13.09.2022 MARTEDI’ SAN GIOVANNI CRISOSTOMO – LUCA 7,11-17 “Ragazzo, dico a te, àlzati!”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 7,11-17

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

Giovanni, nato ad Antiochia (probabilmente nel 349), dopo i primi anni trascorsi nel deserto, fu ordinato sacerdote dal vescovo Fabiano e ne diventò collaboratore.

Grande predicatore, nel 398 fu chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla cattedra di Costantinopoli.

Infatti “Crisostomo”, vale a dire “bocca d’oro”, fu il soprannome dato a Giovanni a motivo del fascino suscitato dalla sua arte oratoria.

L’attività di Giovanni fu apprezzata e discussa: evangelizzazione delle campagne, creazione di ospedali, processioni anti-ariane sotto la protezione della polizia imperiale, sermoni di fuoco con cui fustigava vizi e tiepidezze, severi richiami ai monaci indolenti e agli ecclesiastici troppo sensibili alla ricchezza.

Deposto illegalmente da un gruppo di vescovi capeggiati da Teofilo di Alessandria, ed esiliato, venne richiamato quasi subito dall’imperatore Arcadio.

Ma due mesi dopo Giovanni era di nuovo esiliato, prima in Armenia, poi sulle rive del Mar Nero.

Qui il 14 settembre 407, Giovanni morì.

Dal sepolcro di Comana Pontica, il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del santo a Costantinopoli, dove giunsero la notte del 27 gennaio 438.

L’anafora eucaristica da lui rielaborata in forma definitiva sull’antico schema antiocheno è ancor oggi la più diffusa in tutto l’Oriente.

La sua predicazione nel campo morale e sociale gli procurò dure opposizioni e infine l’esilio (404-407), dove morì.

Nella sua opera di maestro e dottore ha rilievo il commento alle Scritture, specialmente alle lettere paoline, e il suo contributo alla dottrina eucaristica.

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

Una donna, pure vedova, una bara di un FIGLIO UNICO, un corteo.

Sono gli ingredienti di base del racconto di Nain che mette in scena la normalità della tragedia in cui si recita il dolore più grande del mondo.

La donna di Nain aveva già pianto la morte del suo uomo.

Adesso è inghiottita dal dolore più atroce, quello che non ha neppure un nome per essere detto: due vite, quella del figlio e la sua, precipitate dentro un’unica bara.

Quante storie così anche oggi.

Perché questo accanirsi, questa dismisura del male su spalle fragili?

Nella Bibbia cerchi invano una risposta al perché del dolore.

Il Vangelo però racconta la prima reazione di Gesù: egli prova dolore per il dolore dell’uomo.

E lo esprime con tre verbi:

  1. provare compassione,
  2. fermarsi,
  3. toccare la bara.

Gesù vede il pianto e si commuove, si lascia ferire dalle ferite di quel cuore. Il mondo è un immenso pianto, un fiume di lacrime, ma invisibili a chi ha perduto lo sguardo del cuore.

Gesù sapeva guardare negli occhi di una persona (donna, non piangere) e scoprire dietro un centimetro quadrato di iride vita e morte, dolore e speranza.

E Gesù di Nazareth, non sfiora il dolore, penetra dentro il suo abisso insieme a lei.

Entra in città da forestiero e si rivela prossimo: chi è il prossimo? gli avevano chiesto.

Chi si avvicina al dolore altrui, se lo carica sulle spalle, cerca di consolarlo, alleviarlo, guarirlo se possibile.

Il Vangelo dice che Gesù fu preso da grande compassione per lei. La prima risposta del Signore è di provare dolore per il dolore della donna.

Ciò che colpisce in questa pericope, non è solo il fatto che la Parola di Gesù, come sempre, è di una forza tale da operare prodigi.

Quello che l’evangelista Luca vuol sottolineare è anche altro: l’umanissima sensibilità del cuore di questo Rabbi di Nazareth: trasparenza di quella misericordia e compassione che è il cuore stesso del Dio tre volte santo.

E non è inutile notare che questo episodio è stato ‘registrato’ solo da Luca tra gli evangelisti, quel Luca, medico e pittore, che, non a caso, la più antica tradizione ha chiamato “scriba misericordiae” (colui che scrive e tramanda con cura ciò che, in Gesù, è rivelativo di compassione e misericordia).

Ed accade a questo piccolo, anonimo villaggio chiamato Nain, ovvero “la fiorita”, un piccolo villaggio immerso nelle colline poco distante da Nazareth.

Ma oggi vediamo che “la fiorita” è appassita: un grave lutto ha colpito questa piccola comunità.

Gesù assiste alla scena di un funerale: un figlio unico di madre vedova viene condotto fuori dal villaggio per essere sepolto.

Gesù prova compassione, non è indifferente a quanto accade, non fa finta, non assume un volto di circostanza come spesso facciamo noi.

Il verbo usato per indicare lo stato d’animo di Gesù indica uno strazio interiore, un laceramento, un movimento viscerale.

Non è indifferente al dolore il nostro Dio, non si bea nella sua perfezione, non ha paura delle proprie emozioni.

E interviene e restituisce il bambino, ALLA VITA E ALLA MADRE.

Dio ama la vita, SI COMMUOVE AGISCE, questo dice questo episodio.

