19.10.2022 MERCOLEDI’ 29^ SETTIMANA P.A. C – LUCA 12,39-48 “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 12,39-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Continua il cammino di Gesù e dei discepoli verso Gerusalemme, là dove avverrà il suo esodo (Lc 9,31), la sua morte.

Gesù sa cosa lo attende, perché ormai l’ostilità della gerarchia religiosa giudaica si è fatta ossessiva, mentre la simpatia della gente va scemando ogni giorno di più, perché non sembra realizzarsi quel Messia che pretendevano di trovare in Gesù.

Egli appare sempre più deludente per la folla e il profilo del fallimento di una missione e di una vita si fa sempre più evidente.

Allora la Parola di Dio ci richiama ad un atteggiamento di attesa e di operosità, sull’esempio di Cristo, che ha realizzato la volontà del Padre, facendosi servo di tutti.

A noi è richiesto di imitarlo nella sua generosità. L’attesa vigile, infatti, è un atteggiamento tipico del cristiano che crede nella promessa della venuta del Signore.

L’immagine molto concreta di un ladro che viene di notte, quando meno te lo aspetti, è molto comprensibile sia i discepoli che per noi.

E ci rappresenta la necessità di essere pronti ad accogliere il Signore del Tempo e della Storia, quando verrà.

Richiede l’attenzione di una vita, la capacità di vivere pienamente il tempo, lo sguardo puro che vede oltre, il cuore docile e trasparente per poter cogliere la venuta silenziosa e sacra del Regno di Dio.

Abbiamo una grande responsabilità: quella di vegliare sui nostri fratelli ed adoperarci per compiere la volontà di Dio, con la fattività delle nostre opere.

Il male che vive in noi si ribella di fronte alla Parola di Dio, e non vuole assoggettarsi a Lui.

Ed ecco che così Dio diventa un rivale, e ogni altro essere umano per me un nemico: e rimbomba in eterno l’antica, feroce, domanda “…..Sono forse il custode di mio fratello?” (Gen 4,9).

Ci è data invece la dignità di amministratori, chiamati a far quadrare i conti fra il capitale ricevuto e la somma che ci viene chiesto di sborsare, per entrare nella vita eterna.

Per molti il movimento esistenziale è solo una scellerata corsa verso accumulo, guadagno, il possesso illimitato, che sembrano garantire longevità e sicurezza per il futuro.

Ma solo chi si acquieta nella dimensione dell’attesa, mettendo a tacere la smania di avere, entra veramente nel ritmo della vita, assapora l’attimo fuggente dell’eternità: e comprende che il Signore è alla porta e bussa…

Perché, ricordiamoci, Fratelli e Sorelle, vivere tutto ciò che ci è dato, nella vita, come una “proprietà privata” è solo illudersi che il vero “proprietario” di tutte le cose che ci sono state date, alla fine non tornerà…

Invece tornerà e ci domanderà conto della fiducia che aveva riposto in ciascuno di noi il giorno che ci diede la vita, che ce la consegnò nelle nostre mani, che la rischiò mettendola in balia della nostra pochezza e del nostro libero arbìtrio.

Il tempo presente richiede un grande senso di responsabilità, perché è gravido di eternità.

Chi fa dipendere la sua vita dalle cose che ha, considera la morte come un ladro.

Chi attende il Signore considera la morte come l’incontro desiderato con lo Sposo. E ne consegue che tutta la vita è una preparazione a questo incontro.

Una preparazione che richiede al discepolo di vivere su due fronti, che in realtà sono due facce di un unico impegno:

  • da una parte deve rispondere a Colui che gli ha dato la responsabilità
  • e dall’altra deve rispondere a coloro che sono stati affidati alle sue cure.

A ben vedere, ciascuno di noi sperimenta questa affascinante, ma faticosa condizione:

  • siamo posti tra Dio e i fratelli, da una parte Colui che ci ha dato una responsabilità
  • e dall’altra parte coloro che hanno il diritto di ricevere il cibo a tempo debito.

