Caterina di Jacopo di Benincasa – Santa Caterina da Siena

Caterina di Jacopo di Benincasa nota come Santa Caterina da Siena

DOTTORE DELLA CHIESA – ANALFABETA-

Siena, 25 marzo 1347 – Roma, 29 aprile 1380, è stata una religiosa, teologa, filosofa e mistica italiana.

Venerata come santa, fu canonizzata da Pio II nel 1461; nel 1970 è stata dichiarata dottore della Chiesa da Paolo VI. È patrona d’Italia insieme a san Francesco d’Assisi e compatrona d’Europa.[2]

Caterina nacque a Siena, nel rione di Fontebranda, nella contrada dell’Oca, nel 1347, figlia del tintore di panni Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa Piacenti, ventiquattresima di venticinque figli. Assieme a lei nacque una sorella gemella, battezzata con il nome di Giovanna, che morì a poche settimane di vita.

Quando Caterina raggiunse l’età di dodici anni i genitori iniziarono varie trattative per concludere un matrimonio vantaggioso per la figlia. All’inizio Caterina sembrò accettare, ma poi, pentitasi, dichiarò espressamente che si era votata al Signore e che non intendeva ritirare la parola data.

Bisogna tuttavia tenere presente che, nel Medioevo, se una donna voleva prendere i voti, l’unica strada che poteva percorrere era quella di entrare in un monastero e versare a esso una dote. Caterina non aveva questa possibilità perché non possedeva una dote nei termini richiesti.

Però non cedette, pur non sapendo come avrebbe realizzato il suo sogno. Fu allora isolata dalla sua stessa famiglia. Ma un giorno il padre la sorprese in preghiera e, secondo la tradizione, a tale vista Jacopo si rese conto che l’atteggiamento della figlia non proveniva da umana leggerezza e dette ordine che nessuno più la ostacolasse nel suo desiderio.

Caterina scese così nel concreto pensando di entrare fra le Terziarie domenicane, che a Siena erano note con il nome di “Mantellate” a causa del mantello nero che copriva la loro veste bianca. La giovane senese aveva da poco passato i sedici anni ed era quindi troppo giovane per garantire la perseveranza sotto la regola dell’Ordine.

Quindi monna Lapa, spinta dalle insistenze della figlia, si decise ad andare a parlare alla priora delle “Sorelle della penitenza di San Domenico”, ma ne ebbe un rifiuto perché esse non erano solite ammettere le vergini all’abito, bensì solo vedove o donne in età matura e di buona fama.

Caterina da Siena fu poco dopo colpita da una malattia: altissime febbri e penosissime pustole ne sfigurarono il volto, facendola sembrare più anziana e meno aggraziata di quello che era. Allora Caterina pregò la madre di recarsi nuovamente dalla priora per dirle che lei sarebbe morta se non l’avessero ammessa nella loro confraternita.

La priora, a sentire quella accorata implorazione, mandò alcune consorelle anziane a sincerarsi della situazione e della costanza dei sentimenti di Caterina. Le suore furono impressionate dai lineamenti sfigurati dell’ammalata e dall’ardore del suo desiderio di ricevere l’abito domenicano e riferirono tutto fedelmente. L’ammissione di Caterina fu accettata a pieni voti. La buona notizia fu accolta con lacrime di gioia dall’ammalata e ciò contribuì a farla guarire dalla malattia e nell’anno 1363 (il suo sedicesimo anno di vita), nella basilica di San Domenico, le fu dato l’abito dell’Ordine.

Entrata a fare parte delle Mantellate, Caterina non aveva esperienza di preghiere, adunanze e pratiche penitenziali. Ma era soprattutto la preghiera comune la cosa più difficile per lei. Infatti le preghiere erano per lo più in latino, come la Messa, ma Caterina, salvo il Paternoster e l’Ave, non sapeva né capiva altro. Non sapendo né leggere né scrivere, chiese a una consorella più istruita di insegnarle quel tanto che bastava, ma non ne ricavò nulla. Per tre anni si isolò dalle altre suore.

Caterina da Siena riteneva che assistere gli ammalati e i poveri, che impersonavano Cristo sofferente, fosse il modo per trovare il Signore. Sono ricordati diversi episodi di carità verso i poveri (come i vestiti dati ai più bisognosi o un mantello donato a un povero pellegrino) e verso gli infermi (come Cecca la lebbrosa, che lei assistette e curò con amore, anche se si narra che la sua assistenza venne ricambiata con percosse e insulti).

Caterina fu attiva soprattutto presso l’ospedale di Santa Maria della Scala, che accoglieva moltissimi pazienti affidati alle modeste cure mediche del tempo e alla pietosa assistenza dei parenti e di qualche volontario.

C’erano anche malati che nessuno assisteva, o perché non avevano parenti, o perché erano afflitti da malattie contagiose: Caterina si dedicò ad assistere in particolare quest’ultimo tipo di ammalati. Questa sua attività durò per mesi, specialmente in tempo di epidemie, allora molto frequenti e micidiali; il suo esempio cominciò a essere imitato da altre Mantellate della sua fraternità.

Nelle testimonianze prodotte da frate Tommaso Caffarini [3] – confidente di santa Caterina da Siena e incaricato della raccolta documentale per il processo di canonizzazione della stessa, aperto nel 1411 – emerge l’abnegazione con cui la santa si dedicava ai malati: una consorella di nome Andrea – che l’aveva anche ingiustamente calunniata di colloqui impudichi – si ammalò e le venne sul petto una piaga cancrenosa e purulenta che nessun’altra suora si sentì di curare, visto anche il pericolo di contagio e il fetore insopportabile che emanava la ferita.

Solo Caterina da Siena si prese premurosamente cura di suor Andrea e, quando un giorno la piaga produsse una quantità ancor maggiore di pus, la santa – per punirsi del ribrezzo provato nell’assistere l’inferma in tale frangente – dopo avere raccolto tutto questo pus in una scodella ed essersi fatta il segno della croce, lo bevve fino in fondo e, come lei stessa riferì poi a frate Tommaso Caffarini, sentì di non avere mai bevuto a sua memoria un’altra bevanda tanto dolce.[4]

Caterina da Siena avrebbe poi anche contribuito alla pacificazione di famiglie senesi rivali coinvolte in faide.

Nell’ottobre del 1370 i fratelli della santa si trasferirono a Firenze e, dopo alcuni mesi di residenza, chiesero di ottenere la cittadinanza fiorentina. In pratica la famiglia di Jacopo e Lapa si sfaldò, ma Lapa decise di restare con Caterina.

Da allora Caterina iniziò a essere accompagnata dalla “Bella brigata”, un gruppo di uomini e donne che la seguivano, la sorvegliavano nelle sue lunghe estasi, l’aiutavano in ogni modo nelle attività caritative e anche nella corrispondenza che gente di ogni parte intratteneva con lei. Intanto, dopo l’anno di prova, Caterina prese i voti fra le Mantellate.

Caterina da Siena iniziò un’attività di corrispondenza, avvalendosi di membri della brigata a cui dettava le sue lettere. Ne scrisse circa 300, durante gli ultimi dieci anni (1370-1380) della sua vita. Questo ricco epistolario affrontava problemi e temi sia di vita religiosa che di vita sociale di ogni classe, e anche problemi morali e politici che interessavano tutta la Chiesa, l’impero, i regni e gli Stati dell’Europa trecentesca.

Caterina scrisse anche a personalità importanti dell’epoca. Su questi interessi qualcuno esprimeva giudizi critici, per questo Caterina dovette presentarsi al Capitolo Ordine Domenicano, che si tenne a Firenze nel 1374.