Questo fatto raccontato da Luca ci richiama due episodi dell’Antico Testamento:

  • quello di Elia che restituisce la vita al figlio unico della vedova di Sarepta (1Re 17,17-24)
  • quello di Eliseo che risveglia dalla morte il figlio della Sunammita (2Re 4,32-37).

Gesù previene -senza richiesta, preghiera o fede- chi è totalmente perduto e non è più capace di chiedere, di pregare o di credere.

Apparentemente Gesù è in cammino senza meta. In realtà, arriva inaspettato dove c’è bisogno di lui.

La sua misericordia è attirata dalla nostra miseria. Questo Gesù di Nazareth, che vede, si commuove e si accosta alle persone morte o sofferenti è l’immagine del Dio misericordioso, che sente compassione per l’uomo, suo figlio perduto.

Solo vedendo questo Dio in Gesù si riesce a passare dalla paura di Dio alla fiducia, dalla morte alla vita, dalla legge al Vangelo.

E in Gesù, Dio patisce con noi la stessa pena e condivide con noi la stessa morte, per liberarci dalla pena e dalla morte.

La sua Parola che ha creato dal nulla tutte le cose, risuscita la vita dalla morte. Vincendo la morte, Gesù ci libera dalla nostra peggiore schiavitù, che è la paura della morte (Eb 2,14-15).

Alla porta della città di Nain si incontrano due cortei:

  • il corteo di Gesù che dona la vita
  • e il corteo dalla morte.

La folla che accompagna questa vedova poteva forse consolarla un po’, ma non poteva risolvere il suo problema.

Gesù, invece, sente una compassione che ha la potenza di risolvere i problemi.

Egli aveva detto” Beati voi che ora piangete, perché riderete” (Lc 6,21), ora porta concretamente la misericordia di Dio a coloro che gemono e piangono.

A Nain, Dio inaugura il suo regno con la misericordia per gli oppressi.

La potenza di Dio è sempre al servizio della sua misericordia, perché è la potenza dell’amore.

Dio interviene con amore potente nella vita dei singoli e mostra la sua benevolenza verso il suo popolo.

Trova così compimento ciò che Zaccaria aveva profetizzato:

  • “Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi un salvatore potente nella casa di Davide, suo servo… per illuminare (= dare la vita) quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte” (Lc 1, 68-69.79).

Mi piace la compassione che Gesù ha per questa povera mamma.

Il compianto Papa Paolo VI in un’omelia tratteggia con poche parole l’essenziale di questo Vangelo:

  • «Il corteo della morte si incontra con un altro corteo… Gesù si commuove… l’occhio di Cristo, Figlio di Dio, si volge all’umanità dolorante. Si potrebbe parlare d’uno scontro: il corteo della morte con il corteo della vita».

San Bernardo insegnava che la misericordia si è manifestata in modo completo soltanto con la venuta di Cristo:

  • «Prima che Gesù apparisse, la bontà era nascosta: eppure c’era anche prima, perché la misericordia di Dio è dall’eternità. Ma come si poteva sapere che è così grande? Era promessa, ma non si faceva sentire, e quindi da molti non era creduta».

Il miracolo che Gesù compie, ha come prima motivazione la compassione e manifesta la potenza del Messia, ci mostra che la redenzione è un dono gratuito.

La vedova infatti si limita a ricevere e non fa nulla per riavere il figlio.

Qui, al centro, c’è l’onnipotente Signore della Vita, che è vincitore della morte.

La donna non chiede niente e riceve tutto. Questo dettaglio non è un espediente narrativo.

Per Luca Gesù rende presente, “oggi”, la misericordia di Dio già descritta in Esodo 3:

  • «Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa».

È cancellata l’antica immagine di un Dio inesorabile, che nell’Eden aveva indotto l’uomo a nascondersi (Gn 3,10).

Riconoscendo Dio in Gesù è possibile passare dalla paura alla fiducia, dalla morte alla vita. È questo il vero volto del Dio misericordioso, sempre pieno di compassione per l’umanità.

INASPETTATO E MERAVIGLIOSO È IL PARTICOLARE DI GESÙ CHE TOCCA LA BARA.

Commenta Cirillo di Alessandria:

  • «Niente è più potente della parola di Dio. Perché dunque non ha compiuto il miracolo solo con una parola ma anche toccato la bara? È stato perché possiate comprendere che il corpo santo di Cristo produce la salvezza dell’uomo… La carne di Cristo ha il potere di dare la vita e annulla la forza della morte e della corruzione» (commento a Luca, 36).

TOCCARE LA BARA SIGNIFICA PORTARE LA MANO DEL DIO DELLA VITA NELL’ESPERIENZA ESTREMA DELL’UOMO.

La compassione di Gesù, suscitata dalla sofferenza salva l’umanità intera. La misericordia del Signore non solo cambia in gioia il dolore della madre ma vince anche la sua disperata rassegnazione.

Questa sollecita la misericordia di Gesù e lo fa decidere per il miracolo, anticipando quello che accadrà «il primo giorno dopo il sabato».

Ha detto Padre del deserto, Abbà MACARIO

  • “Non permettiamo che la fontana faccia zampillare cose amare dal medesimo pozzo, cioè dal profondo del cuore, ma che essa faccia zampillare in ogni momento ciò che è dolce, cioè nostro Signore Gesù, Cristo misericordioso”.

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!