17 ottobre 2024 Giovedì SANT’IGNAZIO DI ANTIOCHIA – LUCA 11,47-54 “Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa”.

“«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

 

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo LUCA 11,47-54

+ In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca. Parola del Signore

Mediti…AMO

Fu il terzo vescovo di Antiochia  († 107 circa), in Siria, città che fu la terza metropoli del mondo antico – dopo Roma e Alessandria d’Egitto – e di cui san Pietro stesso era stato il primo vescovo.

Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima.

Mentre era vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, fu arrestato e condannato, Ignazio fu condotto, in catene, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore e i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati dalle belve.

Durante il viaggio da Antiochia a Roma, Ignazio scrisse sette lettere, in cui raccomandava di fuggire il peccato, di guardarsi dagli errori degli Gnostici, di mantenere l’unità della Chiesa.

Di un’altra cosa poi si raccomandava, soprattutto ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non salvarlo dal martirio.

Nell’anno 107 fu dunque sbranato dalle belve verso le quali dimostrò grande tenerezza: «Accarezzatele, scriveva, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno».

Ma veniamo al testo evangelico odierno, ove vediamo Gesù che, con dolore e con chiarezza, accusa i farisei del tremendo male che stavano facendo.

Invece di aiutare il popolo a riconoscere in Gesù il Messia, fanno esattamente l’inverso.

Invece di aprire la porta e lasciare entrare, la chiudono, e SI COLLOCANO AL POSTO DI DIO COME AMMINISTRATORI DELLA SUA SAPIENZA.

Mentre l’atteggiamento di Gesù è del tutto opposto “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28).

Gesù offre la salvezza a tutti e ci chiede fede e umiltà, ci chiede di vedere la verità e amarla, perché camminare con il Signore, significa anche essere umili.

Infatti, come raccontava SANTA TERESA (ne “Il Castello Interiore”):

  • Una volta io stavo riflettendo per quale ragione nostro Signore fosse tanto amico della virtù dell’umiltà, e mi venne in mente – secondo me senza riflettere, ma di primo acchito – questo: lo è perché Dio è somma Verità, e l’umiltà è camminare nella verità”.

Mentre la superbia richiude in se stessi, perché ci porta a pensare di essere in possesso della verità.

Mentre l’umiltà apre il cuore alla verità, al riconoscere che non sappiamo tutto, e ci fa comprendere di essere strumenti nelle mani di Dio, per aiutare gli altri nella via della fede.

Sant’Ignazio d’Antiochia era colmo di un’immensa speranza; non assomigliava a quelli che san Paolo descrive nella lettera ai Filippesi, privi di speranza, perché sono “tutti intenti alle cose della terra“.

Nella lettera ai cristiani di Efeso, Paolo attribuisce alla mancanza di speranza, tutta l’immoralità del mondo pagano: non avendo speranza, si sono abbandonati ai loro desideri impuri, che li trascinano in basso.

I cristiani, invece, sono uomini e donne ricchi di una grande speranza, sanno di essere cittadini del cielo “e di là aspettano come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso“.

Anche il Signore, nel Vangelo di oggi, ci anima a una grande speranza: la speranza di conservare la nostra vita per la vita eterna, di essere con lui dove egli e, cioè nella gloria del Padre, di essere onorati dal Padre: “Se uno mi serve, il Padre lo onorerà“, e “Chi ha questa speranza dice Giovanni si conserva puro“.

È la speranza a dare la forza di resistere alle tentazioni, a dare il coraggio di resistere nelle difficoltà.

Sant’Ignazio ha avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla. Scrivendo ai Romani egli dice “C’è in me un’acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!“.

E’ l’espressione della sua speranza: LA PAROLA DI CRISTO È DIVENTATA IN LUI COME UNA SORGENTE CHE VUOL ZAMPILLARE FINO AL PADRE.

Egli ardeva dal desiderio di guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di Cristo.

“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”, leggiamo nel Vangelo.

Nella sua grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido; scrive ai Romani di non intervenire per allontanare da lui quelle sofferenze che sono la ragione della sua speranza, perché grazie ad esse potrà ricevere la più grande GRAZIA di Dio, la vittoria del martirio e infine la gloria di essere accanto a Cristo.

Ragioniamoci sopra

Pax et Bonum tibi, frater in Christo!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!