C’era chi accusava Caterina di tendenza a un protagonismo fuori degli schemi tradizionali, che non competevano certo a una donna, per di più popolana e non colta.

Al Capitolo non fu trovata in Caterina nessuna colpa ma, riconoscendo la singolarità del suo caso, i Padri preferirono prendere una decisione eccezionale: le assegnarono un confessore personale, il quale fosse sua guida e garante del suo spirito domenicano; a questo compito fu assegnato fra Raimondo da Capua.

Rientrata a Siena da Firenze, Caterina fu impegnata ad assistere gli ammalati, colpiti da una delle frequenti epidemie di quel tempo. Intanto due dei suoi precedenti discepoli e confessori, trasferiti a Pisa, diffusero in quella città la sua fama tanto che Piero Gambacorti, il signore di quella città, invitò Caterina a Pisa. Caterina accettò quell’invito e vi si recò nei primi mesi del 1375.

Secondo la tradizione qui, nella domenica delle Palme, nella chiesa di Santa Cristina, davanti a un crocifisso oggi nel santuario Cateriniano, Caterina ricevette le stigmate, che però su richiesta della santa rimasero a tutti invisibili.

Incomincia agli inizi del 1376 la corrispondenza con il papa Gregorio XI, da lei definito il “dolce Cristo in terra”. In un anno furono ben dieci le missive da lei dirette al pontefice. In esse vengono toccati tutti i temi riguardanti la riforma della Chiesa, a cominciare dai suoi pastori, insistendo sul ritorno del papa alla sua sede propria che è Roma.

Nel 1375 la repubblica di Firenze, che era in conflitto con la Santa Sede per avere aderito a una politica antipapale e per questo era stata colpita da interdetto, si trovava in forti difficoltà economiche. Caterina da Siena fu incaricata di fare da mediatrice di pace e di perdono e inviò, perché la precedessero con una sua lettera, il suo confessore e altri due frati. Non le bastò però questa missiva e così Caterina da Firenze si mise in cammino verso la Francia.

Il 18 giugno 1376 Caterina giunse ad Avignone, dove l’attendevano fra’ Raimondo con i suoi compagni. La religiosa fu ricevuta dal papa. Per quanto riguarda l’ambasceria per la città di Firenze il comportamento dei messi mandati dal Governo della città toscana rese vana la mediazione di Caterina.

Il 13 settembre Gregorio XI varcò il ponte sul Rodano e lasciò Avignone diretto a Roma. Una volta arrivato a Marsiglia il pontefice proseguì il viaggio per nave, facendo scalo a Genova. Lì fu messo in crisi dalla notizia dei disordini scoppiati a Roma e delle disfatte delle truppe pontificie per opera dei fiorentini.

La maggioranza dei cardinali insisteva per tornare indietro. In questo clima di incertezza si narra che fu Caterina a rassicurare il papa che la volontà divina lo chiamava a Roma e che Cristo lo avrebbe protetto, facendogli riprendere il viaggio. Gregorio non sopravvisse molto al ritorno, morendo il 27 marzo 1378.

Gravi problemi sorsero quando fu eletto il successore del papa Gregorio XI. Uno scisma era scoppiato nella Chiesa a causa della rivolta di alcuni cardinali, in gran parte stranieri, che avevano dichiarata invalida l’elezione di Urbano VI. Il 20 settembre del 1378 elessero a Fondi un antipapa, che prese il nome di Clemente VII, il quale fu poi costretto a fuggire ad Avignone con i cardinali che lo avevano eletto. Caterina si schierò a favore di Urbano VI.

Secondo la tradizione, durante gli ultimi giorni della sua vita ci furono continue visite dei figli spirituali e a ciascuno di essi, dopo le comuni raccomandazioni, lei comunicava ciò che dovevano fare successivamente nella vita.

La mattina della domenica dopo l’Ascensione, il 29 aprile 1380, prima dell’alba, fu notato in lei un grande mutamento, che fece pensare all’avvicinarsi della sua ultima ora. Il suo respiro diventò così fievole che fu deciso di darle l’Unzione degli infermi. Durante le sue ultime ore più volte chiamò “Sangue! Sangue!”. E infine disse: “Padre, nelle tue mani raccomando l’anima e lo spirito mio”. Spirò quella domenica 29 aprile del 1380, poco prima di mezzogiorno.

Misticismo

Caterina fu oggetto di fenomeni mistici caratterizzati da visioni. Secondo i racconti del suo confessore, già all’età di sei anni ella si sarebbe rifugiata in un eremo per soddisfare il suo desiderio di consacrarsi. Durante una notte di carnevale del 1367 le apparve Cristo accompagnato dalla Vergine e da una folla di santi, e le donò un anello visibile solo a lei, sposandola misticamente.

Dopo essere stata accolta dalle Mantellate, frequenti furono le sue estasi presso la chiesa del convento dedicata a san Domenico.

Qui stava ritirata in preghiera e qui aveva frequenti colloqui familiari con Gesù Cristo, suo mistico sposo. Sono annoverate frequenti estasi da lei avute mentre rimaneva appoggiata a un pilastro ottagonale della chiesa.

Qui dette le sue vesti a Gesù sotto forma di povero, che poi la rivestì di vesti che non le fecero più sentire il freddo. Qui le apparve Gesù circondato da luce che le aprì il petto e le porse il suo cuore, dicendo: “Ecco carissima figlia mia, siccome io l’altro giorno ti tolsi il tuo cuore, così ora ti do il mio per il quale tu sempre vivi”.

Nel Trattato della Divina Provvidenza vengono da lei stessa descritti alcuni di tali episodi mistici, tra i quali rende per esempio ciò che Dio le avrebbe rivelato circa il mistero trinitario e l’incarnazione del Figlio:

«Mandai el Verbo dell’unigenito mio unico Figliuolo (el quale fu figurato per Eliseo) che si conformò con questo figliuolo morto, per l’unione della natura divina unita con la natura vostra umana. Con tutte le membra si unì questa natura divina, cioè con la potenza mia, con la sapienza del mio Figliuolo e con la clemenzia dello Spirito Santo, tutto me, Dio, abisso di Trinità, conformato e unito con la natura vostra umana.»

La sua orazione allo Spirito Santo è considerata una delle vette della spiritualità cristiana:

«Spirito Santo, vieni nel mio cuore, per la tua potenza tiralo a te, Dio vero. / Concedimi carità e timore. / Custodiscimi o Dio da ogni mal pensiero. / Inflammami e riscaldami del tuo dolcissimo amore, / acciò ogni travaglio mi sembri leggero. / Assistenza chiedo ed aiuto in ogni mio ministero. / Cristo amore, Cristo amore.»

Nell’aprile 1375 Caterina ricevette le stigmate nella chiesa di Santa Cristina a Pisa, stimmate che solo lei poteva vedere ma che furono rese visibili poco prima della sua morte.

Caterina ha lasciato un epistolario di 381 lettere, una raccolta di 26 preghiere e il Dialogo della Divina Provvidenza. Molte delle opere di Caterina sono state dettate, anche se Caterina era capace di scrivere e scrisse alcune lettere di suo pugno.[5]

Le Lettere

Alla morte di Caterina i suoi discepoli raccolsero le sue lettere. Il teologo Tommaso Caffarini, incaricato delle trattative per la canonizzazione di Caterina, fu autore della raccolta considerata ufficiale. Le Lettere riscossero fin da subito un enorme successo.

