14.01.2023 SABATO 1 SETTIMANA P.A. A – MARCO 2,13-17 “non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MARCO 2,13-17
In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Parola del Signore
Mediti…AMO
“Passando, VIDE Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli DISSE: Seguimi”.
Il versetto 14 contiene tre verbi particolari: Gesù vede Levi, lo chiama, e Levi lo segue. Sono gli stessi tre verbi usati nel testo della chiamata dei primi quattro discepoli.
Ma chi era questo Levi, che il primo evangelista chiama Matteo? Luca (5, 27) dice apertamente che Levi era uno che aveva comperato il diritto di riscuotere le tasse di pedaggio, di dogana e di dazio, a Cafarnao, luogo di confine. Era insomma, un “telònes” dove “tele” sono le tasse da riscuotere e “ònes” è l’avere in appalto tale riscossione. Un tipo del genere lo si chiamava pubblicano: con lui non si poteva avere alcun contatto, perché si supponeva essere sempre in uno stato di impurità legale, in quanto per necessità aveva contatti con i pagani, i romani occupanti e per questo, era anche un collaborazionista.
Per questi motivi, il pubblicano non poteva fungere né da giudice né da testimone nei tribunali, tanto era moralmente disprezzato dalle autorità giudaiche e dai farisei in genere. Tutto ciò che i pubblicani facevano o possedevano non era “koshér” vale a dire, puro.
Ma nel racconto di oggi, l’Evangelista sottolinea con forza che Gesù chiama e sceglie al suo seguito chiunque, anche un pubblicano «seduto al banco delle imposte».
Sempre al versetto 14 è scritto che Levi (che in ebraico significa “persona amata”) era “seduto al banco delle imposte”. In greco, seduto è detto “kathémenon”, cioè incollato, immobile, al banco.
Come il paralitico era incollato al suo lettuccio, che abbiamo commentato nel Vangelo di ieri, un’unica cosa con esso, COSÌ ANCHE LEVI ERA INCOLLATO AL SUO BANCO, ma sopravviveva. E non viveva “NEL NOME DI DIO”, perché Era SOLO intento a fare denaro.
Quindi, sia Levi che, prima di lui, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, sono tutti intenti al loro mestiere, per cui l’invito di Gesù a seguirlo, è per loro una frattura nel loro abitudinario e normale fluire dei giorni.
Si dice che Levi “si alzò” per seguirlo. Ciò viene tradotto dal verbo originario “ànastàs” che ci dice “risorto”. LA PAROLA DI GESÙ, infatti, PORTA LA LUCE DELLA RISURREZIONE LÌ DOVE ORMAI REGNAVA INCONTRASTATO IL TORPORE DELLA MORTE.
Anche il verbo “lo seguì” merita attenzione. IN GRECO È NELLA FORMA DELL’AORISTO, CIOÈ IN QUELLA FORMA CHE INDICA DECISIONE, FERMEZZA DA PARTE DI UNA PERSONA CHE SCEGLIE DI COMPIERE QUALCOSA: LA COMPIE UNA VOLTA PER TUTTE, SENZA RIMPIANTI.
Ci sono persone rassegnate ad essere disprezzate da tutti a causa del proprio passato o della propria attività nella vita.
Levi, detto anche Matteo, come si legge in Mt 9:9-10, era certamente uno di questi. Seduto al banco, intento al suo lavoro di chiedere, riscuotere e magari estorcere le imposte ai passanti. Un mestiere ingrato, che genera sempre tante antipatie, come tutti quelli, che per ragioni diverse, hanno il compito di esigere tasse, multe, dazi e denaro in genere. Chi tocca il nostro portafoglio, a torto o a ragione, non ci è mai simpatico.
E Levi era infatti un pubblicano, una specie di appaltatore di tributi che riscuoteva imposte dalla gente e versava poi il dovuto agli invasori Romani, dei quali erano quindi assidui collaboratori. Ma generalmente erano noti per la loro disonestà che li portava a trarre grossi guadagni imponendo imposte che andavano ben oltre il necessario richiesto dai Romani.
Certamente occorre anche qui fare chiarezza. Per chi conosce bene le usanze della Roma del tempo, è noto che i Romani RISCUOTEVANO ANTICIPATAMENTE I TRIBUTI DALLE TERRE SOGGIOGATE.
