18.03.2023 SABATO 3 SETTIMANA QUARESIMA A – LUCA 18,9-14 “Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Durante questa Quaresima, supplichiamo Gesù di cambiare radicalmente il nostro spirito e il nostro cuore, al fine di darci l’umiltà del pubblicano che invece ha scoperto l’atteggiamento e la preghiera, fatti nel modo “giusto” di fronte a Dio.

Dal nostro canto, noi non comprenderemo mai abbastanza che IL NOSTRO AMORE DEVE CAMMINARE DI PARI PASSO CON LA NOSTRA UMILTÀ.

La cosa migliore che possiamo fare di fronte a Dio, in qualsiasi misura ci pretendiamo santi, è quella di umiliarci.

In quei momenti in cui non riusciamo A RENDERE GRAZIE IN MODO SINCERO, possiamo fare la preghiera del pubblicano, cioè approfittare della nostra miseria per avvicinarci a Gesù, gridando al suo sacro cuore “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, avendo la certezza che Gesù esaudisce sempre questa preghiera.

Fratelli e Sorelle, ci aiuta allora a far discernimento, in noi, questo brano, mostrandoci due modelli di fede e di preghiera, nei quali possiamo vedere:

  • da una parte il fariseo che sta davanti al proprio io. Egli è sicuro della sua bontà, giustifica sé stesso e condanna gli altri.
  • Dall’altra il povero pubblicano che, sentendosi lontano da Dio e non potendo confidare in sé, si accusa e invoca il perdono.

Il fariseo non sta davanti a Dio, ma a sé stesso. Non parla con Dio, ma sta parlando solo con se stesso.

E la sua preghiera non è un dialogo, ma un monologo. Pur sembrando un ringraziamento a Dio, in realtà strumentalizza Dio per il proprio autocompiacimento. Il fariseo si appropria dei doni di Dio per lodare sé stesso -invece del Padre celeste- e per disprezzare i fratelli anziché amarli.

Se la preghiera non è umile, è una separazione diabolica dal Padre e dai fratelli.

Siamo di fronte allo stravolgimento massimo: IN ESSA SI FA USO DI DIO PER LODARE IL PROPRIO IO. È il peccato allo stato puro.

QUESTO ATTEGGIAMENTO DEPRECABILE DENOTA COMPLETA ASSENZA DI UMILTA’ E DI AMORE.

E l’umiltà È UNA DISPOSIZIONE D’AMORE, la quale ci ricorda che il nostro stato di peccatori attira l’amore misericordioso del Padre, in virtù della sua antica, eterna, promessa “…chi si umilia sarà esaltato”.

Ma torniamo al testo. È significativo notare che questa parabola è stata collocata dal terzo Evangelista, al capitolo 18, riguardo al tema della preghiera:

  • “Gesù diceva ai discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc 18,1).

E, alle domande:

  • “…quando pregare?” risponde la parabola del giudice iniquo e della vedova insistente (Lc 18,1-8),
  • come pregare?” risponde la parabola odierna, che ci interessa più da vicino.

Ma proprio in questa seconda parabola, è in gioco qualcosa di più della preghiera.

In essa Gesù tratta due atteggiamenti diversi nella preghiera, ma in realtà attraverso di essi allarga di molto l’orizzonte:

  • ci insegna che la preghiera rivela qualcosa che va oltre se stessa,
  • riguarda il nostro modo di vivere,
  • la nostra relazione con Dio, con noi stessi e con il prossimo.

Tutto ciò è già contenuto all’inizio del nostro testo:

  • “Egli disse questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”.

Gesù si rivolge agli “uomini religiosi”, cioè a quei credenti che a causa della loro osservanza della Legge e della loro pratica religiosa si erano convinti in cuor loro di essere giusti di fronte a Dio.

E, quasi come una conseguenza immediata, finivano per disprezzare gli altri.

Ad essi Gesù dirà “Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che tra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole” (Lc 16,15).

Gesù conosce bene i rischi della religione, e sa che non basta essere “figli di Abramo” per essere dei giusti.

Lo aveva già detto Giovanni il Battista “…Non cominciate a dire tra voi: ‘Abbiamo Abramo per padre!’. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo” (Lc 3,8).

Il Maestro di Nazareth sa bene che ci sono distinzioni create dagli uomini che non sono tali per Dio.

Solo Dio conosce in profondità gli uomini “…l’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore” (ci aveva raccontato Samuele nel suo Libro in 1Sam 16,7).

E Gesù stesso, proprio per la sua assiduità con Dio “non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli, infatti, conosceva quello che c’è nell’uomo” (aveva detto Giovanni in Gv 2,25), in quanto ben sapeva che ci sono credenti che in realtà sono increduli, che sono bravi ad ostentare la loro fede, ma poi non realizzano la volontà di Dio “…dicono e non fanno” (Mt 23,3)…

Fratelli e Sorelle. Che meraviglia la preghiera del pubblicano. Raccoglie la preghiera che innalza a Dio l’umile:

  1. penetra le nubi (Sir 35,17),
  2. è simile a quella dei lebbrosi e del cieco (Lc 17,13; 18,38),
  3. è la preghiera che purifica e illumina,
  4. è una supplica che ha due poli: la misericordia di Dio e la miseria dell’uomo.

L’umiltà è l’unica realtà capace di muovere a misericordia le viscere di Dio.

Essa fa di noi dei vasi vuoti che vengono riempiti da Dio.

LA FEDE CHE GIUSTIFICA NASCE SU QUELL’UMILTÀ CHE INVOCA LA MISERICORDIA.

Mentre la presunzione della propria giustizia non salva nessuno. Infatti il giusto non è salvato fino a quando non riconosce il proprio peccato.

Senza umiltà non c’è conoscenza vantaggiosa né di sé né di Dio, e si rimane sotto il dominio del maligno.

Diceva un padre del deserto:

  • “Chi riconosce i propri peccati è più grande di chi risuscita i morti; e chi sa confessare i propri peccati al Signore e ai fratelli è più grande di chi fa miracoli nel servire gli altri”.

Il vero passo avanti è riconoscere e confessare i propri peccati.

E solo quando lo facciamo possiamo comprendere che è una povera e inutile fatica quella di nascondere o mascherare il proprio peccato, magari sforzandoci, anche in buona fede e con grande impegno, di edificare il proprio sepolcro imbiancato (Mt 23,27).

Basterebbe riconoscere puntualmente le proprie mancanze nei confronti dell’amore, facendo nostro il sentire di “quel pubblicano del Vangelo”.

Ha detto Papa Francesco, nella sua Omelia, della Festa della Famiglia, nell’Anno della Fede, il 27 ottobre 2013:

  • “Il brano del Vangelo mette in evidenza due modi di pregare, uno falso – quello del fariseo – e l’altro autentico – quello del pubblicano. Il fariseo incarna un atteggiamento che non esprime il rendimento di grazie a Dio per i suoi benefici e la sua misericordia, ma piuttosto soddisfazione di sé. Il fariseo si sente giusto, si sente a posto, si pavoneggia di questo e giudica gli altri dall’alto del suo piedistallo. Il pubblicano, al contrario, non moltiplica le parole. La sua preghiera è umile, sobria, pervasa dalla consapevolezza della propria indegnità, delle proprie miserie: quest’uomo davvero si riconosce bisognoso del perdono di Dio, della misericordia di Dio. Quella del pubblicano è la preghiera del povero, è la preghiera gradita a Dio che, come dice la prima Lettura, «arriva fino alle nubi» (Sir 35,20), mentre quella del fariseo è appesantita dalla zavorra della vanità.”

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!