15 luglio 2024 lunedì SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO – MATTEO 10,34-11,1 “Sono venuto a portare non pace, ma spada”.
“«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).
Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.
E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo MATTEO 10,34-11,1
+ In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città. Parola del Signore
Mediti…AMO
Bonaventura, nato Giovanni Fidanza, (Bagnoregio, Viterbo, 1218 – Lione, Francia, 15 luglio 1274), mistico e pensatore medievale, dottore della Chiesa, soprannominato il “Doctor Seraphicus”, diede forma di sintesi sapienziale alla teologia scolastica sulle orme di Agostino.
Secondo una leggenda che spiegherebbe anche l’adozione del suo nome religioso, determinante sarebbe stato l’incontro con San Francesco d’Assisi che quando era piccolo lo avrebbe guarito da una grave malattia segnandolo in fronte con la croce ed esclamando: “O bona ventura!”.
A 18 anni va a studiare a Parigi e qui entra nell’Ordine dei Frati Minori e termina gli studi nel 1253, diventando magister e ottenendo quindi la licenza di insegnare teologia.
Fu vescovo di Albano e Cardinale, che rifulse per dottrina, santità di vita e insigni opere al servizio della Chiesa. Resse con saggezza nello spirito di san Francesco l’Ordine dei Minori, di cui fu ministro generale.
Nei suoi molti scritti unì una somma erudizione a una ardente pietà.
Nel 1588 Papa Sisto V lo annovera tra i Dottori della Chiesa – che all’epoca sono sei – accanto a San Tommaso d’Aquino, distinguendo i due come dottore serafico Bonaventura e dottore angelico Tommaso.
Il suo contributo alla dottrina teologica è importantissimo: innanzitutto, partendo dal pensiero di Sant’Agostino, esprime la necessità di subordinare la filosofia alla teologia, in quanto l’oggetto di quest’ultima è Dio. La filosofia, allora, può solo aiutare la ricerca umana di Dio riportando l’uomo alla propria dimensione interiore – l’anima – da ricondurre appunto a Dio.
San Bonaventura inoltre sostiene che Cristo è la via per tutte le scienze e che solo la Verità rivelata può potenziarle e unirle verso l’obiettivo perfetto, l’unico obiettivo che è sempre la conoscenza di Dio.
Perciò il Santo, che difende la tradizione patristica e combatte l’aristotelismo, giunge alla conclusione che l’unica conoscenza possibile sia quella contemplativa.
Sempre di derivazione agostiniana, molto importante è anche l’elaborazione della teologia trinitaria di San Bonaventura.
In pratica egli evidenzia come il mondo sia una sorta di libro in cui emerge la Trinità da cui è stato creato.
Dio, quindi, uno e trino, è presente come “vestigia”, o impronta, in tutti gli esseri animati e inanimati; come “immagine” nelle creature dotate d’intelletto come l’uomo; come “similitudine” nelle creature giuste e sante, toccate dalla Grazia e animate dalle virtù di fede, speranza e carità che le rendono figlie di Dio.
Da una attenta analisi di alcuni suoi scritti teologici e spirituali, si evince che la formazione del vocabolo “cristocentrismo” deriva dall’elaborazione, quasi sistematica, del termine medium fino alla sua identificazione con quello di centrum.
Chiara è l’esposizione nel Commento alle Sentenze: “Cristo è medium tra la natura umana e la natura divina… tra Dio e gli uomini”.
Nelle “conferenze” sull’Hexaemeron, Bonaventura identifica il termine medium con quello di centrum, onde la formazione del termine cristocentrismo. In questo modo l’attenzione si sposta dalla partecipazione alla natura degli estremi al fatto di stare al centro: ogni posizione centrale, indipendentemente dalla partecipazione alle due nature, costituisce un medium e un centrum.
Con questo nuovo termine medio-centro, si precisa sempre di più la posizione di Bonaventura, che nella 1Conferenza sull’Hexaemeron, afferma che “Cristo è medio di tutte le scienze” (n. 11); affermazione che ha l’aria di una dichiarazione programmatica abbastanza esplicita. E nella stessa “conferenza”, viene formulato il secondo principio “idem est principium essendi et cognoscendi”, “identico è il principio dell’essere e del conoscere”, che determina meglio il suo programma cristocentrico: Cristo non solo è il centro e il principio che dà senso e valore a ogni ordine di essere, ma anche il centro e il principio da cui partire per conoscere ogni ordine di essere.