L’editio princeps, curata da Bartolomeo Alzano, fu data alle stampe da Aldo Manuzio a Venezia nel 1500.[6] La raccolta, comprendente 353 lettere, fu più volte ristampata nel corso del ‘500. Nell’edizione del 1860 Niccolò Tommaseo tentò di restituire alle Lettere l’ordine cronologico e le corredò di un apparato di note molto apprezzato dagli studiosi sia dal punto di vista storico che sotto il profilo linguistico-letterario.[7]

Le Orazioni

Le Orazioni di Caterina furono raccolte dai suoi discepoli negli ultimi tempi della sua vita. Si tratta di un’antologia delle molte preghiere che Caterina pronunciò nel corso delle sue estasi, messe per iscritto dai suoi discepoli presenti. Furono pubblicate in appendice alle lettere nell’edizione aldina del 1500, e nelle edizioni del Dialogo, di Girolamo Gigli e di Innocenzo Taurisano. Gigli raccolse e emendò le Orazioni servendosi di un manoscritto di Tommaso Buonconti da Pisa, discepolo della santa.[8]

Il Dialogo della Divina Provvidenza

Caterina dettò il Dialogo della Divina Provvidenza (noto anche come Libro della Divina Dottrina) in volgare ai suoi discepoli Neri Pagliaresi, Stefano Maconi e Barduccio Canigiani nell’autunno del 1378. L’opera fu terminata il 13 ottobre di quell’anno. Caterina considerava il Dialogo il suo testamento spirituale: il Dialogo viene oggi considerato uno dei capolavori della letteratura mistica medievale[9] e della prosa italiana del XIV secolo.[10]

Cristofano di Gano Guidini, Stefano Maconi e Raimondo da Capua lo tradussero dal volgare in latino. L’editio princeps in italiano del Dialogo fu pubblicata a Bologna nel 1472 dal tipografo Baldassare Azzoguidi.

Il Dialogo fu uno dei primi libri a stampa pubblicati in Italia, accanto ai grandi classici dell’antichità[11] e fu ristampato molte volte negli anni successivi. Ne furono realizzate anche traduzioni in francese (la prima pubblicata a Parigi nel 1580), inglese (Londra, 1519), tedesco (Bamberga, 1761) e spagnolo (Ávila, 1925).

Caterina da Siena fu canonizzata dal papa senese Pio II nel 1461. Nel 1866 il papa Pio IX la volle annoverare fra i compatroni di Roma.

Paolo VI ha proclamato santa Caterina dottore della Chiesa il 4 ottobre 1970. Prima donna a ricevere tale titolo nella Storia della Chiesa, l’omelia affermò che:

«Tutti voi, del resto, ricordate quanto […] sia stata affamata di giustizia e colma di viscere di misericordia nel cercare di riportare la pace in seno alle famiglie e alle città, dilaniate da rivalità e da odi atroci; quanto si sia prodigata per riconciliare la repubblica di Firenze con il Sommo Pontefice Gregorio XI, fino a esporre alla vendetta dei ribelli la propria vita. […]

Noi certamente non troveremo negli scritti della Santa, cioè nelle sue Lettere, conservate in numero assai cospicuo, nel Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina e nelle «orationes», il vigore apologetico e gli ardimenti teologici che distinguono le opere dei grandi luminari della Chiesa antica, sia in Oriente che in Occidente; né possiamo pretendere dalla non colta vergine di Fontebranda le alte speculazioni, proprie della teologia sistematica, che hanno reso immortali i Dottori del medioevo scolastico. E se è vero che nei suoi scritti si riflette, e in misura sorprendente, la teologia dell’Angelico Dottore, essa vi compare però spoglia di ogni rivestimento scientifico. Ciò invece che più colpisce nella Santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda e inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede, contenuti nei Libri Sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta a un carisma di sapienza dello Spirito Santo, un carisma mistico.»

(Paolo VI, Omelia per la proclamazione di santa Caterina da Siena a Dottore della Chiesa, 3 ottobre 1970[12])

Devota del Preziosissimo Sangue di Gesù, la “non colta vergine di Fontebranda” ricevette in dono dallo Spirito Santo Dio “le sacre stigmate, lo “mistico sposalizio”, la “sapienza infusa”. Identificò la Chiesa con il Suo corpo mistico e il pontefice con il Vicario di Cristo in terra, a cui, in quanto tale, erano dovuti ossequio e obbedienza.

Richiamò vigorosamente il clero a un forte impegno pastorale per arginare la dispersione dei fedeli, il Pontefice al suo ritorno nella Santa Sede legittima, a Siena per la pacificazione locale. Il suo impegno politico ebbe il fine «di sconfiggere il dimonio e toglierli la signoria che egli ha presa dello uomo per lo peccato mortale, e trargli l’odio del cuore, e pacificarlo con Cristo Crocifisso e con il prossimo suo» (Lettera 122).

La santa è anche raffigurata insieme a San Domenico nel quadro della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei.

Numerose sono oggi le reliquie attribuite a Caterina. Ella fu sepolta a Roma, nel cimitero di Santa Maria sopra Minerva: il corpo è ancora conservato in tale basilica. Ma l’anno successivo, nel 1381, il suo cranio fu portarto come reliquia a Siena, e nel 1384 fu oggetto di culto solenne e portato in processione nella basilica di San Domenico, dove tuttora è conservato.[13] Nella stessa basilica è conservato un dito di Caterina: con tale reliquia viene impartita la benedizione all’Italia e alle Forze Armate nel pomeriggio della domenica in cui si tengono le Feste internazionali in onore della santa.

Il piede sinistro è invece conservato a Venezia (nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo). Nel Duomo di Siena era presente una costola: essa però fu donata al santuario di Santa Caterina ad Astenet in Belgio, costruito nel 1985 per volontà dei devoti di quel paese. Infine una scaglia di una scapola di Caterina si trova nel santuario di Caterina a Siena.

La mano sinistra della santa, che porta il segno delle stigmate, è custodita nel monastero del Santo Rosario di Monte Mario a Roma. Fu asportata dal corpo durante l’apertura dell’urna nel 1487.

A staccare questa parte del corpo della santa fu fra’ Gioacchino Torriani O.P., Generale dell’Ordine, che ne fece dono alle monache domenicane della Congregazione di San Domenico e San Sisto, che risiedevano dove oggi risiedono le monache del Santo Rosario a Monte Mario a Roma. Di questa asportazione si ha notizia della cronaca del convento.

Miracoli

Uno dei miracoli riconosciuti dalla Chiesa Cattolica risale all’ottobre del 1376, quando, in ritorno dalla corte papale di Avignone, passò a Varazze (località del savonese), curiosa di conoscere i luoghi che avevano dato i natali al beato Jacopo da Varagine.

Caterina ebbe però una spiacevole sorpresa: la cittadina si presentava malridotta e abbandonata a causa della peste che aveva decimato la popolazione. Caterina pregò intensamente per gli abitanti di Varazze affinché finisse il loro dolore e i cittadini furono liberati dal flagello.

In cambio del prodigio la santa chiese ai varazzini di onorare il loro illustre concittadino, dedicando una cappella a suo nome e alla Santissima Trinità. In ricordo di quell’episodio miracoloso Varazze eresse la santa di Siena a propria patrona dedicandole ogni anno, il 30 aprile, una processione.

Santa Caterina è stata proclamata patrona d’Italia nel 1939 da Pio XII (assieme a san Francesco d’Assisi) e compatrona d’Europa da Giovanni Paolo II il 1º ottobre del 1999.

