«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo LUCA 11,37-41
+ In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro». Parola del Signore
Mediti…AMO
+107 circa.
Memoria di sant’Ignazio, vescovo e martire, che, discepolo di san Giovanni Apostolo, resse per secondo dopo san Pietro la Chiesa di Antiochia, in Siria, città che fu la terza metropoli del mondo antico – dopo Roma e Alessandria d’Egitto – e di cui san Pietro stesso era stato il primo vescovo.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima.
Ciò non toglie che egli sia stato uomo d’ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo.
I suoi discepoli dicevano di lui che era “ di fuoco “, e non soltanto per il nome, dato che “ignis” in latino vuol dire “fuoco”.
Mentre era Vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Mentre era vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione.
Arrestato e condannato, Ignazio fu condotto, in catene, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore e i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati dalle belve.
Durante il viaggio da Antiochia a Roma, Ignazio scrisse sette lettere, in cui raccomandava di fuggire il peccato, di guardarsi dagli errori degli Gnostici, di mantenere l’unità della Chiesa.
Di un’altra cosa poi si raccomandava, soprattutto ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non salvarlo dal martirio.
Nell’anno 107 fu dunque sbranato dalle belve verso le quali dimostrò grande tenerezza.
“lo guadagnerei un tanto – scriveva – se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d’un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei “.
E a chi s’illudeva di poterlo liberare, implorava ” Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s’è degnato di mandare dall’Oriente in Occidente il Vescovo di Siria!”.
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: ” Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo “.
«Accarezzatele ” scriveva ” affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno».
Sant’Ignazio d’Antiochia era un uomo colmo di immensa speranza; non assomigliava a quelli che san Paolo descrive nella lettera ai Filippesi, privi di speranza perché sono “...tutti intenti alle cose della terra“.
Nella Colletta della messa di oggi chiediamo a Dio che la passione di sant’Ignazio di Antiochia sia per noi fonte di fortezza nella fede. Perché possiamo pregare cosi? Perché essa è una manifestazione di grande speranza. Sant’Ignazio ha avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla. Scrivendo ai Romani egli dice:
“C’è in me un’acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!“.
E l’espressione della sua speranza: la parola di Cristo è diventata in lui come una sorgente che vuol zampillare fino al Padre. Egli ardeva dal desiderio di guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di Cristo.
“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto“, leggiamo nel Vangelo. Nella sua grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido; scrive ai Romani di non intervenire per allontanare da lui quelle sofferenze che sono la ragione della sua speranza, perché grazie ad esse potrà ricevere la più grande grazia di Dio, la vittoria del martirio e infine la gloria di essere accanto a Cristo.
Ma veniamo al testo evangelico odierno.
Il Signore, nel Vangelo di oggi, ci anima a una grande speranza: la speranza di conservare la nostra vita per la vita eterna, di essere con lui dove egli e, cioè nella gloria del Padre, di essere onorati dal Padre “Se uno mi serve, il Padre lo onorerà“.
E “…chi ha questa speranza -dice l’Evangelista Giovanni- si conserva puro“.
Perché la speranza sa dare la forza di resistere alle tentazioni, sa dare il coraggio di resistere nelle difficoltà.
PERCHÉ IL MALE CHE VIVE ALL’INTERNO DEL CUORE DELL’UOMO, LAVORA INCESSANTEMENTE PER DISTRUGGERE LA SPERANZA.
Gesù non ha paura di denunciare il male, che nascendo dall’interno dell’uomo diventa sistema di peccato, inquina cioè la bontà dei rapporti sociali creando sovrastrutture e forme di pensiero alienanti e oppressive.
Mentre i farisei ricercano l’esteriorità e il “politicamente corretto” (come facciamo continuamente oggi), GESÙ RICONDUCE OGNI COMPORTAMENTO E OGNI PENSIERO ALLA SUA RADICE: IL BENE.
PERCHÈ IL BENE NON PUÒ FARE A MENO DELLA VERITÀ, e il BENE E LA VERITA’ fanno luce all’interno della persona e ridonano ad ogni atteggiamento il proprio valore originario.
Fratelli e Sorelle, finché continuiamo ad impostare la nostra vita su riti e ritualismi saremo sempre pronti a giudicare i nostri fratelli.
I riti fanno parte del nostro essere umano, sono linguaggi, azioni, segni, simboli che ci permettono di dire e vivere cose che a parole non riusciremmo, ne’ a dire, ne’ a fare.
Ci permettono di scandire i momenti più significativi della nostra vita.
ESSI, NELLA FEDE, DEVONO ESSERE SEGNO E SIMBOLO DELL’AMORE CHE CI PORTIAMO DENTRO.
Ma, dobbiamo fare bene attenzione!
Perché se i riti che ci portiamo dentro, e le nostre idee, che purtroppo a volte diventano pure ideologie, e forti convinzioni, ci rendono ansiosi SOLO A GIUDICARE GLI ALTRI ALLORA SIAMO SOLO SCHIAVI STERILI DI RITI.
Io credo fermamente che chi giudica lo fa solo perché, già al suo interno, e dall’altro del suo interno, vede tutto sporco.
INVECE, CHI VIVE L’AMORE VEDE TUTTO PURO, E L’ERRORE ALTRUI DIVENTA SOLO UN’OCCASIONE D’AMORE PER CORREGGERE E AMARE ANCORA PIU’ CONCRETAMENTE IL FRATELLO.
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!