Da queste esplicite premesse, si spetterebbe che Bonaventura trattasse la teologia in chiave cristocentrica, cosa che invece non avviene, in quanto nelle sue trattazioni teologiche ritorna alla dottrina comune del teocentrismo, senza ricordare esplicitamente i nessi che realmente esistono con Cristo.
In questo modo, si può concludere che il “cristocentrismo” di Bonaventura è più di natura “spirituale” che teologico, perché considera Cristo come centro e modello di perfezione e non come anche chiave di lettura dell’intera storia della salvezza.
Dopo aver composto, nel 1257, il gioiello filosofico-teologico del Breviloquium, a uso degli studenti di teologia, Bonaventura concepì anche l‘idea di comporre un “breviloquium” di dottrina spirituale a chi si sentiva chiamato alla contemplazione, cioè a chi voleva trascendere “ogni umana comprensione”.
Lo scrisse nel 1259 sulle vette boscose e verdeggianti del monte della Verna, dove Francesco d’Assisi era stato insignito delle sacre stigmate, o come dice Dante “da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarono” (Paradiso, XI, 107-108). È un opuscolo piccolo di mole, ma denso di contenuto.
Ha un carattere prevalentemente mistico e profondamente umano insieme. Rivela una suggestiva anima d’artista che anela all’unione con Dio.
Anelito che costituisce anche la finalità dell’opuscolo: insegnare come ascendere a Dio, “che trascende ogni nostra comprensione”, come “contemplare Dio non solo fuori di noi e dentro di noi, ma anche al di sopra di noi”.
L’ascesa è scandita in tre tappe o vie: il mondo sensibile, l’anima umana e Cristo; ognuna delle quali abbraccia due momenti o capitoli; il settimo e ultimo capitolo rappresenta il raggiungimento del traguardo o “estasi” che esige l’abbandono di ogni attività intellettiva per sprofondare nel pelago dell’amore di Dio, che è tutta grazia dello Spirito Santo, di cui Cristo è pieno.
La “prima tappa” descrive nelle linee generali l’itinerario che si propone di percorrere, attraverso due immagini quella della scala e quello dello specchio.
L’intero creato si configura come una “scala formata di sei gradini”, nei quali sono adombrati i sei giorni biblici della creazione e le sei facoltà conoscitive umane; o come uno “specchio” che fa vedere le meravigliose bellezze operate da Dio attraverso tutte e singole le creature.
Queste, considerate in sé stesse o nella loro struttura ontologica, rimandano a Dio come a loro Primo Principio; considerate, invece, nel loro dinamismo operativo, a Dio come loro fine Ultimo.
Dall’insieme, si ricava anche la concezione che l’uomo è formato in modo da costituire la “coscienza” dell’universo e il pensiero vivente dell’essere.
La “seconda tappa” conduce a scoprire Dio attraverso la sua immagine presente nell’uomo stesso e nelle sue facoltà spirituali, che permettono di vedere Dio come una “immagine riflessa in uno specchio… in cui brilla l’immagine della Trinità”.
Onde l’invito a rientrare in sé stessi: “Entra in te stesso, o uomo, e vedi con quale ardore la mente tua ama sé stessa. Ora non potrebbe amarsi, se non si conoscesse; e non potrebbe conoscersi se non avesse il ricordo di sé stessa, dal momento che è impossibile per noi apprendere qualcosa con l’intelletto se prima non è presente nella memoria”.
Con l’applicazione dei gradini delle tre facoltà spirituali, “l’anima è vicina a Dio: la memoria ti conduce a Dio come Realtà Eterna; l’intelletto ti conduce a Dio come Verità Suprema; e la volontà ti conduce a Dio come Sommo Bene”.
Questi attributi di Dio vengono gradualmente scoperti e conquistati con l’esercizio delle rispettive facoltà e costituiscono l’oggetto delle tappe successive.
Così, nella “terza e quarta tappa” l’anima contempla l’immagine di Dio nell’anima rinnovata dai doni della grazia, fino alla soglia dell’estasi. Le facoltà dell’anima, infatti, nella terza tappa, conducono naturalmente quasi per mano alle realtà divine, come loro specifica conclusione scientifica.
Nella quarta, invece, le stesse facoltà, riplasmate dai doni della grazia e arricchite dalle virtù teologali, conducono gradualmente l’anima a Dio, attraverso la triplice operazione di “purificazione, illuminazione e perfezionamento dell’anima… che si compie tutto per la sincerissima carità di Cristo”.