Riferimenti

  1. ^Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani
  2. ^Dal sito della Santa Sede
  3. ^Tommaso Caffarini, frate Domenicano e professore di teologia, fu confidente di santa Caterina da Siena e incaricato della raccolta dei documenti per la canonizzazione della stessa (Fra Tommaso Caffarini da Enciclopedia Treccani. URL consultato il 07 febbraio 2018).
  4. ^Angelo Belloni, I fioretti di santa Caterina, Città Nuova Editrice, 2008, pp. 77-80, ISBN 978-88-311-1442-4.
  5. ^Caterina da Siena: Una mistica trasgressiva, André Vauchez, Laterza, 2018, [1]
  6. ^Caterina da Siena. La vita, gli scritti, la spiritualità, Giuliana Cavallini, Città Nuova, 2008, 1886, p. 60
  7. ^Le lettere, Caterina da Siena, Paoline, 1993, p. 43
  8. ^Storia di S. Caterina da Siena e del papato del suo tempo, Alfonso Capecelatro, Tip. liturgica di S. Giovanni, 1886, p. 272
  9. ^Storia della spiritualità cristiana: 700 autori spirituali, Philippe de Lignerolles, Jean-Pierre Meynard, Gribaudi, 2005, p. 131
  10. ^Santi d’Italia, Alfredo Cattabiani, Bur, 1993, [2]
  11. ^Dominique de Courcelles, Le “Dialogue” de Catherine de Sienne, France, CERF, coll. « Classiques du christianisme », septembre 1999, p. 134.
  12. ^(IT, PT) Omelia del Santo Padre Paolo VI- Proclamazione di Santa Caterina a Dottore della Chiesa, su va, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 3 ottobre 1970. URL consultato il 2 marzo 2019(archiviato il 10 agosto 2015).
  13. ^Santa Caterina, patrona d’Italia e d’Europa, siena-agriturismo.it. URL consultato il 14 maggio 2014.

 

 

MA CERTAMENTE QUESTA SANTA, CAPOLAVORO DI DIO, fu uno dei geni della sapienza religiosa e, BENCHE’ ANALFABETA, Caterina da Siena, dimostra che l’amore e quindi la luce è dato a tutti, qualunque sia il grado della mente.

L’esempio di Caterina apre il valico alla comprensione del mistero di Maria di Nazareth.

Se uno vuoi conoscer Dio per amarlo, già perché lo ama lo conosce.

Il bimbo conosce il padre dall’amore, dalla vita, anche se non si rende conto dei compiti svolti dal padre, della sua posizione nel mondo, della sua natura umana: «Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv. 4, 7-8).

Caterina da Siena condensò l’opera e la parola di Gesù nel binomio: Fuoco e sangue.

Egli — come dice l’Apocalisse (1, 5) — è «colui che ci ama e ci ha prosciolti dai peccati nostri nel suo sangue». Il fuoco dell’amore suscitò la redenzione: «Fuoco son venuto a portare sulla terra e solo desidero che arda» (Le. 12, 49).

Una comunità cristiana, un’anima, congelata nelle sole norme, pur belle, nelle sole pratiche personali, pur sante, se non spande fuoco di carità è come un tizzone spento. «Infatti il Dio nostro è fuoco divoratore…» (Ebr. 12, 29). Dalla sola data del Golgota ad oggi la rivoluzione bruciante dell’amore ha divorato errori, pregiudizi, crimini: ha distrutto anticaglie putride, anime disfatte, istituti asfissianti; ha bruciato il cadavere della Morte.

La santità portata anche per istrada, anche in casa, poiché essa è diritto e dovere di ogni nato di donna. Questa verità aveva inculcata Caterina da Siena ai suoi, dai gonfalonieri alle massaie. E l’età nostra, dopo il Concilio sopra tutto, propugna la coscienza di questa universalità, per cui la Chiesa intende sostituire alla frustrazione la felicità della convivenza.

Caterina condensava la vitalità della redenzione nel binomio: fuoco e sangue. Come fuoco, distrugge; come sangue vivifica. È quel che rilevano i mistici: il fuoco consuma chi ama, perché si dona, sino a perdere ogni cosa, resistenza stessa; il sangue passa nell’organismo sociale e lo vivifica: sangue di Cristo (e dei cristiani) che alimenta il corpo mistico.

Se amano rettamente, i cuori si stabiliscono nella gioia.
«La carità – dice santa Caterina – non cerca le cose sue; cioè, non cerca sé per sé, né Dio per sé; ma sé e il prossimo per Dio, e Dio per lui medesimo».
Questo vuol dire che l’anima cristiana non ama per sé, per proprio beneficio e godimento. Per sé non dovrebbe amare, non dico i fratelli, ma neanche Dio. Ella deve amare Dio e i fratelli, per amore di lui. Allora l’amore centrato nell’Eterno non subisce né sbalzi né delusioni: acquista la serenità e l’impavidità, nella pace, di Dio stesso. La carità, – prosegue Caterina da Siena, – «non cerca sé, perché non elegge luogo né tempo a modo suo, ma secondo che gli è conceduto dalla divina Bontà. E però ogni luogo gli è luogo e ogni tempo gli è tempo. Tanto gli pesa la tribolazione quanto la consolazione, perché ella cerca l’onore di Dio nella salute delle anime…».
Uccidendo, non il corpo, ma «la propria volontà spirituale e temporale» o, come dice pure la santa, consumando nella carità l’amor proprio, l’anima si colloca in Dio: si deifica; e, paga di farsi volontà di lui, non cerca neppure una condizione di vita più perfetta, più religiosa più ascetica, in altri luoghi, in altro stato; ma dove sta, sta bene, se a Dio così piace. «Allontana da me questo calice…: però si faccia non la mia, ma la tua volontà».

Santa Caterina trova che si sta nella carità perfetta, – in questo amor puro, – se si osservano due condizioni: una, di pazienza verso le ingiurie piccole e grandi; l’altra, di servizio dei fratelli.
Se queste due condizioni non risultano osservate, vuol dire che l’anima ama sé; e allora «è piena d’ira, non è paziente, germina odio verso Dio e verso il prossimo». E non ha pace, abbandonata com’è al vortice della mutabilità umana.

Santa Caterina insegna che per ricambiare l’amore a Dio, il quale non ne abbisogna, noi abbiamo un mezzo: il fratello.
Posto il circuito: Dio – lo – Fratello, per carità l’Io si fa mediatore tra il fratello e Dio: fa da valvola e accende Cristo, fa da ponte e ricongiunge i due estremi, così prolungando, applicandola, la redenzione dell’unico mediatore, Cristo. Per tale modo compie il suo compito nel Corpo mistico.
A sua volta, il fratello ci sta per ricongiungere me a Dio; anche egli, come ogni redento, per l’amore, che è la vita di Dio in lui, fa da mediatore: prolunga la redenzione.

S.Caterina – Orazioni

  1. I BENEFICI DI DIO

O alta, eterna Trinità, amore inestimabile! Se tu mi chiami figlia, io ti dico sommo ed eterno Padre. E come tu mi dai te stesso, comunicandomi del corpo e sangue del tuo Figlio unigenito, dove tu mi dai tutto Dio e tutto l’uomo, così per amore inestimabile ti domando che tu mi comunichi del corpo mistico della santa Chiesa e del corpo universale della religione cristiana, perché nel fuoco della tua carità ho conosciuto che vuoi che l’anima goda di questo cibo.

