19.05.2022 GIOVEDI’ 5′ SETTIMANA DI PASQUA C – GIOVANNI 15,9-11 “Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 15,9-11

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Il lungo discorso fatto da Gesù dopo l’ultima cena, nel vangelo di Giovanni, di fatto riassume tutta la predicazione del Signore, e l’evangelista lo pone prima dell’arresto nell’orto per sottolinearne la drammaticità e l’importanza.

Oggi in pochi versetti, Gesù riassume tutta la sua opera e la nostra fede: credere è dimorare nell’amore con cui siamo stati amati e concretizzare la reciprocità di questo amore nell’osservanza dei comandamenti.

«Rimanere in me» è l’invito forte fatto ai suoi, come via per restare nella cura del Padre e portare frutto nella propria vita.

In questi versetti viene rimodulato il rapporto Padre-Figlio nei termini di una relazione d’amore. È il cuore del racconto giovanneo: facendo di Gesù l’oggetto del suo amore, Dio rivela al mondo il suo vero volto, quello della sollecitudine e della generosità.

Il «come» che concatena ciò che il Padre ha fatto per il Figlio, con ciò che il Figlio ha fatto per i discepoli, dimostra che in Gesù si manifesta storicamente l’amore divino.

Percepire l’amore di Dio e ricambiarlo produce in noi una gioia intima e profonda, ben lontana dall’emozione momentanea cui siamo abituati.

Dimorare nell’amore: darci l’opportunità di percepire questo amore, nella meditazione, nella preghiera, nella lettura profonda e spirituale degli eventi.

E vivere di conseguenza: i nostri gesti e le nostre scelte scaturiscono dall’amore che abbiamo incontrato.

Rimanere nell’amore è vivere sotto la luce della parola di Dio, lasciarsi guidare dallo Spirito che ci rasserena.

Rimanere” è l’opposto di andare senza meta, facendosi trasportare dal vento delle nostre passioni e dalla superficialità dei nostri gusti.

Solo così, rimanendo fermi nel cuore di Dio, il suo amore diventa l’aria che respiriamo, il sostegno della nostra vita.

Come il Padre e il Figlio sono venuti a porre in noi la loro dimora (Gv.14,23), noi, a nostra volta possiamo porre la nostra in Loro e abitare nel Loro Amore.

È QUESTA UNA VERA MUTUA INABITAZIONE DELLA TRINITÀ IN NOI E DI NOI IN ESSA.

Questo amore viene da lontano: non solamente da Gesù, di cui conosciamo il volto e la voce, ma, attraverso Gesù, dall’Eterno Padre.

Ecco quale amore abbiamo ricevuto in dono: l’amore stesso di Dio, che è vita eterna.

Nessuno, meglio di SANT’AGOSTINO, in “De catechizandis rudibus” IV, 8, lo ha espresso in un modo più bello:

«Cristo è venuto innanzi tutto per far conoscere all’uomo quanto Dio lo ami e per fargli sapere che egli deve ardere di amore per Lui che lo ha amato per primo, e amare il prossimo per ordine e sull’esempio di Lui che si è fatto prossimo dell’uomo amandolo».

Purtroppo il cuore dell’uomo, spesso chiuso e diffidente, a volte fatica ad accettare di essere infinitamente amato da Dio, nonostante i suoi peccati e i suoi rifiuti.

E così facendo, si chiude alla gioia vera. Perché senza di Lui la nostra gioia non può essere piena, perché solo Lui può darcela, ed è una gioia piena, perfetta, santa. Altrimenti rimarremo nella tristezza per sempre.

Il Vangelo di oggi inoltre reca una novità rispetto alla similitudine dei tralci e della vite, ed è il motivo della gioia «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11) e quanto dice Giovanni nella sua prima lettera “Queste cose vi scriviamo, perché la vostra gioia sia piena” (1 Gv 1,4) sono una ulteriore conferma che i comandamenti non hanno altro fine se non quello di immergerci in una gioia piena, quella che procura il rimanere nell’amore di Cristo.

Una gioia vera che il mondo non conosce, perché è custodita in Dio.

Secondo le parole di Gesù, si tratta di una gioia che scaturisce da un “amore diffusivo”:

  • dal Padre al Figlio,
  • dal Figlio ai discepoli
  • e da ogni discepolo ad ogni uomo che fa la volontà di Dio.