Nelle ultime due tappe, “quinta e sesta”, Bonaventura, dopo aver contemplato Dio “fuori di noi e dentro di noi” invita a contemplarlo “al di sopra di noi”.
La quinta tappa lo contempla attraverso il suo nome rivelato a Mosè: “Colui che è” (Es 3, 14), cioè attraverso l’esistenza di Dio e dei suoi attributi; la sesta tappa, invece, attraverso la nozione di “bene”, rivelata direttamente da Cristo: “Nessuno è buono se non Dio solo” (Lc 18,19). Il mistero della Trinità si contempla solo attraverso il suo nome, che è “Bontà”.
In breve: “come l’Essere è la sorgente di tutti gli attributi essenziali e il suo nome ci conduce alla loro conoscenza, così il Bene è il fondamento principalissimo sul quale noi dobbiamo appoggiarci per contemplare le emanazioni divine (delle tre Persone)”.
Con il settimo e ultimo capitolo, dedicato all’“estasi”, l’itinerario della mente a Dio si è compiuto, dopo aver percorso le sei tappe graduate di contemplazione: natura, uomo e Cristo.
Il termine di questa ascesi è la dolcezza dell’estasi, ossia l’abbandono totale a Dio, nel suo “raggio soprannaturale delle tenebre divine”. Nell’estasi, “è necessario abbandonare tutte le operazioni intellettuali, trasportare e trasformare in Dio tutto l’affetto del cuore.
Questo è un dono mistico e segretissimo che nessuno conosce se non chi lo riceve, che nessuno riceve se non chi lo desidera, e nessuno poi lo desidera se non è infiammato profondamente dal fuoco dello Spirito Santo, che Cristo Gesù mandò sulla terra”.
E poiché “ad ottenere questo dono, nulla può la natura e poco la scienza bisogna dare poca importanza all’indagine e molta all’unzione (spirituale); poco alla lingua e molta alla gioia interiore; poco alla parola e ai libri e tutta al dono di Dio, cioè allo Spirito Santo; poco o niente alla creatura e tutto al Creatore: al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo”.
Le parole conclusive dell’Itinerarium andrebbero scolpite nel profondo del cuore: “se brami di sapere come ciò avviene, interroga la grazia e non la scienza, il desiderio e non l’intelletto, il gemito della preghiera e non lo studio, lo sposo e non il maestro, Dio non l’uomo, l’oscurità non la chiarezza; non la luce che brilla, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio, con una unzione che rapisce e un affetto che divora. Questo fuoco è Dio… e Cristo l’accende col fervore della sua passione. Chi prova questo fuoco… desidera morire insieme a Cristo crocifisso e così passare dal mondo al Padre… e dire con Filippo: ‘Ciò mi basta’ (Gv 14, 8)… ed esultare con Davide: ‘O Dio del mio cuore, la mia carne e il mio cuore vengono meno; tu sei la mia porzione per l’eternità. Benedetto Dio, in eterno”.
L’inverare il pellegrinaggio mistico nell’amore del Cristo crocifisso pone Bonaventura tra i grandi mistici nella storia dello spirito umano. Il suo misticismo non è un distacco dal mondo, ma un rivelarlo nella sua bellezza e verità.
Così scrive: “Colui… che non vede gli splendori innumerevoli delle creature, è cieco; colui che non si sveglia per le tante voci, è sordo; colui che per tutte queste meraviglie non loda Dio, è muto; colui che da tanti segni non si innalza al primo principio, è stolto”.
Per Bonaventura, infatti, la creazione tutta parla ad alta voce di Dio buono e bello; e Cristo, da sempre Dio e per sempre uomo, conduce l’uomo verso Dio, attraverso l’itinerario dentro sé stesso, nel quale lo stesso Cristo si è degnato di prendere dimora.
Questo cenno all’itinerario di Bonaventura si conclude com’era cominciato “Conducimi, Signore, nella tua via e io camminerò nella tua verità. Si rallegri il mio cuore nel temere il tuo nome”.
È un messaggio all’uomo a recuperare intera la sua autenticità e a raggiungere la sua pienezza.
Scrisse numerose opere di carattere teologico e mistico ed importante fu la «Legenda maior», biografia ufficiale di San Francesco, a cui si ispirò Giotto per il ciclo delle Storie di San Francesco.
Partecipò al II Concilio di Lione che, grazie anche al suo contributo, segnò un riavvicinamento fra Chiesa latina e Chiesa greca. Proprio durante il Concilio, morì a Lione, il 15 luglio 1274.
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
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Sia Lodato Gesù, il Cristo!