17.10.2022 LUNEDI’ SANT’IGNAZIO DI ANTIOCHIA – LUCA 12,13-21 “Quello che hai preparato, di chi sarà?”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 12,13-21

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO VESCOVO E MARTIRE

Fu il terzo vescovo di Antiochia, in Siria, città che fu la terza metropoli del mondo antico – dopo Roma e Alessandria d’Egitto – e di cui san Pietro stesso era stato il primo vescovo.

FU DISCEPOLO DI SAN GIOVANNI APOSTOLO.

Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima.

Fu un pilastro della Chiesa primitiva così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico.

Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d’ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I suoi discepoli dicevano di lui che era ” di fuoco “, e non soltanto per il nome, dato che ignis in latino vuol dire fuoco.

Mentre era Vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.

Arrestato e condannato “ad bestias”, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore vittorioso nella Dacia e i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.

Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere, che sono considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo come quelle sono sfolgoranti di carità.

In queste lettere, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l’unità della Chiesa.

D’un’altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.

  • “lo guadagnerei un tanto – scriveva – se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d’un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei”.

E a chi s’illudeva di poterlo liberare, implorava:

  • “Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s’è degnato di mandare dall’Oriente in Occidente il Vescovo di Siria!”

Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri:

  • “Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo”.

E, giunto a Roma, nell’anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente ” macinato ” dalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia:

  • “Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno”.

 

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

Sic transit gloria mundi!” (Così passa la gloria di questo mondo, o in senso lato: Come sono passeggere le cose del mondo).

E passiamo dal nero pessimismo del libro del Qoélet, alla sapienza evangelica. È esemplare l’atteggiamento di questo uomo che si ritrova colmo di ricchezze forse anche inattese. Le accumula poi le contempla e ne trae affascinanti conclusioni “…anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e dàtti alla gioia”.

Ma una voce lo richiama alla realtà “…stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”.

Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina sé stesso?

È da saggi saper fare sempre i conti con la vita e con il tempo. È da sapienti saper volgere lo sguardo all’eternità e ai suoi valori.

E allora Gesù racconta una parabola per aiutare le persone a riflettere sul senso della vita.

Perché la morte, che sopraggiunge senza che noi ce ne accorgiamo, rivela il valore delle nostre ricchezze materiali e spirituali. Queste, o servono per acquistare meriti aiutando gli altri, dimostrando di praticare la vera carità, o ci portano alla perdizione, se ci asteniamo dal soccorrere gli altri e se non condividiamo quanto possediamo.

Sapendo essere destinati a divenire “cittadini del cielo“, non poniamo allora la nostra fiducia nei beni terreni, ma in quelli del cielo, sull’esempio di sant’Ignazio di Antiochia il quale affermava, scrivendo la sua LETTERA AI ROMANI:

  • “C’è in me un’acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!”

La sua speranza era saldamente ancorata a Cristo, perché – aggiungeva sempre s. Ignazio – “E’ meglio essere che sembrare cristiani”.

L’uomo ricco era davvero ossessionato dalla preoccupazione per suoi beni che aumentavano improvvisamente a causa di un raccolto abbondante.

Pensava solo ad accumulare per garantirsi una vita senza preoccupazioni e si diceva “…anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia”.

Ma i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri.

È necessario fare i conti con la morte, che rimane una chiave importante per scoprire il vero senso della vita. Rende tutto relativo, poiché mostra ciò che perisce e ciò che rimane.

Chi cerca solo di avere e dimentica l’essere, perde tutto nell’ora della morte.

Ma cerchiamo di chiarire bene. Il Vangelo non contesta il desiderio di godere le brevi gioie della vita quotidiana, come vorrebbe fare il ricco (“…anima mia, riposati, mangia, bevi, divertiti”).

Gesù non è come certi predicatori che stendono un triste rifiuto sulle cose di questo mondo, quasi volessero disamorarci della vita.

Non dice che il pane non è buono, che il benessere è male. Dice che “…non di solo pane vive l’uomo”.

Cioè che di solo pane, di solo benessere, di sole cose, l’uomo muore.

