… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo LUCA 7,19-23
In quel tempo, Giovanni chiamati due dei suoi discepoli li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Giovanni di San Mattia, poi GIOVANNI DELLA CROCE (1542–1591), sacerdote, religioso e DOTTORE DELLA CHIESA, è fra i grandi maestri e testimoni dell’esperienza mistica.
Entrato nel Carmelo ebbe un’accurata formazione umanistica e teologica. Condivise con santa Teresa d’Avila il progetto di riforma dell’Ordine Carmelitano che attuò e visse con esemplare coerenza.
Su invito di santa Teresa di Gesù, fu il primo tra i frati ad aggregarsi alla riforma dell’Ordine, da lui sostenuta tra innumerevoli fatiche, opere e aspre tribolazioni.
Come attestano i suoi scritti, ascese attraverso la notte oscura dell’anima alla montagna di Dio, cercando una vita di interiore nascondimento in Cristo e lasciandosi ardere dalla fiamma dell’amore di Dio
Il Signore permise che subisse dolorose incomprensioni da parte dei confratelli di Ordine e di Riforma.
In questo cammino di croce, abbracciato per puro amore, ebbe le più alte illuminazioni mistiche di cui è cantore e dottore nelle sue opere: «La salita al monte Carmelo», «La notte oscura dell’anima», «Il cantico spirituale» e «La fiamma viva di amore».
Fra le più alte voci della lirica spagnola, è il mistico «del nulla e del tutto», guida sapiente di generazioni di anime alla contemplazione e all’unione con Dio.
Nell’immaginario collettivo la grandezza di un uomo viene misurata e ammirata non solo per come ha saputo vivere la propria avventura umana, ma anche per il modo in cui ha affrontato le ore del supremo transito dagli affanni della vita mortale “all’altra riva” quella di Dio.
Il momento della propria morte: quello delle scelte definitive, cioè della “crisi” finale, che fa paura a tutti.
Giovanni della Croce sul letto di morte, ai suoi confratelli che gli leggevano le preghiere dei moribondi, chiese qualcosa di più “allegro”: domandò espressamente qualche versetto del Cantico dei Cantici, un bellissimo e travolgente poema d’amore dell’Antico Testamento (che lui ben conosceva). Non andava forse incontro all’Amore?
Allora ci voleva qualcosa di più appropriato. Dopo la lettura Giovanni finì il cammino terreno pregando le parole “Nelle tue mani, Signore, affido, il mio spirito”. Cioè nelle mani di Dio Amore, per il quale era vissuto, aveva lavorato e sofferto, per quel Dio che lui aveva amato, predicato e cantato.
Alcuni anni prima aveva scritto la poesia “Rompi la tela ormai al dolce incontro”. Ecco che cosa era la morte per lui: un “dolce incontro” con Dio Amore.
Aveva 49 anni tutti spesi per Dio.
Numerosi sono i riconoscimenti avuti dai posteri. Prima cosa, e non è poco, è un Santo.
Ma non solo: è Dottore della Chiesa (Dottore Mistico), cioè Maestro riconosciuto nelle cose di Dio. È un grande maestro di spiritualità valido ancora oggi.
Ha anche il merito di essere stato un valido collaboratore di Teresa d’Avila (anch’essa Santa e Dottore della Chiesa) nella Riforma Carmelitana.
Ma non basta. Per le sue poesie si è guadagnato un posto nella letteratura spagnola.
È stato riconosciuto come “il più santo dei poeti spagnoli, e il più poeta dei Santi”.
Giovanni della Croce parla di rinunce, di lasciare tutto, di nulla (quali sono le cose rispetto a Dio), di salita, di notte oscura, tutta una terminologia che caratterizza la vita spirituale secondo lui come un lavoro (di auto correzione e autocontrollo nelle proprie azioni e decisioni), un impegno serio, una fatica dura, una ascesi costosa, graduale e continua… che non si può realizzare dall’oggi al domani.
Giovanni della Croce non comprende (e scoraggia) quelli che “scalpitano tanto… che vorrebbero essere santi in un giorno”. Non è possibile. Allora come oggi.
Egli afferma che se l’anima vuole il Tutto (Dio), deve impegnarsi a lasciare tutto e a voler essere niente:
“Per giungere dove non sei, devi passare per dove non sei. Per giungere a possedere tutto, non volere possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non volere che essere niente”.
Naturalmente per Giovanni la parola più importante in questo discorso spirituale non è rinuncia ma amore. Per lui non si tratta tanto di lasciare o rinunciare a qualcosa ma di amare Qualcuno.
Egli invita a lasciare amori piccoli per un amore più grande anzi per l’Amore Totale che è Dio Trinità. Amore è la parola decisiva: amore di Dio per noi, amore della creatura per Dio, visto come risposta alla nostra ricerca di amore, fino a consumarsi nel Dio Amore (unione sponsale o mistica).
