«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo LUCA 7,11-17
+ In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba UN morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante. Parola del Signore
Mediti…AMO
Soltanto Luca, tra gli evangelisti, riporta questo miracolo, che mette in evidenza la tenerezza di Gesù per gli umili e i poveri, come tanti altri passi del Vangelo lucano, nel quale la misericordia divina risplende in modo particolare.
Siamo a Nain, dall’ebraico “nâʿîm”, la “piacevole“, un piccolo villaggio della Galilea, immerso nelle colline poco distante da Nàzareth.
Nain era un villaggio sconosciuto nelle Scritture Ebraiche, e per la sua piccolezza questo villaggio aveva una sola porta (v. 12).
Si vuole identificarlo con l’attuale Nain o Nein, sulle pendici settentrionali del Piccolo Hermon, 4 o 5 km a sud del Tabor. Dal 1948 il villaggio fa parte dello stato di Israele, ed è oggi totalmente musulmano.
Il cimitero antico doveva stendersi a ovest del villaggio, sulle pendici della montagna, dove si vedono diverse tombe scavate nella roccia. Un sarcofago romano in pietra è conservato contro la facciata della chiesa.
L’ “Onomasticon” di Eusebio di Cesarea, lo situa a vicino al Tabor “…la città di Naim, dove il Signore risuscitò il figlio della vedova, si mostra al quinto miglio dal monte Tabor, presso Endor.”
Tale distanza sembra però essere troppo grande. San Girolamo indica invece una distanza di due miglia dallo stesso monte.
Una testimonianza anonima, attribuibile ai secoli V-VI e raccolta dal monaco benedettino Pietro Diacono (XII secolo) afferma “…nella casa della vedova, il cui figlio fu risuscitato, ora c’è una chiesa, e la sepoltura nella quale lo volevano porre esiste ancora oggi”.
A nord, ossia all’entrata di chi proviene da Nazareth, si trova una fontana scavata nella roccia, e presso di essa tre sarcofaghi usati come vasche. A nord-est vi sono tombe scavate nella roccia.
L’annotazione evangelica della vicinanza del corteo funebre alla porta della città (Lc 7,12 ) fa pensare che a quel tempo Nain avesse una cinta muraria
L’indicazione di Nain, infatti, è un tratto caratteristico della verità storica del racconto: Nain è assente nelle Scritture Ebraiche.
Nain però è un villaggio esistente sulle pendici settentrionali del Piccolo Hermon, come ho accennato.
È un particolare significativo, anzi più che significativo, se si tiene conto che Luca è abitualmente poco preciso per quanto riguarda la topografia.
Il racconto poi è così vivo da supporne per se stesso la storicità.
Qui Gesù assiste alla scena di un funerale: un figlio unico di madre vedova viene condotto fuori dal villaggio per essere sepolto.
Figlio unico di madre vedova: sembra l’inizio del più terribile dei racconti drammatici.
E così è. Gesù prova compassione, non è indifferente a quanto accade, non fa finta, non assume un volto di circostanza come spesso facciamo noi.
Il verbo usato per indicare lo stato d’animo di Gesù indica uno strazio interiore, un laceramento, un movimento viscerale. Non è indifferente al dolore il nostro Dio, non si bea nella sua perfezione, non ha paura delle proprie emozioni.
E in questo contesto l’evangelista chiama Gesù “Signore”, per la prima volta dopo il racconto della nascita: la vittoria sulla morte incomincia a manifestare Gesù come Signore, padrone di tutte le cose, della vita e della morte.
Così si fa chiaro il significato messianico di questo episodio.
Il racconto della risurrezione del figlio della vedova di Nain presenta due atteggiamenti di Gesù: LA SUA COMPASSIONE E IL MIRACOLO CHE EGLI COMPIE.
Spontaneamente noi siamo portati a rilevare più il miracolo, ma la cosa più grande è la compassione di Gesù:”il Signore ne ebbe compassione, e le disse: “Non piangere!”.
E accostatosi toccò la bara”.
Gesù condivide il dolore di questa povera mamma. Non ha paura di contaminarsi.
Perché Lui è IL FIGLIO DI DIO CHE SI AVVICINA, SI FA PROSSIMO AL DOLORE UMANO E GLI OFFRE CONSOLAZIONE, SENZA NEPPURE ESSERNE RICHIESTO.
E con tratti di dolcissimo, infinito amore gli dice “Giovinetto, dico a te, alzati!… E lo diede alla madre”.
L’espressione di Luca è identica a quella che troviamo nel Libro dei Re al racconto della risurrezione del figlio della vedova per mezzo di Elia e anticipa il giudizio del popolo: “Un grande profeta è sorto tra noi”.
Gesù è un grande profeta, come Elia, come Eliseo.