Tu, Dio eterno, mi hai guardato e conosciuto in te stesso, e perché mi hai guardato nella tua luce tu, innamorato della tua creatura, l’hai tratta da te e l’hai creata a tua immagine e somiglianza; per questo io, tua creatura, non ti conoscevo in me stessa se non in quanto vedevo in me la tua immagine e somiglianza. Ma perché potessi vederti e conoscerti in me e così avessimo perfetta conoscenza dite, tu ti sei unito a noi discendendo dalla grande altezza della tua divinità fino alla bassezza del fango della nostra umanità. La bassezza del mio intelletto non poteva comprendere né guardare la tua altezza, perciò, affinché con la mia piccolezza io potessi vedere la tua grandezza, tu ti sei fatto bambino, racchiudendo la grandezza della tua divinità nella piccolezza della nostra umanità; e così ti sei manifestato a noi nel Verbo del tuo Figlio unigenito. Così, in questo Verbo, ho conosciuto te, abisso di carità, in me.

  1. IL SANGUE DI CRISTO SPINGE A CHIEDERE

Alta, eterna Trinità, amore inestimabile, hai manifestato te stesso e la tua verità a noi per mezzo del sangue di Cristo, e allora vedemmo la tua potenza, quando hai potuto lavarci dalle nostre colpe in quello stesso sangue.

E ci hai manifestato la tua sapienza quando con l’esca della nostra umanità, con la quale hai nascosto l’amo della divinità, hai catturato il demonio e gli hai tolto la signoria che aveva su di noi.

Questo sangue ci mostra anche l’amore e la tua carità, perché solo con il fuoco dell’amore ci hai comprato, sebbene tu non abbia bisogno di noi. E così ci è manifestata anche la tua verità: che ci hai creato per darci la vita eterna. Questa verità l’abbiamo conosciuta per mezzo del Verbo, mentre prima non la potevamo conoscere, poiché avevamo offuscato l’occhio dell’intelletto col velo della colpa.

Vergognati, vergognati cieca creatura, tanto esaltata e onorata dal tuo Dio, di non riconoscere che Dio, per la sua inestimabile carità, è disceso dall’altezza della divinità fino alla bassezza del fango della tua umanità, perché Io conoscessi in te stessa.

Ho peccato contro il Signore, pietà di me.

Che meravigliosa cosa è questa: sebbene tu conoscessi la tua creatura prima che esistesse, e vedessi che avrebbe commesso la colpa non seguendo la tua verità, tuttavia l’hai creata. O inestimabile amore! O inestimabile amore! A chi parli tu, anima mia?

Parlo a te, eterno Padre, e ti supplico, Dio benigno, che tu comunichi a noi e a tutti i tuoi servi il fuoco della tua carità, e disponga le tue creature a ricevere il frutto delle preghiere e dell’insegnamento, che si sparge e si deve spargere per la tua luce e carità.

La tua Verità disse: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto». Io busso alla porta della tua verità, cerco e grido al cospetto della tua maestà e domando all’orecchio della tua clemenza: misericordia per tutto il mondo e in particolare per la santa Chiesa, perché nella dottrina del Verbo ho conosciuto che tu vuoi che io mi nutra di continuo di questo cibo; e poiché tu vuoi così, amore mio, non mi lasciare morire di fame.

O anima mia, che cosa fai? Non sai tu che continuamente sei guardata da Dio? Sappi che ai suoi occhi non ti puoi mai nascondere, perché nessuna cosa gli è nascosta; qualche volta ti puoi nascondere agli occhi della creatura, ma a quelli del Creatore mai. Poni dunque fine e termine alle tue iniquità, e sveglia te stessa.

Ho peccato contro il Signore, pietà di me.

 

  1. LA CARITÀ DIVINA FUOCO D’AMORE

È ormai tempo di svegliarsi dal sonno. Tu, eterna Trinità, vuoi che ci destiamo; e se nel tempo della prosperità non ci svegliamo, tu ci mandi le avversità e, come medico perfetto, col fuoco delle tribolazioni bruci la piaga, quando non giova l’unguento delle consolazioni e prosperità.

O eterno Padre, o carità increata, io sono piena di meraviglia perché nella tua luce ho conosciuto che tu hai visto e conosciuto me e tutte le creature ragionevoli in generale e in particolare, prima che tu ci dessi l’esistenza. Tu hai visto il primo uomo, Adamo, e hai conosciuto la colpa della mia disobbedienza che ne seguiva, colpa particolare in lui e generale negli altri dopo di lui. E hai conosciuto che la colpa doveva impedire la tua verità, anzi impediva la creatura, perché la verità non si compiva in lei, cioè essa non poteva pervenire al fine per il quale tu la creavi. Hai visto anche, eterno Padre, la pena che conseguiva al tuo Figlio per restituire il genere umano alla grazia e per adempiere la tua verità in noi. Nella tua luce ho conosciuto che hai previsto tutte queste cose.

Dunque, eterno Padre, come mai hai creato questa tua creatura? Io di questo sono fortemente stupita, e veramente vedo, così come tu mi mostri, che per nessun’altra ragione lo hai fatto se non perché nella tua luce ti vedesti costringere dal fuoco della tua carità a darci l’esistenza, nonostante le iniquità che dovevamo commettere contro dite, eterno Padre. Dunque è stato il fuoco a costringerti.

  1. LA FOLLIA DELL’AMORE DI DIO

O amore ineffabile, benché nella tua luce tu vedessi tutte le iniquità che la tua creatura doveva commettere contro la tua infinita bontà, tu hai come fatto finta di non vedere, e hai fermato lo sguardo sulla bellezza della tua creatura, della quale tu, come pazzo ed ebbro d’amore, ti sei innamorato, e per amore l’hai tratta da te dandole l’essere a tua immagine e somiglianza.

Tu, verità eterna, hai dichiarato a me la tua verità, cioè che è stato l’amore a costringerti a crearla; benché tu vedessi che ti doveva offendere, la tua carità non ha voluto che tu fermassi l’occhio in questo vedere, ma al contrario hai distolto i tuoi occhi da questa offesa che doveva avvenire e li hai fermati sulla bellezza della creatura. Se tu avessi fermato lo sguardo in quell’offesa, avresti dimenticato l’amore che avevi per creare l’uomo. E non ti fu nascosto questo, ma ti sei fermato all’amore, perché tu non sei altro che fuoco d’amore, pazzo della tua creatura. E io, a causa dei miei difetti, non t’ho mai conosciuto. Ma concedimi la grazia, amore dolcissimo, che il mio corpo versi il sangue per l’onore e la gloria del tuo nome, e che io non sia più rivestita di me stessa.

Accogli, eterno Padre, colui che mi ha comunicata del prezioso corpo e sangue del tuo Figlio, spoglialo di sé e liberalo da sé stesso, vestilo dell’eterna tua volontà e legalo in te con un nodo che non si sciolga mai, perché egli sia pianta odorosa nel giardino della santa Chiesa. Dà, o Padre benigno, la tua dolce ed eterna benedizione, e nel sangue del tuo Figlio lava la faccia delle nostre anime.

Amore, amore, ti domando la morte. Amen.

Dio, abisso di carità

Signore mio, volgi l’occhio della tua misericordia sopra il popolo tuo e sopra il corpo mistico della santa Chiesa. Tu sarai glorificato assai più perdonando e dando la luce dell’intelletto a molti, che non ricevendo l’omaggio da una sola creatura miserabile, quale sono io, che tanto t’ho offeso e sono stata causa e strumento di tanti mali.

Che avverrebbe di me se vedessi me viva, e morto il tuo popolo? Che avverrebbe se, per i miei peccati e quelli delle altre creature, dovessi vedere nelle tenebre la Chiesa, tua Sposa diletta, che è nata per essere luce?

Ti chiedo, dunque, misericordia per il tuo popolo in nome della carità increata che mosse te medesimo a creare l’uomo a tua immagine e somiglianza.

