19.09.2022 – LUNEDI’ 25 SETTIMANA P.A. C – LUCA 8,16-18 “La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 8,16-18

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Fratelli e Sorelle oggi, prendendo spunto dalle Parole di Gesù, vorrei soffermarmi sul tema della luce.

La luce, per noi, è così naturale, talmente scontata, che ormai non le diamo l’attenzione che merita. Ma cos’è e com’è fatta l’energia che ci fa vivere?

La luce, fisicamente, invece, è la base della vita: sul nostro pianeta dà vita alla fotosintesi clorofilliana che fa prosperare il mondo vegetale, di cui gli animali si cibano prima di diventare cibo per i carnivori. E così via lungo la catena alimentare fino ad arrivare all’uomo.

Ma essa è anche bellezza, oltre che vita, e l’uomo non ha tardato a metafisicizzarla. Qualcuno ha scritto:

La luce nella mente è verità.
La luce nel cuore è conoscenza.
La luce nell’anima è saggezza.
La luce nella vita è Dio.

Certamente il lampo nella notte fa paura, ed i primi raggi del sole all’alba ci ridanno coraggio e speranza, allietandoci il cuore.

Io sono anche un soccorritore alpinista della Croce Rossa, e vi posso raccontare che non esiste uno spettacolo più bello, un momento più dolce, di quando, dopo aver bivaccato la notte sulla cima di una montagna, al termine di una scalata, al sorgere delle prime timide luci dell’alba, le tenebre si diradano, il respiro viene a mancare, l’anima si allieta e un chiarore diffuso, coloratissimo, PRECEDE IL SORGERE DEL SOLE?

Io credo che non ci sia un momento più bello che ci racconta di Dio.

Profeti, Patriarchi, santi, mistici, teologi lungo il cammino dei secoli altro non hanno fatto che cantare nella luce, IL “FIAT LUX” di DIO.

È ASSOLUTAMENTE difficile sottovalutare l’importanza della luce nella Bibbia, dato che essa compare fin dalla sua pagina iniziale, essendo la prima delle opere create (Gen 1,3 «Dio disse FIAT LUX “Sia la luce!”. E la luce fu»). Altro intervento di Dio si ritrova anche nella pagina conclusiva della Bibbia (nel Libro dell’Apocalisse al capitolo 22,5 «Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli»).

Nella Bibbia c’è poi un uso concreto di termini legati al campo semantico della luce (oltre al sostantivo «luce», pensiamo a vocaboli come «lampada», «lucerna», «lucernario», «illuminare», «brillare», «splendere», «rischiarare») si intreccia con quello metaforico.

Il racconto di Gen 1 propone quindi come scansione temporale fondamentale il giorno, nell’alternanza di luce e tenebre, dando priorità a questo aspetto rispetto alle suddivisioni del calendario basate sul corso della luna e del sole, come i mesi e le stagioni.

La prima pagina della Bibbia si conclude con la «consacrazione» (Gen 2,3) del settimo giorno, che ha così un particolare legame con Dio: lo scopo del narratore e ricordare che la separazione fondamentale tra luce e tenebre non crea soltanto la possibilità per la vita, ma anche per la relazione fra l’uomo e Dio che è essenziale per la vita stessa.

Nella predicazione profetica questo tema ritorna con l’evocazione del «giorno del Signore», come momento decisivo per la storia di Israele.

Esso è collegato al giudizio e quindi appare come giorno di tenebra e ira per i peccatori (Gioele 2,2; Amos 5,18.20), un giorno in cui la luce degli astri si oscurerà (Isaia 13,9-10; Amos 8,9); d’altra parte, poiché in esso si realizza la pienezza della presenza divina in mezzo agli uomini, è anche giorno di luce più intensa (Isaia 30,26) o un giorno senza tenebra (Zaccaria 14,6-7: «In quel giorno non vi sarà né luce né freddo né gelo: sarà un unico giorno, il Signore lo conosce; non ci sarà né giorno né notte, e verso sera risplenderà la luce»).

L’immagine, quindi, assume i toni escatologici, fa riferimento, cioè, alla fine dei tempi, in cui Dio ristabilirà la pienezza e il suo splendore dominerà (Isaia 60,19 e il versetto di Apocalisse citato all’inizio).

Si impone quindi l’associazione tra luce e vita che trova espressione in diversi passi ma soprattutto nella formula «luce della vita», o «luce dei viventi», che ricorre in Giobbe 33,30 e nel Salmo 56,14 in contesti che richiamano la liberazione divina dal pericolo di morte.

Per contrasto chi è morto non vede la luce (Salmo 49,20) e gli inferi (še’ōl in ebraico) sono concepiti come «la terra delle tenebre e dell’ombra di morte, terra di oscurità e di disordine, dove la luce è come le tenebre» (Giobbe 10,21-22).

Dal punto di vista antropologico questo ha un riflesso nell’idea che la «luce degli occhi» sia associata alla salute e alla forza vitale dell’individuo, come appare in 1Samuele 14,27: «Giònata… allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono» (in senso contrario, il Salmo 38,11).

