Allontanati da me, Signore”.

Non so quanti santi hanno osato pregare così, escludendo San Pietro, ma questi aveva detto le stesse parole per altri ben noti motivi.

Luigi era già impegnato negli studi di teologia quando sulla città di Roma si abbatté un’immane tragedia: prima la siccità, poi la carestia, infine un’epidemia di tifo.

Nell’opera di assistenza che i Gesuiti prestarono, fu presente anche lui: sempre a fianco dei malati, specialmente i più ripugnanti e i moribondi.

Girava anche per i palazzi dei nobili a chiedere l’elemosina per quei poveracci.

Lo faceva seguendo, lui di sangue nobile, il motto “…Come gli altri”, dimenticando cioè tutti i privilegi.

Questo coraggio e questa forza, anche fisica, sentiva che gli veniva da Dio stesso e dal Cristo che lui serviva nei sofferenti.

Fino a quando raccolse un moribondo, malato di peste, e se lo caricò sulle spalle per portarlo all’ospedale. Ma fu contagiato proprio in quella circostanza.

La sua fine comunque arrivò velocemente ma non inaspettatamente. All’incontro con Dio era preparatissimo e anche la morte non gli faceva paura tanto che a tutti diceva “Me ne vado felice” e alla stessa madre, nell’ultima lettera, raccomandava di non piangere il proprio figlio come morto ma come vivente e per sempre felice davanti a Dio.

Il giorno della sua nascita al cielo fu il 21 giugno 1591, assistito da San Roberto Bellarmino, uno dei grandi Gesuiti della prima ora.

Luigi Gonzaga FU UN MARTIRE non della fede (anche se ne aveva tanta) ma DELLA CARITÀ, fino a donare la propria vita per il prossimo

Come si vede da questi piccoli tratti, qui la stoffa del giovane santo, secondo tutti i canoni della santità cristiana, è facilmente riconoscibile e proponibile. Invece non fu così.

Nel clima anticlericale dell’800 (e anche del primo ’900) la sua santità non solo non fu riconosciuta ma fu ostacolata.

In un certo senso ha fatto testo la frase del Gioberti (1801-1852) che aveva scritto essere la santità del Gonzaga “inutile e dannosa a imitarsi”.

Invece, escludendo alcuni elementi propri del suo carattere e del tempo in cui visse, I TRATTI SALIENTI DELLA SUA SANTITÀ HANNO UN GRANDE VALORE E SONO PROPONIBILE ANCHE AI GIOVANI DI OGGI, COSÌ BISOGNOSI DI VERI E SOSTANZIOSI MODELLI DA IMITARE, e non di effimeri, superficiali e piccoli “eroi” creati “ad hoc” dall’onnipotente circo mediatico e commerciale.

Ma vediamo il testo odierno.

Dopo le sei antitesi, con cui Gesù supera e completa la legge di Mosè, egli sottolinea il modo giusto con cui praticare i tre atti di religiosità più diffusi nella sua società:

  1. la preghiera
  2. e il digiuno.

Il vangelo di Matteo è attraversato dal senso della giustizia, la giustizia che deriva dalla giusta osservanza della Legge e della volontà di Dio.

SE LA FEDE NON TOCCA ANCHE IL NOSTRO PORTAFOGLIO NON HA ANCORA CAMBIATO LA NOSTRA VITA.

La preghiera ha in sé una componente pubblica da vivere con modestia, senza inutili esteriorità ed è sempre strumento di un atteggiamento più profondo e privato che Dio solo conosce.

Per queste persone il giudizio è categorico: non riceveranno una ricompensa da parte di Dio.

Non è che bisogna compiere le opere di giustizia per ottenere un tornaconto, ma queste ci aiutano ad entrare in comunione con Dio che è il primo ad essere giusto e misericordioso.

Questa, Fratelli e Sorelle è la vera ricompensa, perché quello che la Scrittura ci propone è un cammino nuovo che si apre per farci accedere al cuore di Dio Padre.

Gesù non permette che la pratica della giustizia e della pietà sia usata quale mezzo di autopromozione dinanzi a Dio e dinanzi alla comunità (Mt 6,2.5.16).

Ragioniamoci sopra…

Il Signore IDDIO ti Benedica

E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

e ti prego di condividere se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!