Quale fu la ragione che tu ponessi l’uomo in tanta dignità? Certo l’amore inestimabile col quale hai guardato in te medesimo la tua creatura e ti sei innamorato di lei. Ma poi per il peccato commesso perdette quella sublimità alla quale l’avevi elevata.

Tu, mosso da quel medesimo fuoco col quale ci hai creati, hai voluto offrire al genere umano il mezzo per riconciliarsi con te. Per questo ci hai dato il Verbo, tuo unico Figlio. Egli fu il mediatore tra te e noi. Egli fu nostra giustizia, che punì sopra di sé le nostre ingiustizie. Ubbidì al comando che tu, Eterno Padre, gli desti quando lo rivestisti della nostra umanità. O abisso di carità! Qual cuore non si sentirà gonfio di commozione al vedere tanta altezza discesa a tanta bassezza, cioè alla condizione della nostra umanità?

Noi siamo immagine tua, e tu immagine nostra per l’unione che hai stabilito fra te e l’uomo, velando la divinità eterna con la povera nube dell’umanità corrotta di Adamo. Quale il motivo? Certo l’amore.

Per questo amore ineffabile ti prego e ti sollecito a usare misericordia alle tue creature.

Dal «Dialogo della Divina Provvidenza» di santa Caterina da Siena, vergine
(Cap. 13, libero adattamento; cfr. ed. I. Taurisano, Firenze, 1928, I, pp. 43-45)

 

Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato

“Carissima sorella in Gesù. Io, Caterina, serva dei servi di Gesù, ti scrivo nel suo sangue prezioso, desiderosa che ti alimenti dell’amore di Dio e ti nutri di esso, come al seno di una dolce madre. Nessuno, infatti, può vivere senza questo latte!

Chi possiede l’amore di Dio, vi trova tanta gioia che ogni amarezza gli si trasforma in dolcezza, e ogni gran peso gli si fa leggero. Non c’è da stupirsene, perché, vivendo nella carità, si vive in Dio:

“Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”.

Vivendo in Dio, dunque, non si può avere alcuna amarezza, perché Dio è delizia, dolcezza e gioia infinita!

È questa la ragione per cui gli amici di Dio sono sempre felici! Anche se malati, indigenti, afflitti, tribolati, perseguitati, noi siamo nella gioia.

Quand’anche tutte le lingue maldicenti ci mettessero in cattiva luce, non ce ne cureremmo, ma di ogni cosa ci rallegriamo e gioiamo, perché viviamo in Dio, nostro riposo, e gustiamo il latte del suo amore. Come il bambino attira a sé il latte dal seno della madre, così noi, innamorati di Dio, attingiamo l’amore da Gesù crocifisso, seguendo sempre le sue orme e camminando insieme a lui per la via delle umiliazioni, delle pene e delle ingiurie.

Non cerchiamo la gioia se non in Gesù, e fuggiamo ogni gloria che non sia quella della croce.

Abbraccia, dunque, Gesù crocifisso, elevando a lui lo sguardo del tuo desiderio! Considera l’infuocato amore per te, che ha portato Gesù a versare sangue da ogni parte del suo corpo!

Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato, e in lui troverai la vita vera, perché è Dio che si è fatto uomo. Arda il tuo cuore e l’anima tua per il fuoco d’amore attinto a Gesù confitto in croce!

Devi, poi, divenire amore, guardando l’amore di Dio, che ti ha così tanto amata, non per qualche obbligo che avesse con te, ma per puro dono, spinto soltanto dal suo ineffabile amore.

Non avrai altro desiderio che quello di seguire Gesù! Come inebriata dall’Amore, non farai più caso se ti troverai sola o in compagnia: non preoccuparti di tante cose, ma solo di trovare Gesù e andargli dietro!

Corri, Bartolomea, e non star più a dormire, perché il tempo corre e non aspetta un solo attimo!

Rimani nel dolce amore di Dio.

Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato

“Carissima sorella in Gesù. Io, Caterina, serva dei servi di Gesù, ti scrivo nel suo sangue prezioso, desiderosa che ti alimenti dell’amore di Dio e ti nutri di esso, come al seno di una dolce madre. Nessuno, infatti, può vivere senza questo latte!

Chi possiede l’amore di Dio, vi trova tanta gioia che ogni amarezza gli si trasforma in dolcezza, e ogni gran peso gli si fa leggero. Non c’è da stupirsene, perché, vivendo nella carità, si vive in Dio:

“Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”.

Vivendo in Dio, dunque, non si può avere alcuna amarezza, perché Dio è delizia, dolcezza e gioia infinita!

È questa la ragione per cui gli amici di Dio sono sempre felici! Anche se malati, indigenti, afflitti, tribolati, perseguitati, noi siamo nella gioia.

Quand’anche tutte le lingue maldicenti ci mettessero in cattiva luce, non ce ne cureremmo, ma di ogni cosa ci rallegriamo e gioiamo, perché viviamo in Dio, nostro riposo, e gustiamo il latte del suo amore. Come il bambino attira a sé il latte dal seno della madre, così noi, innamorati di Dio, attingiamo l’amore da Gesù crocifisso, seguendo sempre le sue orme e camminando insieme a lui per la via delle umiliazioni, delle pene e delle ingiurie.

Non cerchiamo la gioia se non in Gesù, e fuggiamo ogni gloria che non sia quella della croce.

Abbraccia, dunque, Gesù crocifisso, elevando a lui lo sguardo del tuo desiderio! Considera l’infuocato amore per te, che ha portato Gesù a versare sangue da ogni parte del suo corpo!

Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato, e in lui troverai la vita vera, perché è Dio che si è fatto uomo. Arda il tuo cuore e l’anima tua per il fuoco d’amore attinto a Gesù confitto in croce!

Devi, poi, divenire amore, guardando l’amore di Dio, che ti ha così tanto amata, non per qualche obbligo che avesse con te, ma per puro dono, spinto soltanto dal suo ineffabile amore.

Non avrai altro desiderio che quello di seguire Gesù! Come inebriata dall’Amore, non farai più caso se ti troverai sola o in compagnia: non preoccuparti di tante cose, ma solo di trovare Gesù e andargli dietro!

Corri, Bartolomea, e non star più a dormire, perché il tempo corre e non aspetta un solo attimo!

Rimani nel dolce amore di Dio.

Gesù dolce, Gesù amore.

Dalle “Lettere” di Santa Caterina da Siena (1347-1380) (lettera n. 165 a Bartolomea, moglie di Salviato da Lucca)

Preghiera

O inestimabile Amore! Tu ci illumini con la tua sapienza, perché possiamo conoscere noi stessi, la tua verità e i sottili inganni del demonio.

Con il fuoco del tuo amore accendi i nostri cuori del desiderio di amarti e di seguirti nella verità.

Tu solo sei l’Amore, degno di essere soltanto amato! (di S. Caterina da Siena)

Gesù dolce, Gesù amore.