E Giovanni della Croce si è consumato nell’amore per Dio Amore fino alla fine.
Ad una monaca che gli aveva scritto accennando alle difficoltà che egli aveva sofferto rispose:
“Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore”. Un consiglio decisamente valido ancora oggi, per tutti.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Cristo è lo scopo dell’esistenza umana ed è nel medesimo tempo la via alla vita.
Gesù è tutto per noi e raggiungendo la conformità a Cristo noi raggiungiamo gli scopi stessi dell’esistenza, cioè Cristo è la soluzione all’esistenza umana perché così il Padre ha voluto.
La risposta che Gesù dà, da riportare a Giovanni, è la visione della scena a cui stanno assistendo: I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mandati, ai poveri è annunziata la buona novella.
E Gesù aggiunge un messaggio: “è beato chiunque non sarà scandalizzato di me”.
Sembra che Gesù voglia dire a Giovanni e a noi: Badate che “le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri”.
Voi vedete le cose, le persone, gli avvenimenti dal fondo della valle, io invece le contemplo dall’alto della montagna della mia divinità.
Sappiate accettare con umiltà la vostra limitatezza senza voler giudicare ciò che è infinitamente più grande della vostra piccolezza, della vostra capacità di comprendere.
Ma veniamo ora a Giovanni e alla domanda che inviò a Gesù tramite i suoi discepoli, DUE e non uno perché la testimonianza del singolo non era ritenuta valida (Deuteronomio 17.6).
E mi chiedo se poteva dubitare il prigioniero di Erode della missione di chi aveva battezzato, dopo aver visto lo Spirito Santo scendere su di lui in forma di colomba e dopo tutto il periodo passato nel deserto istruito sulla sua funzione di precursore del Messia?
Certamente il messaggio “Sei tu quello che deve venire, o ne dobbiamo aspettare un altro?” esprime un dubbio, ma rivela pure tutta la splendida umanità del Battista che aveva annunciato, e annunciava ancora parlando in carcere e con Erode, Gesù come Messia.
Io immagino che Giovanni, come uomo, non aveva rinunciato all’idea di un Liberatore anche umano. E se, da un lato Giovanni come profeta sapeva che Gesù era il Messia che aveva presentato alle folle sulle rive del Giordano, l’uomo che era in lui trovava difficile rapportare ciò che era la sua conoscenza del Messia con i dati che di lui gli giungevano in cella e che i suoi discepoli gli raccontavano.
Ma io sono certo che con quella domanda Giovanni non voleva dire che temeva di essersi sbagliato, annunziando Gesù alla folla come “L’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, ma esprime i suoi dubbi in relazione all’idea che si era fatta di Lui, comune a tanti, del Re trionfante che avrebbe portato Israele (e quindi i suoi profeti, lui compreso) alla vittoria sulla terra.
Anche Giovanni, in prigione, sperava in manifestazioni eclatanti che lo togliessero da quella condizione di indubbia sofferenza nella quale versava e si chiedeva perché Erode non fosse ancora stato sconfitto.
E questo Gesù, che girava per il territorio predicando e facendo miracoli, non realizzava purtroppo grandi vittorie sul male, come quella dell’esercito egiziano travolto dalle acque del mar Rosso, o una di quelle tante vittorie impossibili riportate da Israele sui suoi nemici di cui leggiamo nei libri storici. Ad esempio, quella di Davide su Golia.
Le parole dell’EVANGELISTA GIOVANNI riportate al capitolo 6,15 del suo evangelo (“Gesù allora, sapendo che volevano prenderlo per farlo diventare re, se ne andò di nuovo verso la montagna, tutto solo”) ci parlano di un re enormemente distante dal concetto umano.
Purtroppo per chi crede diversamente, i gesti e le parole di Gesù sono molto diversi. Egli parla ai poveri, s’interessa dei malati, s’intrattiene con i pubblicani e i peccatori. Gente che conta poco. La missione di Gesù non cammina per i sentieri della luce e della gloria ma in quelli dell’umiltà e del nascondimento.
La gente lo cerca ma i capi del popolo prendono le distanze. Dio non viene secondo le nostre attese, l’immagine di Dio che Gesù rivela non corrisponde a quello che attendeva Israele ma neppure a quello che pensiamo noi, che pure siamo figli di una storia impregnata di cristianesimo, nei quali prevale l’idea di un Dio Onnipotente.
Perché tutti noi abbiamo dimenticato l’insegnamento della croce.
È Lui l’inviato di Dio, è sua la Parola che salva. La rivoluzione che egli realizza passa attraverso l’amore.
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!