14 maggio 2024 MARTEDI’ SAN MATTIA APOSTOLO – GIOVANNI 15,9-17 “Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 15,9-17

+ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

La prima comunità, trasformata e riempita di Spirito, ha piena consapevolezza del grande progetto che Dio ha sull’umanità e che ha realizzato in Gesù.

E si rende conto che questo progetto li vede coinvolti: È LA COMUNITÀ A RENDERE PRESENTE IL SIGNORE, AD ANNUNCIARLO, CELEBRARLO, VIVERLO.

Perciò i discepoli sentono forte la necessità di tornare ad essere Dodici.

Giuda ha gettato la spugna, ha lasciato.

E si avverte il bisogno di ricostruire quell’unità simbolica, quell’essere “dodici” che richiama fortemente la storia delle tribù di Israele e il numero di dodici, che simboleggia il nuovo Israele convocato da tutte le genti (At 1,15-26), chiamando Mattia.

Il suo nome si trova nel secondo elenco dei santi del Canone Romano e di lui si parla nel primo capitolo degli Atti degli apostoli, quando viene chiamato a ricomporre il numero di dodici, sostituendo Giuda Iscariota.

Dopo Pentecoste, Mattia inizia a predicare, ma non si hanno più notizie su di lui.

La tradizione ha tramandato l’immagine di un uomo anziano con in mano un’alabarda, simbolo del suo martirio, ma non c’è evidenza storica di morte violenta.

Così come non è certo che sia morto a Gerusalemme e che le reliquie siano state poi portate da sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, a Treviri, dove sono venerate.

Mattia, abbreviazione del nome ebraico Mattatia, che significa “dono di Jahvè”, secondo gli Atti apocrifi, sarebbe nato a Betlemme, da una illustre famiglia, della tribù di Giuda.

Una cosa è certa, perché affermata da Pietro (Atti, 1,21), che Mattia fu uno di quegli uomini che accompagnarono gli apostoli per tutti il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all’Ascensione al cielo.

Non è improbabile che facesse parte dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, come agnelli fra i lupi, a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dov’egli stava per andare.

Mattia conosceva certamente il più antipatico degli apostoli, Giuda, nativo di Kàriot, quello che nella lista dei Dodici è sempre messo all’ultimo posto e designato con l’espressione “colui che tradì il Signore“.

E, come fa con Mattia, Dio tira in ballo anche noi, quando meno ce lo aspettiamo.

E a nulla giova se abbiamo passato la nostra vita su una panchina, al bordo del campo di gioco del Signore. A nulla giova se abbiamo visto tanti altri passarci davanti e giocare.

Questo non significa che dobbiamo iniziare a credere di essere perdenti o incapaci.

Forse agli occhi del mondo, si, ma certamente non agli occhi di Dio, che ci valorizza e ci fa “entrare in campo” per giocare la “nostra” partita della salvezza, rimanendo nel suo Amore.

Rimanete nel mio amore”, dice il Signore.

Cioè immergetevi, stabilizzatevi, restate sempre dentro questo specialissimo amore.

È un invito ad entrare dentro la circolazione amorosa, che, a partire dal Padre si è riversata nel Figlio e dal Figlio ha traboccato fino a noi.

In che cosa consista questo amore, forse lo capiamo meglio, quando accogliamo il dono dello Spirito Santo, perché di questo si tratta: la relazione, che passa tra il Padre e il Figlio, attraversa noi e ritorna al Padre, è una relazione amorosa operata dallo Spirito Santo.

Vivere dentro un amore è l’esperienza che ci insegna ad amare.

Non è questione di conoscenza intellettuale, ma un sapere interiore che fa sentire sostenuta l’esistenza.

Come il neonato avverte di dipendere esistenzialmente dalla madre e la cerca, così dimorare nell’amore significa vivere di quel fondamento che fa essere viva la vita.

Sono amato, dunque sento sostenuta la mia vita. Una delle prime domande dei discepoli a Gesù in questo Vangelo è «Dove dimori?»

Stupenda la risposta del Signore «…Venite e vedrete» (Gv 1,38-39), cioè verificatelo di persona mettendo in gioco la vostra vita stessa.

Durante la cena, che anticipa l’offerta totale di Gesù in croce, egli mostra che la dimora dell’uomo è l’amore: «Li amò fino alla fine» (Gv 13,1).

Il cuore è in pace solo a casa e avverte come casa solo ciò che dà vita «Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Agostino).

  • Perché la vostra gioia sia piena”.

Spesso la gioia è considerata come un traguardo da raggiungere o uno stato da mantenere.

GESÙ INVECE OFFRE LA GIOIA COME DONO E COME FRUTTO ALLO STESSO TEMPO.

È un dono perché è l’amore di Dio riversato nel cuore (Rm 5,5) come sostegno alla vita credente.

Ma allo stesso tempo è anche un frutto, perché i discepoli di Gesù sono generativi d’amore verso i fratelli, e insegnano agli altri a vivere allo stesso modo.

La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù.

Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia.

È bello che Gesù abbia sempre mostrato amore e insegnato ad amare.

È ancora più bello che la donazione di se stessi per amore sia qui definito «amore più grande»: È DIO STESSO CHE SI MANIFESTA NELLA VITA DI QUANTI ACCOLGONO IL SUO AMORE E AMANO SINCERAMENTE, GLI ALTRI, IN NOME DI DIO E DIO STESSO (At 10,34).

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!