Dalle “Lettere” di Santa Caterina da Siena (1347-1380) (lettera n. 165 a Bartolomea, moglie di Salviato da Lucca)

LETTERE

DI

SANTA CATERINA DA SIENA

 

LXXII. — A Romano Linaiuolo alla Compagnia del Bigallo in Firenze.

Segua il proposito fatto di darsi a Dio. Le ispirazioni sono mezzo che c’invitano a nozze d’amore, e ci porgono la veste nuziale: ma a prenderla richiedesi amore. Non ti volgere a guardare l’aratro. Obbedienza è vomere che rompe la durezza della volontà, ne sterpa le male erbe, e prepara il terreno.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vederti che tu non volla il capo addietro a mirare l’aratro, ma perseverante nella virtù; perocché tu sai che sola la perseveranzia è quella cosa che è coronata. Tu se’ chiamato e invitato da Cristo alle nozze di vita eterna: ma non vi dee andare chi non è vestito. Vuoisi adunque esser vestito del vestimento nuziale, acciò che non sia cacciato dalle nozze, come servo iniquo. Farmi che la prima dolce Verità t’abbia mandati i messi ad annunziare le nozze, e a recarti il vestimento: e questi messi sono le sante e buone spirazioni e dolci desiderii che ti sono dati dalla clemenzia dello Spirito Santo. Queste sono quelle sante cogitazioni che ti fanno fuggire il vizio e spregiare il mondo con tutte le delizie sue, e fannoti giungere alle nozze delle vere e reali virtù. Vestesi l’anima d’amore, col quale amore entra alla vita durabile. Sicché vedi che le spirazioni sante di Dio ti recano il vestimento della virtù, fannotelo amare (e però ti vesti); ed invitati alle nozze di vita eterna. Perocché dopo il vestimento della virtù e della ardentissima carità séguita la Grazia, e dopo la Grazia la visione di Dio, dove sta la nostra beatitudine.

E però io ti prego per l’amore di Cristo crocifisso che tu risponda virilmente senza negligenzia. Pensa che non è niente il cominciare e il metter mano all’aratro, come detto è. I santi pensieri sono quelli che cominciano ad arare, e la perseveranzia delle virtù finisce. Colui che ara, rivolta la terra: così lo Spirito Sauto rivolta la terra della perversa volontà sensitiva. E spesse volte l’uomo innamorato di sì dolce invito e reale vestimento, per fender meglio la terra sua, cerca se trovasi un vomere bene tagliente per poterla meglio rivoltare: e vede e trova che neuuo ne trova sì perfetto a rompere e tagliare e divellere la nostra volontà qui, quanto il ferro e il giogo della santa obbedienzia. E poiché l’ha trovato, impara dall’obbediente Verbo Figliuolo di Dio; e per lo suo amore vuol essere obbediente infìno alla morte. E non ci fa punto resistenza. E egli fa come savio, che vuole navigare colle braccia d’altrui, cioè dell’Ordine, e non sopra le sue.

Ricordomi, che tu con sauto desiderio e proponimento ti partisti da me, di voler rispondere a Dio che ti chiamava, e di volere essere alla santa obbedienzia. Non so come tu tei fai. Pregoti che quello che non è fatto, che tu 1 facci bene e diligentemente con buona sollecitudine; e sappiatene spacciare e tagliare dal mondo. E non aspettare tempo, che tu non sei sicuro d’averlo. Grande stoltizia e mattezza è dell’uomo che egli perda quello che ha per quello che non ha. Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso, nasconditi nel costato suo, nel quale vederai il segreto del cuore. Mostra la prima 1 Vede intendendo, trova sperimentando.

– Rompere la prima durezza; tagliare, dividere il desiderio dagli oggetti pericolosi; divellere le radici dell’affetto passionato. Rammentisi che parla a un linaiuolo, e le imagini della cultura e della veste apparranno più appropriate.

3 In questa vita. Se pure il qui non è una ripetizione sbagliata del quanto abbreviato dolce verità che l’operazione sua fatta in noi è fatta con amore di cuore; e tu con amore gli rispondi. Egli è il dolce Dio nostro che non vuole altro che amore. E colui che ama, non offenderà mai la cosa amata. Orsù, figliuolo mio, non dormire più nel sonno della negligenzia. Vattene tosto al tuo padre messer l’abbate con volontà morta e non viva: chè se tu andassi con volontà viva, direi che tu non vi mettessi piede; chè non si farebbe7 né per te né per lui. Spero per la bontà di Dio, che tu seguiterai le vestigia di Cristo crocifisso. E non ti porre a sciogliere e’ legami del mondo, ma tira fuori il coltello dell’odio e dell’amore, e taglia spacciatamente. Altro non dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

LXXIII. — A Suora Costanza Monaca del Monasterio di San Abundio appresso Siena8.

L’amore ci dia la speranza. L’umile conoscimento di se non sia diffidenza di Dio, della cui bontà la coscienza ci è documento. Allegorie nuove del bagno e del letto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, lo Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te, e confortoti nel prezioso sangue suo;

con desiderio di vederti bagnata e annegata nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio. Considerando me, che nella memoria del sangue si trova il fuoco dell’ardentissima carità, nella carità non cade tristizia né confusione: e però io voglio che l’affetto tuo sia posto nel sangue. Ine t’inebria e ardi e consuma ogni amore proprio che fusse in te: sicché col fuoco d’esso amore spenga il fuoco del timore e amor proprio di te.

Perchè si trova il fuoco nel sangue? perchè il sangue fu sparto con ardentissimo fuoco d’amore. O glorioso e prezioso sangue, tu se’ fatto a noi bagno, e unguento posto sopra le ferite nostre. Veramente, figliuola mia, egli è bagno; che nel bagno tu trovi il caldo e l’acqua, e il luogo dove egli sta. ^ Così ti dico che in questo glorioso bagno tu ci trovi il caldo della divina carità, che per amore l’ha dato; trovi il luogo, cioè Dio eterno, dove è il Verbo; ed era nel principio; trovi l’acqua nel sangue, cioè che del sangue esce l’acqua della Grazia: ed evvi il muro che vela l’occhio.

O Amabile dolcissima carità, che tu hai preso il muro della nostra umanità, la quale ha ricoperto la somma ed eterua ed alta Deità, Dio-e-uomo! Ed è tanto perfetta questa unione che né per morte né per veruna cosa si può separare. E però si trova tanto diletto e refrigerio e consolazione nel sangue. Che nel sangue si trova il fuoco della divina carità e la virtù della somma, alta ed eterna deità. Sai che per virtù della Divina Esseuzia vale il sangue dell’Agnello. Sappi che se fusse stato puro uomo senza Dio, non voleva il sangue; ma per l’unione che fece Dio nell’uomo, accettò il sacrifizio del sangue suo.

Bene è aduuque glorioso questo sangue; è uno unguento odorifero che spegne la puzza della nostra iniquità. Egli é uno lume che toUe la tenebra, e non tanto la tenebra grossa, di fuora del peccato mortale, ma la tenebra della disordinata confusione, che viene spesse volte nell’anima sotto colore e specie d’una stolta umilità. La confusione, intende, quando le cogitazioni vengono nel cuore, dicendo: «Cosa che tu facci, non è piacevole né accetta a Dio: tu se’ in stato di dannazione». A mano a mano, poiché egli ha data la confusione, gl’infonde>, e mostragli la via colorata col colore dell’umilità, dicendo: «Vedi che per li tuoi peccati non se’ degna di molte grazie e doni;» e così si ritrae spesse volte dalla comunione e dagli altri doni ed esercizi spirituali. Questo si é l’inganno e

la tenebra che il dimonio fa. Dico che se tu, o a cui toccasse, sarai annegata nel sangue dello Agnello immacolato, che queste illusioni non albergheranno in te. Che, poniamochè elle, venissero, non vi permarranno dentro; anco, saranno cacciate dalla viva fede e speranza, la quale ha posta in questo sangue. Fassene beffe, e dice: «per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, che è in me, che mi conforta. E se pure io dovessi aver l’inferno, io non voglio però perdere l’esercizio mio». Grande stoltizia sarebbe a farsi degno della confusione dello inferno, prima che venisse il tempo.