Fratelli e Sorelle, in un piccolo paese i dolori di una famiglia sono i dolori di tutti, per cui non fa meraviglia vedere la partecipazione di una grande folla nel caso pietoso della morte dell’unico figlio di una madre, per di più vedova “…veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei”.
La morte di un figlio unico procurava e procura certamente uno strazio indicibile. Tanto che il profeta Zaccaria aveva detto:
“Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito” (Zc 12,10).
Tanto più doveva essere straziante il dolore per la morte del figlio unico ghermito a una vedova, che quindi rimaneva priva di ogni appoggio, sia economico, che fisico, che morale.
Il morto veniva portato al sepolcro sopra una barella e con il volto scoperto.
Infatti, il “velario” per coprire il viso veniva posto sul defunto immediatamente prima della sepoltura.
Probabilmente ciò avveniva la sera stessa del giorno in cui il giovane era morto: a quel tempo la sepoltura si faceva ben presto dopo la morte.
La descrizione di Luca è stupenda: folla numerosa con Gesù e quella con il morto; due folle che si incontrano.
Il morto è descritto senza articolo determinativo: “Si portava alla sepoltura UN morto” (v. 12), quasi a porre l’enfasi sui vocaboli che presentano un crescendo sempre più triste “…morto unigenito figlio”, “di sua madre, che era vedova”.
Fratelli e Sorelle, abbiamo visto che la commozione di Gesù non è suscitata dal morto, ma dalla madre desolata.
Ma è scritto chiaramente che “…vedutala, ebbe pietà di lei” (v. 13).
potremmo dire:
-
“Fu mosso a pietà per lei”.
-
“Ne ebbe compassione”. Il greco, parlando il linguaggio biblico, dice esplanchnìsthe.
È un verbo derivato da splànchon, il cui plurale è splànchna, cioè “viscere”.
Si pensava a quel tempo che le viscere fossero l’origine delle passioni più violente, come la rabbia e l’amore.
Ma per gli ebrei le viscere erano l’origine delle affezioni più tenere, soprattutto la gentilezza, la benevolenza, la compassione.
NOI DIREMMO IL “CUORE”; MA PER GLI EBREI IL CUORE ERA LA SEDE DEI PENSIERI.
Il testo ha quindi, letteralmente, “si commossero le viscere”.
Le Scritture sante ci dicono che DIO HA “VISCERE” DI MISERICORDIA PER IL SUO POPOLO.
Si tratta quindi di un miracolo compiuto da Gesù per compassione, senza che gli fosse richiesto nulla, come invece di solito accadeva.
Luca ama chiamare Gesù con il nome che gli sarà dato dopo la sua resurrezione: “Il Signore [ὁ κύριος (o kyrios)], vedutala, ebbe pietà di lei” (v. 13).
come vi ho accennato all’inizio, questo titolo appare qui per la prima volta in un racconto.
Gesù dice alla povera donna “…non piangere” (v. 13).
Ma “...non piangere” non rende bene il senso del verbo greco klàie, imperativo presente, che significa invece “…non continuare a piangere / Cessa di piangere”.
Parlando invece al morto, Gesù dice “…ragazzo, dico a te, àlzati!” (v. 14).
mi piace il verbo usato eghèrtheti, “alzati/svégliati”, che è all’aoristo medio, un tempo greco che indica il compiersi di un ‘azione che è puntuale e immediata (SUBITO, ALL’IMPROVVISO – NON PIAN PIANO).
Come conseguenza del comando di Gesù, “…il morto si alzò e si mise seduto, e cominciò a parlare” (v. 15). Quindi Gesù “lo restituì a sua madre”.
Tutto avvenne con semplicità e rapidità stupende.
L’effetto sulla folla fu la paura seguita subito da una commossa esplosione gioiosa “…tutti furono presi da timore e glorificavano Dio” (v. 16).
I presenti riconoscono due cose:
-
“’Un grande profeta è sorto tra di noi’;
-
e ‘Dio ha visitato il suo popolo’”.
Si cerchi di capire bene ciò che emerge dalla lettura del testo evangelico, cioè l’aspetto relativo del fatto: Gesù è “un grande profeta”, MA È DIO CHE VISITA IL SUO POPOLO MEDIANTE GESÙ.
Il profeta non è Dio.
Questo abbinamento Dio-profeta (Dio e suo rappresentante) può servire per illuminare molti altri passi biblici simili in cui Gesù viene presentato come “figlio di Dio” o come “Dio con noi” (significato di “Emmanuele”).
Il figlio di Dio non è Dio PADRE.
“Dio è con noi”, il PADRE è con noi, PERCHÉ È CON NOI, TRAMITE IL SUO FIGLIO-PROFETA, GESÙ.
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!