Il Vangelo passa dalla parola amministratore (12,42) che indica colui che ha una responsabilità, alla parola servo (12,43).

Chi riceve una responsabilità è anzitutto e soprattutto CHIAMATO A SERVIRE.

La parola di Gesù è esigente in quanto non solo invita ad essere servi ma chiede anche di esercitare il nostro ministero fedelmente, cioè in modo non arbitrario, non secondo i nostri gusti né secondo le mode del tempo ma secondo le oggettive esigenze dei fratelli.

L’amministratore deve avere due caratteristiche, cioè essere “fidato e prudente”: ovvero essere una persona di cui si può fidare perché esercita con grande saggezza il compito ricevuto.

È ovvio che se questo invito è rivolto a tutti, vale ancora di più per coloro che ricoprono compiti di responsabilità all’interno della Chiesa.

San Gregorio Magno (540-604), parla così del ministero episcopale:

La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio e utile con la sua parola affinché non dica ciò che bisogna tacere e non taccia ciò che occorre dire. Giacché come un parlare incauto trascina nell’errore, così un silenzio senza discrezione lascia nell’errore coloro che avrebbero potuto essere ammaestrati”.

Ecco allora, che la parabola che abbiamo ascoltato, parla di un certo modo di attendere, di vigilare.

Ma parla anche di beni di CUI NON SENTIRSI PADRONI… e dei quali, il protagonista del racconto, ha un volto e un ruolo preciso: è un amministratore.

Non è un padrone che accumula e decide, ma nemmeno un semplice servo.

Infatti è un uomo di fiducia, CHE CONDIVIDE CON IL PADRONE LA RESPONSABILITÀ DI CUSTODIRE la casa, ossia i beni e le persone che la costituiscono.

Ma dobbiamo far bene attenzione, Fratelli e Sorelle, la sintonia tra padrone e amministratore è un bene ineliminabile e dinamico, perché implica da parte dell’amministratore, un crescere continuo nella conoscenza del padrone e nella condivisione con Lui.

Certamente, il messaggio è chiaro e decisamente duro. Gesù sta chiedendo a Pietro e agli altri apostoli -MA ANCHE A TUTTI NOI BATTEZZATI E MINISTRI DI DIO- di essere come quell’ amministratore.

Ovvero ci chiede loro un livello sempre più alto di condivisione, di responsabilità, di sostituzione. La richiesta è motivata e congrua: molto è dato, dunque molto sarà chiesto.

Ecco perché i Ministri della Chiesa che sono i “capi” delle comunità, sono responsabili soprattutto di non lasciar mancare il vero cibo che è il pane della Parola e il pane dell’Eucaristia. Essi sono servi dei fratelli e della loro fede, non padroni di ciò che loro è stato affidato.

C’è più che mai bisogno, soprattutto in tempi difficili, come in questo momento storico, ove domina lo spettro di una ecatombe nucleare, che essi amministrino con cura il Creato, insegnando al cristiano di avere una forte appartenenza a Cristo, non fanatica o aggressiva, ma convinta e determinata, affinché diventi “sale e lievito” per la costruzione di un mondo, che sia già segno del Regno di Dio.

E per avere una tale appartenenza occorre incontrare Cristo nella propria anima e lasciarlo crescere, giorno dopo giorno.

Cristiani forti che sappiano conservare la fede, senza lasciarsi travolgere dalle difficoltà, senza scoraggiarsi, senza spegnersi, responsabili perché a conoscenza della volontà di Dio.

Anche chi crede di aver ricevuto poco, sappia che ha ricevuto tanto, e gli è chiesto e gli sarà chiesto tanto.

Ricordiamoci che in ogni cristiano degno di tal nome, il sì fedele e onesto alla volontà del suo padrone matura – come ci dice il Vangelo – “in cuor suo“.