Or ti leva con un fuoco d’amore, carissima figliuola: e non ti confondere; ma rispondi a te medesima, e di’: «Or che comparazione è dalla mia iniquità alla abbondanzia del sangue sparto con tanto fuoco d’amore?» Io voglio bene che tu vegga, te non essere, e la tua negligenzia e ignoranzia tua: ma non voglio che tu la vegga per tenebre di confusione, ma con lume dell’infinita bontà di Dio, la quale tu trovi in te. Sappi che il dimonio non vorrebbe altro, se non che tu ti recassi solo a cognoscimento delle miserie tue, senza altro condimento. Ma egli vuole essere condito col condimento della speranza nella misericordia di Dio.

Sai come ti conviene fare? come quando tu entri in cella la notte per andare a dormire: la prima andata sì trovi la cella, e dentro vedi che v’è il letto: là prima, vedi che t’è necessaria; e questo non fai solo per la cella, ma volli l’occhio e l’affetto al letto, ove tu trovi il riposo. Così de’ tu fare: giugnere all’abitazione della cella del gnoscimento di te; nella quale io voglio che tu apra rocchio del cognoscimento con affettuoso amore: trapassi nella cella, e vattene a letto, nel quale letto è la dolce bontà di Dio che trovi in te, cella.

Bene vedi tu che l’essere tuo t’è dato per grazia, e non per debito. Vedi, figliuola, che questo letto è coperto d’uno copertoio vermiglio tutto nel sangue dello svenato e consumato Agnello.

Or qui ti riposa, e non ti partire mai. Vedi che non hai cella senza letto, ne letto senza cella; ingrassi l’anima tua in questa bontà di Dio, perocché ella può ingrassare. Che in questo letto sta il cibo, la mensa, il servitore. Il Padre t’è mensa, il Figliuolo t’è cibo, lo Spirito Santo ti serve, e esso Spirito Santo fa letto di sé.

Sappi che se tu volessi pure stare a vedere te medesima con grande confusione, perché tu vedessi la mensa, il letto apparecchiato, e in esso cognoscimento noi participeresti, né riceveresti il frutto della pace e quiete sua; ma rimarresti senza, e sterile senza neuno “frutto. Adunque io ti prego per r amore di Cristo crocifisso, che tu permanga in questo dolce e glorioso letto di riposo.

Son certa che se tu t’annegherai nel sangue, che tu il farai. E però dissi ch’io desideravo di vederti ba1 Bello che l’infinita bontà del bene infinito, l’anima la ritrovi dentro di Tè, e la ritrovi nell’atto di sentire le sue proprie angustie.

Più bello che nel Petrarca: «Qual cella è di memoria, in cui s’accolga Quanta vede virtù, quanta beliate, Chi gli occhi mira, d’ogni valor segno, Dolce del mio coi’ chiave?»

II contrapposto in altezza, di quel di Dante: «Faccian le bestie fìesolane strame Di lor medesime. — Ha fatto alla guancia della sua palma…. letto.» Ma come il Padre sia mensa non s’intende; quand’altri non dica che, siccome la scienza regge e pare che offra il necessario alla vita, così la potenza di Dio all’opere nostre.

 

Dio rivela a Santa Caterina da Siena: “Come il demonio inganna le anime sempre sotto colore di bene e come quelli che passano non per il ponte, ma per il fiume, sono ingannati, perché vo­lendo fuggire le pene, vi cadono”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena

CAPITOLO 44

Come il demonio inganna le anime sempre sotto colore di bene e come quelli che passano non per il ponte, ma per il fiume, sono ingannati, perché vo­lendo fuggire le pene, vi cadono. Si espone pure la visione di un albero, che una volta ebbe quest’anima.

Ti ho detto che il demonio invita gli uomini all’acqua mor­ta, cioè, a quella che egli ha per sé, accecandoli con le delizie e gli agi del mondo. Li piglia con l’amo del piacere, sotto colo­re di bene, non potendo prenderli in altro modo; perché essi non si lascerebbero prendere, se non vi trovassero qualche bene o diletto, dato che l’anima di sua natura appetisce sempre il bene.

È vero che l’anima, accecata dall’amor proprio, non cono­sce né discerne quale sia il vero bene che possa dare utilità a se stessa e al corpo. Poiché il demonio, da quell’iniquo che è, vedendo l’uomo accecato dall’amor proprio sensitivo, gli propo­ne diversi e vari peccati sotto colore di utilità o di bene, e a ciascuno li presenta secondo il suo stato e secondo quei vizi principali, ai quali lo vede più disposto. Altro presenta al seco­lare, altro al religioso; altro ai prelati, altro ai signori; a ciascu­no sempre secondo il suo stato particolare. Ti dico questo, perché ora voglio parlarti di quelli che s’annegano giù per il fiume; essi non hanno altro rispetto che a se stessi, amandosi fino ad offendermi.

Ti ho già parlato della loro fine; ma ora voglio mostrarti come essi si ingannano, poiché, mentre vogliono fuggire le pene, cadono nelle medesime. Pare loro che a seguire me, cioè a tenere la via del Verbo, Figlio mio, sia gran fatica; e perciò si ritraggono indietro, temendo le spine. Questo avviene, per­ché sono accecati e non vedono né conoscono la verità, come io ti mostrai nel principio della tua vita, quando tu mi pregavi che io facessi misericordia al mondo, togliendo i peccatori dalle tenebre del peccato mortale.

Tu sai che allora io ti mostrai me stesso sotto figura di un albero, del quale non vedevi né principio né fine, ma scorgevi che la radice era unita alla terra; era l’immagine della natura divina, unita con la terra della vostra umanità. Ai piedi dell’albero, se ben ricordi, vi erano delle spine dalle quali si allontanavano tutti coloro che amavano la propria sensualità e correvano ad un monte di loglio, nel quale ti raffigurai tutti i piaceri del mondo.

Quel loglio pareva grano e non era; perciò molte anime vi perivano dentro di fame, e molte, conoscendo l’inganno del mondo, ritornavano all’albero e passavano sulle spine cioè sulla deliberazione della volontà; la quale deliberazione, prima che sia fatta, è una spina che pare all’uomo di trovare nel seguire la via della verità. Sempre si combattono, la coscienza da un lato, dall’altro la sensualità. Ma appena la coscienza, con odio e dispiacimento di sé, delibera virilmente dicendo: Io voglio seguire Cristo crocifisso, rompe subito la spina e trova dolcezza inestimabile, come allora ti mostrai; e la trovano essi, chi più e chi meno, secondo la propria disposizione e sollecitudine.

Ti dissi pure: Io sono il vostro Dio immutabile, né mi sottraggo a veruna creatura, che voglia venire a me. Ho mo­strato agli uomini la verità, facendomi loro visibile, mentre io sono invisibile, ed ho mostrato loro che cosa sia amare una cosa senza di me. Ma essi, accecati dalla nuvola dell’amore disordinato, non conoscono né me né se stessiVedi come sono nell’inganno; vogliono prima morire di fame che passare un poco sulle spine!

Non possono fuggire, per liberarsi della pena, perché nessuno passa in questa vita senza croce, tolti quelli che ten­gono per la via di sopra; non è che essi passino senza pena, ma la pena è loro di refrigerio. E siccome per il peccato il mondo germinò spine e triboli, e si formò questo fiume e mare tempestoso, perciò vi diedi il ponte, affinché non anneghiate.

Così ti ho mostrato che essi si ingannano col timore disordinato, e che io sono loro Dio, che non muto e non sono accettatore di persone, ma del santo desiderio. E questo ti ho pure insegnato nella figura dell’albero.