… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 15,9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Mattia, testimone del ministero apostolico e della risurrezione di Cristo, fu aggregato al collegio apostolico dopo la defezione e la morte di Giuda.
Fu ristabilito così, tra l’Ascensione e la Pentecoste, il numero di dodici che simboleggia il nuovo Israele convocato da tutte le genti (At 1, 15-26).
Mattia, è abbreviazione del nome ebraico Mattatia, che significa “dono di Jahvè”. Fu eletto al posto di Giuda, il traditore, per completare il numero simbolico dei dodici apostoli, raffigurante i dodici figli di Giacobbe e quindi le dodici tribù d’Israele.
Secondo gli Atti apocrifi, egli sarebbe nato a Betlemme, da una illustre famiglia della tribù di Giuda.
Una cosa è certa, perché affermata da S. Pietro (Atti, 1,21), che Mattia fu uno di quegli uomini che accompagnarono gli apostoli per tutti il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all’Ascensione al cielo.
Non è improbabile che facesse parte dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, come agnelli fra i lupi, a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dov’egli stava per andare.
Il suo nome si trova nel secondo elenco dei santi del Canone Romano.
Le notizie posteriori riguardanti S. Mattia sono contraddittorie. Tutte però concordano nel dirlo martire. Le sue reliquie, vere o presunte, sono venerate a Roma nella basilica di S. Maria Maggiore.
Le reliquie di Mattia sono contenute in un’arca marmorea nel transetto dalla basilica di Santa Giustina a Padova, a poca distanza dall’arca dell’evangelista san Luca.
È stato detto che sant’Elena imperatrice portò le reliquie di san Mattia a Roma, presso la basilica di S. Maria Maggiore e che una parte di esse furono presso Treviri.
Jean Bollandus, gesuita e storico, ritiene che le reliquie che si trovavano in Roma fossero piuttosto quelle di san Mattia o Matteo, che fu vescovo di Gerusalemme circa nell’anno 120, che sembra si siano poi confuse con quelle dell’apostolo.
Una tradizione di dubbio valore storico ci tramanda che Mattia avrebbe subito il martirio a Gerusalemme mediante lapidazione dai giudei, e poi decapitato, secondo la tradizione con un’alabarda, che è divenuto suo attributo iconografico.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Oggi è la festa di san Mattia apostolo, scelto dai Dodici in sostituzione di Giuda dopo la Pentecoste, per ristabilire il progetto originario di Gesù.
La prima comunità apostolica, trasformata e riempita di Spirito, ha così, finalmente, piena consapevolezza del grande progetto che Dio ha sull’umanità e che ha realizzato in Gesù.
E gli Apostoli si rendono conto che questo progetto li vede coinvolti.
Perché finalmente hanno compreso che è la comunità a rendere presente il Signore, ad annunciarlo, celebrarlo, viverlo.
Giuda ormai è morto. Perciò i discepoli avvertono il bisogno di ricostruire quell’unità simbolica, quell’essere “dodici” che richiama fortemente la storia delle tribù di Israele, che erano i figli di Giacobbe diventato Israele. Dodici come il riepilogo dell’umanità.
Ma quel numero era cambiato a causa della follia di Giuda, discepolo che volle cambiare le scelte di Dio.
Perciò i rimasti, decisero, dopo la Pentecoste, di tornare ad essere Dodici.
E così decidono di scegliere un sostituto fra coloro che hanno seguito fin dall’inizio. Non per loro stessi, ma consapevoli di appartenere ad un progetto grandioso, al sogno di Dio, alla Chiesa icona della nuova umanità, alla caparra dell’armonia originaria e originante.
Allora radunano coloro che per primi erano stati con loro, con Gesù, dal battesimo alla croce. Fra questi Mattia.
Uno di quelli che, come loro, aveva conosciuto e seguito Gesù, e che era rimasto fedele anche se non era entrato nel numero degli eletti.
Non era una “primadonna”, ma un discepolo vero, che sa restare nell’ombra, che non ambisce apparire, per entrare nella lista dei santi apostoli degni di altari e incensi.
Ecco la buona notizia: come Mattia, Dio ci tira in ballo quando meno ce lo aspettiamo.
