16.08.2023 – MERCOLEDI’ XIX SETTIMANA P.A. A – MATTEO 18,15-20 “…Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo MATTEO 18,15-20

+ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Parola del Signore

Mediti…AMO

Il brano di questa domenica appartiene al capitolo 18 di Matteo, in cui troviamo un discorso che alcuni studiosi chiamano “ecclesiale” perché tratta della cura pastorale verso i più piccoli (la pecora smarrita) e dall’insegnamento del perdono, che è la legge su cui si edifica la chiesa (parabola del Signore misericordioso e del servo spietato).

E’ un discorso rivolto a chi si distingue dai più “piccoli” e che è invitato ad avere cura di loro, molto probabilmente i pastori della comunità (i dodici).

Chi sono i “piccoli”? Nella comunità di Matteo, composta per la maggior parte da cristiani provenienti dal giudaismo, i piccoli erano gli altri, la minoranza degli ex-pagani che non conosceva bene la legge di Mosè e quindi la trasgrediva più facilmente.

In senso più ampio possiamo considerare i “piccoli” come i peccatori, coloro che nella comunità erano più inclini a compiere qualcosa di sbagliato.

Vengono chiamati piccoli perché i pastori nei loro confronti dovevano avere maggiore attenzione, avere molta più pazienza, per aiutarli a superare le loro difficoltà e a sentirsi pienamente parte della comunità cristiana.

Il vangelo di questa domenica si ferma in modo particolare sull’atteggiamento da assumere nei confronti dei membri della comunità che sbagliano.

Se tuo fratello peccherà contro di te…“: certamente il problema era sentito in modo molto forte. Qui vengono dunque ricordati alcuni elementi fondamentali di cui tenere conto in questi frangenti.

Fratelli e Sorelle, quanto ci interroga questa Parola, e quanto ci giudica pesantemente.

Valuta il nostro modo di giudicare, la brutta abitudine che abbiamo di credere di poter interpretare le persone, di catalogarle, di capirle basandoci sulle nostre sensazioni o su simpatie o antipatie.

Ma soprattutto dobbiamo evitare di giudicare nel nome di uno scellerato buonismo che rende tutto identico, che tutto giustifica, come se il male che ci fa del male non esistesse, che fosse solo una questione di sfumature, di giudizi personali, di inclinazioni.

Gesù ci offre una prospettiva completamente diversa, che parte dal desiderio di fare il bene alle persone che abbiamo accanto.

E ci raccomanda di non fare alcun pettegolezzo, non emettere nessuna condanna, ma di avere solo l’attenzione di chi prende a cuore con delicatezza, di chi cerca una soluzione, di chi si occupa, di chi indica a chi sta sbagliando il proprio errore, di chi che si fa carico del fratello coinvolgendo più persone, nel tentativo di indicare una soluzione.

Gesù, infatti,  nel Vangelo, dopo avere chiesto ai suoi di diventare come i bambini, di lasciarsi condurre, di diventare compassionevoli, li invita a riflettere sulla prassi del perdono all’interno della comunità cristiana.

Gli storici ci dicono che, con ogni probabilità, Matteo sta descrivendo la prassi usata nelle prime comunità nei confronti di un discepolo che commetteva un peccato pubblico.

Prima un ammonimento privato, per non metterlo in imbarazzo, poi, in caso di recidiva, un ammonimento da parte dell’intera comunità.

Ci sorprende quanto detto dal Signore: molto spesso, nella società ma anche nelle comunità, abbiamo sostituito questo garbato richiamo che denota attenzione e affetto con un’altra procedura: prima si sparla alle spalle, poi si fa finta di niente…

Se davvero abbiamo conosciuto il Signore, se davvero l’incontro con LUI, ha segnato la nostra vita, se davvero ci siamo sentiti portare sulle spalle dal BUON PASTORE, le nostre relazioni cambiano, la nostra vita concreta viene contagiata dal Suo Amore e si converte.

Ma vediamo un poco cosa dice esattamente l’Antico testamento.

Attingendo alla tradizione mosaica, la comunità di Matteo aveva una prassi ben precisa da seguire nei confronti di chi all’interno della comunità compie un’azione riprovevole.

Si tratta di una prassi graduale e rispettosa della dignità di colui che ha compiuto il peccato.