E per far fronte a ciò, gli esattori, dovevano sempre avere a disposizione una grande quantità di denaro, perché i Romani IL TRIBUTO LO ESIGEVANO DA LORO e non direttamente dalle popolazioni. Certamente, a forza di trafficare denaro , IL DENARO RIMANEVA “ATTACCATO” IN MISURA BEN MAGGIORE, ALLE MANI DEGLI ESATTORI.
Ma, se questo mestiere rappresentava il passato e il presente di Levi, Gesù aveva altri programmi per il suo futuro.
Abituato al disprezzo, Levi dovette rimanere davvero colpito dalla chiamata di Gesù, che, invece di insultarlo come gli altri connazionali, lo stava invitando a seguirlo. Si, chiamava lui, proprio lui, come un possibile discepolo. E il Vangelo ci dice che EGLI, ALZATOSI LO SEGUÌ.
Ma Gesù, salvatore dell’uomo, stravolge i nostri pensieri e i nostri giudizi: e comincia dagli ultimi, dai più lontani, dai più bisognosi. Si rivolge in modo preferenziale a coloro che, pur immersi nel male o invischiati nelle cose del mondo, o sedotti dal dio denaro, anelano a qualcosa di diverso e di migliore, anche se non sono ancora in grado di vedere da dove, da che cosa, da chi potranno ricevere quel qualcosa.
QUELL’ANELITO è L’EMBRIONE DELLA FEDE, che il SIGNORE GESÙ SAPIENTEMENTE RIESCE A FAR CRESCERE.
Certamente la gioia di Levi doveva essere davvero grande nel vedere che Gesù lo stava considerando un possibile discepolo, nonostante il suo mestiere e la sua fama, e gli stava dando la possibilità di un futuro diverso, che lo avrebbe visto coinvolto nella sua missione.
Levi, per riconoscenza, non poté fare a meno di invitare Gesù a casa sua per mangiare insieme e gli sembrò l’occasione giusta per festeggiare con parenti e amici questo grande dono che aveva ricevuto, PER GRAZIA.
Ma non tutti erano contenti quel giorno. Alcuni scribi e farisei erano rimasti perplessi nel vedere Gesù e i suoi discepoli a tavola con categorie di persone così poco raccomandabili e che non erano tanto diverse dagli stranieri idolatri.
Erano certamente persone che -ai loro occhi, ma non a quelli di Dio, non eccellevano certamente nel rispetto della legge di Mosè e non erano esempi di dirittura morale.
Tutti, nei secoli, NON VOGLIAMO CAPIRE che Levi è icona della pecorella smarrita, di quell’umanità che vive ai margini della fede, convinta di non avere più spazio per Dio nella sua vita o di non avere più alcuna possibilità di entrare nella casa di Dio.
E che Gesù è l’icona di un Dio che non si rassegna a perdere un suo figlio e vuole riportare tutti a casa.
Certamente possiamo dire con forza che ISRAELE non la vede affatto così. Anci, ritiene che quell’indesiderato “FALEGNAME DI NAZARETH” è “…un rabbi che non ha capito nulla della TORÀH”.
Marco invece, sottolinea con forza che Gesù chiama e sceglie al suo seguito chiunque, anche un pubblicano «seduto al banco delle imposte». Egli non osserva le prescrizioni farisaiche del ‘puro e dell’impuro’, che vietavano anche la comunanza di mensa con pagani e peccatori, quale era appunto il pubblicano Levi.
Anzi, Gesù siede «a tavola in casa di lui e anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù» e di questa violazione i farisei chiedono conto ai discepoli “Perché il vostro Maestro mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?”.
Questo Evangelo intende rivelare la vera natura della missione di Gesù, che si manifesta molto diversamente da tutte le aspettative del tempo e che non si lascia rinchiudere negli schemi del giusto e del peccatore. Infatti il Maestro dirà «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Gesù accoglie i peccatori, li cerca, li invita addirittura a condividere responsabilità e annuncio del Vangelo, come fa con il pubblicano Levi, chiamato a far parte dei Dodici.
Pure noi cerchiamo sempre di separarci dai peccatori, mettendoci sempre tra i giusti. E dimenticando sempre che TUTTI SONO CHIAMATI! TUTTI SIAMO CHIAMATI!
Non c’è peccato che Dio non voglia e non possa perdonare; il suo amore precede e supera largamente i nostri errori, è così forte da vincere la nostra fragilità.
La voce di papa Francesco, nella “Misericordiae vultus”, la Bolla di indizione del Giubileo Straordinario, n.8:
- «Anche la vocazione di Matteo (Levi) è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando davanti al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e il pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo. Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto».
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!