Su questo sfondo si comprendono i passi in cui il benessere rappresentato dalla luce degli occhi è associato alla legge divina (Salmo 19,9) o alla sapienza (Qohelèt 8,1).

In senso ampio, quindi, la luce è simbolo della salvezza che è evidentemente, nella prospettiva biblica, un dono divino (Salmo 18,29: «Signore, tu dai luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre»; Isaia 9,1: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse»).

In questo ambito va compreso l’uso dell’espressione «luce del volto» di Dio (Salmo 4,7; 44,4) e di quella analoga, secondo cui Dio «fa risplendere il suo volto» (Libro dei Numeri 6,25; Salmo 31,7), che indicano il favore e la benedizione divina accordata ai suoi fedeli.

La luce di Dio ha anche un risvolto etico, in quanto consente all’uomo di «camminare» (verbo che è una metafora della condotta morale) secondo la sua volontà e quindi in rettitudine (Isaia 2,5 usa l’espressione «camminiamo alla luce del Signore» per riprendere il concetto espresso al v. 3 con la frase «camminare per i suoi sentieri»).

Non sorprende che quindi le tenebre notturne siano concepite come il momento favorevole per le opere dei malvagi (Giobbe 24,14-16), ma anche come la situazione in cui si trova il peccatore che, riconoscendo la sua colpa, confida nel riscatto da parte del Signore (Michea 7,8-9 «Non gioire di me, o mia nemica! Se sono caduta, mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce. Sopporterò lo sdegno del Signore perché ho peccato contro di lui, finché egli tratti la mia causa e ristabilisca il mio diritto, finché mi faccia uscire alla luce e io veda la sua giustizia»).

Quest’idea del possibile riscatto dalla situazione di tenebra, accentua la colpevolezza di chi si vuole sottrarre alla luce, avvitandosi in una situazione negativa descritta magistralmente nel Libro della Sapienza al capitolo 17, che rilegge il racconto degli Egiziani avvolti dalle tenebre (una delle “piaghe” inviate da Dio per convincere il Faraone a liberare Israele) considerandoli il “tipo” degli avversari di Dio.

Si noti come, essendo nell’Antico Testamento l’idea della giustizia divina strettamente connessa con quella della salvezza, anche a essa si applichi alla metafora della luce; addirittura l’apparire della luce può essere poeticamente legato alla scomparsa di iniquità e ingiustizie (leggete il bel passo poetico di Giobbe 38,12-15).

Da tutto quanto appena si detto si comprende come la Legge, in quanto espressione della volontà divina e della sua giustizia, sia anch’essa «luce» per l’uomo (Isaia 51,4; Salmo 119,105).

Più direttamente è la presenza stessa di Dio che è luce, come appare nei racconti del Pentateuco che parlano della colonna di fuoco che guida il popolo (Esodo 13,21-22; 14,20) e in Isaia 60,1: «Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te».

La straordinarietà della figura di Mosè è segnata anche dal fatto che la luce divina si riflette in qualche modo sul suo volto (Esodo 34,29-30.35).

Nel Nuovo Testamento si ritrovano i valori simbolici della luce già individuati nell’Antico Testamento, ma con aspetti innovativi.

Notiamo dapprima, però, un uso più concreto del termine: l’apparizione di una «luce dal cielo» (Atti degli Apostoli 9,3; 22,6; 26,13) è legata all’epifania di Gesù Cristo a Paolo, così come l’apparizione di un angelo illumina la cella in cui Pietro è imprigionato (Atti 12,7); analogamente l’evento della trasfigurazione di Gesù è descritto facendo riferimento alla luce (Mt 17,2.5).

Questa descrizione di particolari manifestazioni del divino come apparizioni di una «luce» si discosta dall’Antico Testamento che preferisce parlare del fuoco (Es 3,2; 19,18; 24,17). Probabilmente il riferimento alla luce, senza precisazione della sua fonte, veniva percepito dagli autori del Nuovo Testamento come rimando più adeguato alla trascendenza divina.

Dal punto di vista antropologico, interessante è il detto di Mt 6,22-23, che paragona l’occhio umano a una lampada, secondo un’immagine comune sia nel mondo greco che in quello giudaico «La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!». Si faccia attenzione che il riferimento finale alla «luce» è probabilmente sempre un’immagine dell’occhio: come organo della vista è ciò che consente che ci sia luce nella persona.

Il detto, quindi, non fa tanto riferimento a una “illuminazione interiore”, ma al valore dello sguardo sulla realtà che si vive e sui rapporti con gli altri, che può essere «semplice», cioè retto, limpido, mite, o «cattivo», cioè, malizioso, invidioso.

L’occhio esprime l’intenzionalità fondamentale che il soggetto applica alla realtà e questa si riflette sulla sua situazione complessiva di vita (rappresentata dal «corpo»), descritta come luminosa o tenebrosa.