Anche se abbiamo passato la nostra vita senza prospettive e senza pretese, ciò non significa che siamo perdenti o incapaci.
Forse agli occhi del mondo si, ma non agli occhi di Dio che ci valorizza e ci fa giocare la partita della salvezza.
È Dio che ci ha scelti uno per uno, Dio ci ha scelti fin dal giorno in cui ci ha creato a sua immagine e somiglianza e ci ha donato tutte le bellezze del mondo.
E Dio continua a sceglierci ogni giorno per amarci, anche e soprattutto quando pecchiamo e quando sbagliamo, per perdonarci e aiutarci a rialzarci.
E ci sceglie affinché siamo vicini ai nostri fratelli nel momento del bisogno, per far sentire loro, attraverso la nostra presenza, IL SUO AMORE E LA SUA PRESENZA.
Dio ci ha scelti per donarci quel grande dono che è la vita. Un dono prezioso, da custodire e far fruttare al meglio, per apprezzarne e valorizzarne ogni istante, e farne il nostro capolavoro.
Come Gesù ha scelto i suoi apostoli, così sceglie anche noi, non per i nostri eventuali, effimeri, meriti, o per le nostre capacità particolari.
E noi, non dobbiamo fare altro che rispondere a questa chiamata, con gioia al fine di diventare suoi strumenti, seguendo il suo esempio e amandoci gli uni gli altri come Lui ha amato noi.
E imparando a donarci agli altri come Lui si è donato per noi. “Come il Padre ha amato Me, anche Io ho amato voi“.
E chi dice poi “…rimanete nel mio amore”
Come Gesù è vissuto nell’amore del Padre osservando il comandamento più impegnativo, di amare compiendo la Volontà dell’Eterno Padre, fino a morire, perché noi fossimo redenti e salvati.
Rimanere nel suo amore, e rimanere in noi, mentre tutto il resto del mondano pensare, ci spinge ad un inutile, svuotante, dispendio di energie.
Che spesso ci fa rimanere in un atteggiamento “serioso”, che non è affatto quello che si richiede a un cuore che vive in Dio, che ha un desiderio di una conversione continua.
Noi, invece, SIAMO CHIAMATI, in una revisione continua della nostra vita, a vivere quella certezza gioiosa che ci viene dal rimanere nell’amore, che è possibile solo se la nostra vita si snoda, giorno per giorno, nella concreta pratica dei comandamenti e della volontà di Dio.
È meraviglioso questo Gesù giovanneo: egli usa “rimanere” come il verbo dell’intimità e vi insiste.
È il linguaggio tipico di chi ama: “rimanete in…”, “rimarrete in…”, “rimango in…”; in tre versetti questo ripetere il verbo crea lo spazio dell’intimità.
Gli innamorati sanno bene che cosa sia questo “rimanere”.
In questo rimanere le distanze sono divorate e le alterità si mutano nel miracolo di abitare insieme, in un mondo interno dell’uno nell’altro.
È la rottura dell’isolamento: poiché tu puoi abitare presso di me, e io posso abitare presso di te; insieme è la nuova musica che fa da sfondo al noi.
Soltanto un innamorato può chiedere di rimanere nell’altra: sappiamo bene tutti che due possono mangiare allo stesso tavolo gomito a gomito, perfino dormire nello stesso letto, pur avendo distanze incolmabili in cui si è persa la traccia di questo “rimanere”.
Ecco allora che Dio ci mostra -come sempre- la strada facendoci vedere che all’interno della Trinità Santissima, il Padre ha amato il Divin Figlio in maniera “…divina“. Con un AMORE pieno, totale e totalizzante’ esaustivo.
Ciò di cui l’Umanità ha bisogno è un Amore che si avvicini all’Amore Infinito che vive in Dio, che promana da Dio, che si respira solo se viviamo con la testa appoggiata sul petto di Dio, come Giovanni.
Non abbiamo bisogno di chiacchere. Non di giochi di parole, come quelli che con grande sufficienza siamo abituati a fare solitamente.
Ha detto un anonimo:
- “La parola amore è la più usata e abusata, però il suo significato profondo è fuoco che arde a cui ognuno chiede di potersi scaldare”.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!