La prima fase di questa prassi è la correzione personale.

Il verbo “correggere” ha molta importanza nel Pentateuco (soprattutto Lv 19,17).

Tale prassi si ispira al comandamento dell’amore verso il prossimo e all’aiuto da dare anche a coloro che commettono degli errori.

Se il tentativo della correzione personale ha successo, si ha “guadagnato” un fratello, cioè i legami con lui diventano più forti.

Ma vi è anche un senso “tecnico“, relativo alla crescita della comunità cristiana: si “guadagna” e “non si perde” un altro fedele, un’altra persona che è stata giudicata degna di fare parte del Regno di Dio.

La seconda fase è molto più seria e attinge al diritto mosaico: vengono chiamati in causa dei testimoni, non uno solo, ma almeno due, perché il peccato sia riconosciuto in modo autorevole e affinché il colpevole si renda conto della gravità della propria situazione.

La terza fase è la proclamazione del reato davanti a tutta la comunità cristiana, la chiesa.

Ecco perché si pensa che questa prassi faccia riferimento a qualcosa di più grande di una semplice offesa personale.

Qualora il peccatore non voglia ammettere il suo reato nemmeno davanti a tutta la comunità cristiana scatta la scomunica.

E’ questo il senso di “sia per te come il pagano e il pubblicano”: vengono citate due categorie di persone che notoriamente non erano ammesse a far parte della comunità giudaica (qui la comunità cristiana mantiene ancora numerose categorie della mentalità ebrea).

  • 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”.

Gesù attribuisce qui alla comunità cristiana il potere di legare e sciogliere che aveva già affidato a Pietro.

Bisogna però ricordare che la scomunica deve essere l’extrema ratio e il potere di legare e sciogliere riguarda soprattutto il perdono, la misericordia, la pazienza, l’attenzione nei confronti di chi sbaglia.

Di fatto il pagano e il pubblicano furono sempre dei soggetti privilegiati all’interno della predicazione e dell’opera di Gesù.

Così anche la comunità cristiana si deve rivolgere ai pagani e ai pubblicani per “guadagnarli” al Regno di Dio.

Ancora di più deve esplicare questo suo sforzo anche nei confronti di coloro che si sono allontanati o sono stati allontanati dalla comunità.

  • 19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà”.

I versetti 19 e 20 parlano della preghiera in comune e non sono messi qui a caso.

Al versetto 16 odierno, venivano chiamati in causa due testimoni.

Cosa dovevano testimoniare, il peccato del fratello o il suo rifiuto a convertirsi?

Non è chiaro.

Adesso però si dice una cosa che essi possono fare, sempre e comunque: “accordarsi” per domandare a Dio, nella preghiera, non “qualunque cosa“, ma “un affare qualsiasi“.

“Affare”, è termine tecnico per indicare una controversia all’interno della comunità.

Si tratta quindi dell’ “affare” precedente.

  • 20 Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”.

Per risolvere le controversie all’interno della comunità l’espediente più efficace è la preghiera comune.

Perché, quando c’è unanimità nella preghiera, è come se il Signore stesso fosse presente e giudicasse in mezzo alla comunità. A queste condizioni la preghiera è certamente efficace perché è la preghiera stessa di Gesù al Padre.

Matteo dunque sembra suggerirci che prima di giungere a soluzioni estreme, non occorre solo aver tentato ogni via possibile per recuperare il peccatore: bisogna soprattutto aver pregato a lungo e unanimemente.

In nome della fraternità ciascuno può e deve aiutare l’altro a camminare nelle vie del Signore. Chi ama s’impegna a custodire il fratello nella verità.

E il contesto amicale – “fra te e lui solo” – indica che la correzione deve essere addolcita con la carità fraterna, e va fatta in privato.

Solo in caso di insuccesso, e dopo un periodo di prova, essa coinvolge dapprima altri membri della comunità e infine l’intera comunità “…Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità” (18,17).

Questa dinamica coniuga sapientemente correzione e perdono, applicando l’esortazione paolina a vivere “…secondo la verità nella carità” (Ef 4,15).

Ragioniamoci sopra…

Il Signore IDDIO ti Benedica

E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

e ti prego di condividere se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!