Dell’amore del Padre e del Figlio si parla al passato, perché davanti alla comunità c’è oramai il Cristo risorto.

La sua risurrezione è il segno tangibile di una vita spesa nell’amore del Padre e del prossimo.

Dell’amore dei discepoli, invece, si parla al presente: “Rimanete”.

Il presente dice continuità: rimanete, perseverate nel mio amore che è già in voi, perché è l’amore che rende bello e possibile il mutuo “rimanere in”, è l’amore che crea l’atmosfera della comunità cristiana che potremmo definire come un entusiasmo, un mutuo infervorarsi nella donazione totale degli uni agli altri.

Di qui l’inevitabile gioia, una gioia che deve farsi piena.

San Tommaso d’Aquino scrive:

  • “Dall’amore di carità consegue necessariamente la gioia. Infatti, chiunque ama gioisce per la presenza dell’amato, e la carità ha sempre presente Dio che è l’amato, come dice Giovanni nella sua Prima Lettera (4, 16): «Chi rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui». Per cui, conseguenza dell’amore è la gioia” ( Th.,I-II, q. 70, a. 3, c).

Ma c’è ancora un altro particolare davvero importante da valutare.

«Come il Padre ha amato me, così anche io ho amato voi», è l’origine e il fondamento di tutta la vita cristiana e il verbo ALL’INDICATIVO sta a significare che questa è una realtà già attuata: L’AMORE DEL PADRE NON È DA CONQUISTARE MA È GIÀ STATO DONATO GRATUITAMENTE E QUINDI È SOLO DA ACCOGLIERE.

Per questo motivo, dopo aver rivelato l’amore con cui siamo stati e siamo amati, Gesù esorta a rimanere nel suo amore, come i tralci sono uniti alla vite «Rimanete nel mio amore».

Questo è possibile grazie all’osservanza dei suoi comandamenti, grazie ai quali la linfa dell’amore divino circola dalla vite ai tralci, e il verbo all’imperativo (rimanete) indica l’impegno che deve maturare in noi.

Ha scritto San John Henry Newman (1801-1890), Cardinale, fondatore di una comunità religiosa, teologo:

  • “Cristo se n’era andato; gli apostoli avevano certamente pace e gioia in abbondanza, anche più di quando Gesù era con loro. Ma non era una gioia “come la dà il mondo” (Gv 14,27).

Era la sua gioia, nata dalla sofferenza e dal dolore. Fu questa gioia che Mattia ricevette quando fu fatto apostolo. (…) Gli altri erano stati scelti, per così dire, nella loro infanzia: eredi sì del Regno, ma ancora “sotto tutori, amministratori” (Gal 4,2).

Per quanto potessero essere apostoli, non comprendevano ancora la loro vocazione; conservavano dentro di sé pensieri di ambizione umana, desideri di ricchezza, e così furono accettati per un certo tempo. (…)

San Mattia entrò subito nell’eredità. Dal momento della sua elezione ha preso su di sé il potere dell’apostolo e il prezzo da pagare.

Nessun sogno di successo terreno poteva toccare questo trono che sorgeva sulla tomba di un discepolo vagliato e caduto, all’ombra stessa della croce di colui che aveva tradito.

Sì, San Mattia può ripeterci oggi le parole di nostro Signore: “Prendete il mio giogo, imparate da me” (Mt 11,29). Perché lui stesso ha portato questo giogo fin dall’inizio. (…)

Dalla sua “giovinezza apostolica”, ha portato il giogo del Signore. Ha intrapreso senza indugio il suo grande viaggio quaresimale e vi ha trovato la gioia (…)

“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).

Venire a Cristo è seguirlo; prendere la sua croce è prendere il suo giogo; se ci dice che è leggero, è perché è il suo giogo; è lui che lo rende leggero, senza renderlo altro che un giogo impegnativo. (…)

Non voglio dire, naturalmente, lungi da ciò, che la vita come seguace di Cristo manchi di gioia e di pace.

 “Il mio giogo è dolce”, dice Gesù, “e il mio carico è leggero” (Mt 11,30). È la grazia che lo rende tale, perché rimane austero (…): è una croce”.

Ha detto una mistica moderna, della quale abbiamo spesso parlato, MADELEINE DELBRÊL, nel suo testo “Che gioia credere”:

  • «Amare sempre e comunque, è la via miglior per salvare sicuramente qualcuno, in qualche parte del mondo.”

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!