Non è un lucido ragionare, ma il limpido consegnarsi nella semplicità di un cuore unificato e pacificato nell’amore.

Ecco il punto: per gustare il sapore di Dio dobbiamo mettere in movimento il cuore, con saggezza e fedeltà, mettendo da parte egoismi, calcoli e pigrizie che fanno deviare su strade di ribellione indolente.

Come è narrato nella Sacra Scrittura, sin dal principio, Dio ha affidato all’uomo una missione. Dapprima però lo ha fatto “a sua immagine e somiglianza”, dotandolo di intelligenza e di volontà e ad ognuno ha dato dei talenti speciali, da far fruttificare, con l’umile e docile servizio allo stesso Signore.

Gesù, fedele servitore del Padre, ha adempiuto perfettamente la sua missione, accettando la passione, il calvario, la croce e le morte e insegnandoci a fare altrettanto, IN ATTESA DEL SUO RITORNO NELLA PAROUSÌA.

Liberamente possiamo dunque decidere come attendere il ritorno del padrone, sentendoci responsabili di qualcosa di grande valore che ci è stato affidato o, al contrario, cominciando a farla da padroni proprio per l’assenza stessa del vero padrone.

È tutto qui… e non è poco, il molto che ci è affidato. E molta pure è la fiducia del padrone.

Ci sarà chiesto dell’uso che abbiamo fatto di tutto quel «ben di Dio» che c’è stato affidato e ancora ci sarà chiesto di come abbiamo usato la nostra libertà: se l’abbiamo messa a disposizione degli altri o se per goderne l’abbiamo confusa con il poter fare tutto ciò che ci passa per la testa.

Un’ultima considerazione.

Pietro domanda se quelle parole valgono solo per loro o anche per tutti. Gesù sta parlando ai discepoli, agli amici più fidati. Essi dunque hanno maggiore responsabilità rispetto a tutti gli altri.

L’insegnamento evangelico ha per protagonista un “amministratore”: termine proprio di Luca che lo userà anche nella parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-8).

Anche Paolo di Tarso lo utilizza quando parla degli apostoli come “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e del vescovo come “amministratore di Dio” (Tt 1,7).

È un termine dunque che nel vocabolario pastorale dei primi decenni indica colui che esercita un ministero nella Chiesa.

La parabola lucana perciò chiama in causa tutti coloro che hanno una particolare responsabilità verso i fratelli: non pensiamo solo ai pastori ma anche ai genitori, ai catechisti e a quanti svolgono un compito educativo.

Gesù ci ricorda, che avere una responsabilità nella Chiesa, nella società civile o nella comunità domestica, significa essere “amministratori”, non padroni.

E CHE È PROPRIO DEGLI AMMINISTRATORI RENDERE CONTO DEL PROPRIO OPERATO.

SANT’AGOSTINO NE ERA BEN CONSAPEVOLE, PER QUESTO DICEVA CHE L’ESSERE CRISTIANO ERA PER LUI UN SEGNO SICURO DI SALVEZZA, MENTRE IL MINISTERO EPISCOPALE ERA UNA GRAVISSIMA RESPONSABILITÀ.

Ecco allora, di fvronte a queste enormi responsabilità, alle quali siamo posti, ogni giorno, qualsiasi giorno festivo o feriale, SE COLMO DI ATTESA, è “il giorno del Signore”: come nella parabola di Luca, ogni giorno è buono per stare svegli, tenere le lampade accese, operare come Dio vuole, e accogliere il Figlio dell’uomo che tornerà.

Preghiamo allora dicendo:

  • “Non si spenga la nostra lampada, perché vigilanti nell’attesa della tua ora siamo introdotti da te nella patria eterna” (dalla Orazione Colletta della Messa).

Ha detto Papa Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Quaresima del 2012:

  • “La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell’altro, desiderando che anch’egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità”.

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!