Che la vita non dipende da ciò si possiede o da ciò che uno ha, MA DA CIÒ CHE UNO DÀ.

E questo perché la vita VIVE DEL DONO DI SE’ STESSA.

Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo dato via, PER AIUTARE qualcuno.

Dice SAN BASILIO «…Se vuoi, hai dei granai, sono nelle case dei poveri».

Ma l’uomo ricco si è creato un deserto attorno, si è isolato al centro dei suoi magazzini pieni fino all’orlo.

Nessun altro è nominato, nessuno in casa, nessun povero alla porta, nessuno con cui condividere la gioia del raccolto, perché le persone per lui, contano meno dei sacchi di grano.

Gesù intende rispondere a una domanda globale di felicità che si nutre di almeno due condizioni:

  • non può mai essere solitaria
  • e ha sempre a che fare con il dono.

Vuoi vita piena? Non cercarla nelle cose, che promettono ciò che non possono mantenere. Le cose hanno un fondo e il fondo delle cose è vuoto. Cercala dalla parte delle persone. Sposta il tuo desiderio e ricordati che GLI ALTRI, SONO TUOI FRATELLI.

Ma, allora, come dobbiamo utilizzare i beni della terra? Al giovane ricco e ad altri, il Signore ha chiesto di lasciare tutto e seguirlo.

Ma non lo ha chiesto però a tutti.

Interpellato su una questione di eredità, in un primo momento prende le distanze “…O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore…”.

Su queste questioni ci lascia liberi, il Figlio dell’Uomo, sono cose che dobbiamo imparare a gestire, con prudenza e giustizia.

I beni della terra fanno parte della creazione, in sé sono cose buone. Creare ricchezza e sfuggire alla povertà è parte dell’istinto di conservazione.

Ma attenzione, dice il Maestro, che è morto per salvarci e ci ha mostrato, in questo settore, la “via” da seguire “…tenetevi lontani da ogni cupidigia”.

Cioè non essere attaccarti alla ricchezza e liberi da quei desideri che possono creare una dipendenza.

Ancora oggi, per molti uomini, il successo materiale è il simbolo della benedizione di Dio.

Pensano di avere compiuto bene il loro ruolo nella vita quando acquisiscono ricchezza e considerazione.

E che Dio non possa pretendere di più da loro. Ora, anche per essi, il principale comandamento è l’ultimo criterio che permetterà di giudicare la loro vita.

Ecco perché la ricchezza deve essere per ognuno un mezzo di azione: un mezzo per impegnarsi per gli altri.

Aiutando coloro che sono nello sconforto e condividendo con generosità, si sarà veramente ricchi: ricchi agli occhi di Dio.

In tal modo Gesù chiarisce che il problema non è quello di una giustizia nelle spartizioni, ma è quello di un’avidità che diventa idolatria E CHE CI ESCLUDE DALLE RELAZIONI!

Gesù è vissuto come noi, è ha usato dei beni della terra ma con naturalezza e libertà, con distacco.

E per spiegarsi meglio narra la parabola del ricco stolto. Porre ogni speranza ESCLUSIVAMENTE “nell’accumulo” e non nella condivisione, è inutile, PERCHÉ, EGLI CI RICORDA, DOVREMO MORIRE!

Accumuliamo tesori, ma non per noi. Arricchire davanti a Dio.

E da questo punto di vista, possiamo affacciarci sul MISTERO DI DIO CHE IN GESÙ RIVELA E CI DONA PIENAMENTE IL MISTERO D’AMORE CON IL QUALE NON SOLO DIO NON ACCUMULA, MA ANZI DONA TUTTO SÉ STESSO!

Ha detto il CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, NELLA SUA COSTITUZIONE PASTORALE SULLA CHIESA CATTOLICA E SUL MONDO MODERNO “GAUDIUM ET SPES”, al n.10:

  • “In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si contrastano a vicenda”.

Il cielo deve essere la mèta verso la quale aspiriamo con tutte le nostre forze.

Quello è l’approdo finale, la mèta ultima, l’eternità, al quale non dobbiamo mancare.

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!