Infatti nel brano parallelo l’evangelista Luca aggiunge un versetto («Se dunque il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere alcuna parte nelle tenebre, sarà tutto nella luce, come quando la lampada ti illumina con il suo fulgore», Lc 11,36) che sembra suggerire che la vita di colui che ha lo sguardo capace di diffondere luce; con ciò ci si ricollega all’interpretazione matteana del detto sulla lampada che non va nascosta, riportata in Mt 5,14-16 «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli»).

Come si vede il fine della testimonianza, data dalle opere buone che sgorgano dallo sguardo semplice sulla realtà, è la glorificazione di Dio, il riconoscimento della sua paternità e del suo operare nella storia.

Infatti diversi detti collegano l’immagine della luce al manifestarsi della rivelazione: così è per il detto sulla lampada che non si può nascondere in Mc 4,21-22 («Diceva loro: “Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce”».

E nemmeno dobbiamo, Fratelli e Sorelle, dimenticare Lc 8,16; 11,3) e per Mt 10,27 «Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze»; Lc 8,17; 12,2-3).

Quello che Gesù annuncia, infatti, è di per sé stesso destinato a diventare manifesto, in quanto espressione del disegno divino di salvezza che chiede all’uomo di essere accolto. Ma ciò significa, ovviamente, che Gesù stesso, o meglio, IL MESSIA ATTESO) può essere definito «luce» (in Mt 4,16, che riprende Isaia 9,1; e in Lc 2,32).

Questo non tanto in relazione alla sua natura, ma piuttosto alla sua missione, che è quella di donare la salvezza divina (riprendendo quindi il valore simbolico della luce che abbiamo visto in diversi passi dell’Antico Testamento).

La connessione fra luce e offerta della salvezza si può trovare anche nella parola apostolica (At 13,47, dove Paolo e Barnaba applicano alla loro attività l’oracolo di Is 4,6, e Ef 3,8-9), ovviamente in quanto proclamazione del Vangelo di Gesù.

Collegando questo a Mt 5,14-16 si vede come la vita dell’apostolo e discepolo debba essere improntata all’assoluta trasparenza luminosa del suo parlare e del suo agire in riferimento all’annuncio del Cristo.

Inoltre, allegoricamente il tema della luce può essere visto in ogni avvenimento importante, che è preceduto da alcune prove. Dapprima la notte, una notte buia e fredda, a volte glaciale, resa ancora più penosa dai venti. Il momento tanto atteso tarda a giungere, bisogna aspettare, bisogna saper aspettare.

Mentre le stelle sbiadiscono lentamente, l’orizzonte lontano si copre dolcemente di un alone chiaro, che si fa rosa col passare del tempo. Il momento atteso arriva, infine, quando una riga rossa sottile si staglia nel cielo e si ingrandisce a vista d’occhio verso l’est e si leva alto il giorno.

LA LUCE DELLA FEDE, QUESTA LUCE PREZIOSA, SI ACCENDE NELLE NOSTRE ANIME ALLO STESSO MODO, SE SAPPIAMO ASPETTARLA, SOLLECITARLA CON LA PREGHIERA. E LA GRAZIA SEGUE LA LUCE, LA LUCE DIVENTA GRAZIA. DIO È PRESENTE.

CON IL BATTESIMO NOI ABBIAMO RICEVUTO QUESTA PICCOLA LUCE NEL NOSTRO CUORE, NELL’INTIMO DELLA NOSTRA ANIMA. MA PUÒ CAPITARE CHE, COL PASSARE DEGLI ANNI, LA FIAMMA DI QUESTA PICCOLA TORCIA DIMINUISCA E TENDA A SPEGNERSI.

DOBBIAMO ALLORA FARE MOLTA ATTENZIONE, VEGLIARE E NON ACCETTARE CHE SI SPENGA DEFINITIVAMENTE.

DOBBIAMO RAVVIVARLA E CONSERVARLA SEMPRE AL CENTRO DELLA NOSTRA VITA IN BALIA DI DUBBI E DOMANDE. DOBBIAMO PROTEGGERLA E TENERLA SEMPRE ACCESA AFFINCHÉ POSSA ILLUMINARCI, GUIDARCI NELLE NOSTRE SCELTE, NELLE NOSTRE DECISIONI O NELLE NOSTRE AZIONI, ED INONDI TUTTA LA NOSTRA VITA.

E non dobbiamo mai dimenticare che quando la Parola abbondantemente seminata in noi, germoglia e porta frutto, anche chi gli è attorno beneficia della sua bontà e se ne nutre.

Se davvero la Parola ci abita e orienta le nostre scelte, non siamo solo noi a gioire e godere della vita nuova in Cristo ma anche chi ci sta attorno.

Accade come se nella nostra vita si accendesse una luce che ci rischiara e rischiara anche l’ambiente che ci sta attorno.

Ma, perché ciò accada, ci ammonisce Gesù, occorre mettere la lampada sul lampadario, in alto.

Se la nostra fede, le nostre scoperte, la nostra vita interiore resta nascosta, abitualmente perché ci vergogniamo del giudizio altrui, pensiamo di non essere pronti o capaci nel difendere le novità che abbiamo scoperto, difficilmente riusciremo a portare luce.

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!