13.08.2022 – SABATO 19^ SETTIMANA P.A.   C – MATTEO 19,13-15 “…non impedite che i bambini vengano a me”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo MATTEO 9,13-15

In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là. Parola del Signore

Mediti…AMO

Ieri abbiamo riflettuto sull’indissolubilità del matrimonio. Matrimonio vuol dire famiglia e famiglia vuol dire bambini.

Infatti oggi il Vangelo ci pone la questione dei bambini. È oggettivamente una bella immagine, Gesù coi bambini, che viene subito rovinata dall’eccessivo zelo dei discepoli.

Nelle Scritture, vediamo che sono molti i bambini ed i giovani che lui accoglie, cura e risuscita:

  • la figlia di Giairo, di 12 anni (Mc 5,41-42),
  • la figlia della donna Cananea (Mc 7,29-30),
  • il figlio della vedova di Naim (Lc 7,14-15),
  • il bambino epilettico (Mc 9,25-26),
  • il figlio del Centurione (Lc 7,9-10),
  • il figlio del funzionario pubblico (Gv. 4,50),
  • il fanciullo con i cinque pani ed i due pesci (Gv. 6,9).

L’atteggiamento dei discepoli nei confronti dei bambini mostra chiaramente l’esistenza a quei tempi di una problematica sociale rilevante avente come argomento la considerazione con cui venivano trattati i bambini.

Infatti, essi, al tempo di Gesù, non godevano di grande considerazione, essendo dei non-ancora uomini.

Anzi, infastidivano i rabbini intenti a spiegare i misteri del Regno.

È comprensibile, allora, il gesto rispettoso degli apostoli che temono di disturbare il Maestro il quale, invece, dimostra enorme simpatia verso i bambini.

Gesù sa che dare attenzione a un bimbo significa fargli scoprire la bellezza di essere figlio.

Ma ci offre un insegnamento a più livelli, contemporaneamente. Perché a noi insegna:

  • che, quando scopriamo la bellezza di questo, siamo pronti a desiderare di divenire padre e madre. A creare una relazione d’amore. E non ci interessa che sia una relazione perfetta e non problematica, interessa che ci sia questa relazione.
  • quale deve essere l’atteggiamento che dobbiamo tenere nei confronti di Dio, la nostra relazione con Lui, quale emblema di una fiducia totale in Lui, che va espressa attraverso l’abbandono alle sue cure. Come fa un bambino.

Come fa un bambino, che si affida totalmente al genitore e ripone in Lui ogni sua forza, ogni sua speranza.

Un bambino non conta su sé stesso, ma sull’amore del proprio genitore, sa reclamare tale amore, lo sa esortare, lo sa mantenere sempre attivo e presente.

Questo vigore dei bambini e questa loro totale fiducia nei genitori è data a noi come esempio da imitare nella nostra relazione con Dio.

ESSERE BAMBINI NELLA FEDE significa essere maturi in essa, comprendere cioè che Dio è il nostro tutto, che il nostro bene è solo in Lui, che Lui solo è il nostro vero amore, che Dio è tutto il nostro universo e che in Lui l’universo intero è contenuto e offerto a noi.

Ma, oltre a questa considerazione di carattere formativo, possiamo trarre dal Vangelo di oggi anche una seconda lettura dello stesso.

Una lettura legata al valore della famiglia espresso nel Vangelo di ieri e alla funzione dei bambini all’interno della stessa.

Il Vangelo ci invita a lasciare che i bambini vadano a Dio.

Questa frase letta nel contesto della famiglia e del matrimonio rafforza il significato di questo sacramento e ne dà una lettura completa, mostrandoci come scopo del matrimonio e frutto di esso sono i bambini, i quali sono da Dio donati alla coppia perché l’uomo insieme a Dio si renda partecipe del progetto della creazione.

In questo progetto L’UOMO È UNA CREATURA DI DIO CHE VIVE PER REALIZZARE UNA RELAZIONE CON DIO.

Ciò significa che i figli in realtà non sono dei genitori, ma di Cristo, di Dio.

I genitori, sposi di Cristo attraverso il sacramento del matrimonio, devono permettere, favorire e agevolare il cammino dei propri figli verso Dio.

Ovvero che i genitori devono educare i propri figli in virtù di tale cammino, trasmettendo l’amore per Cristo, e alimentando questo amore.

I figli vengono concessi all’interno del matrimonio proprio per santificare il sacramento nuziale e al contempo per dare ai bambini la via giusta per conoscere Dio, per apprezzarne il suo amore, per corrisponderlo e per viverlo in pieno.

Questo concetto va esteso anche al significato della vita stessa, la quale non può essere intesa se non nella direzione della tutela dei piccoli.

Cristo con queste parole del vangelo si fa custode della vita dei bambini indifesi, vista in tutti i sui vari stadi, a cominciare dallo stato del concepimento embrionale.

Ciò serva come spunto di meditazione a tutti coloro che rifiutano l’idea, che sin dal primo istante del concepimento, essi sono figli di Dio e PERSONE titolari di diritti, a tutti gli effetti (e quindi rivendicano il diritto all’aborto).

Nelle Scritture è uno dei dati più evidenti: il bambino, ogni bambino, ebreo, cristiano o no, è un dono di Dio, portatore della sua inviolabile e permanente benedizione sulla vita (Gn 1,28; Dt 28,4-11).

Di qui la gioia straordinaria di avere figli, e tanti (Is 54,1; Sal 128,3; Lc 1-2).

E il disonore e l’umiliazione altrettanto gravi, nel non averne (Gn 30,1s; 1 Sam 1,19).

Preziosi sono i figli perché sono di aiuto e di appoggio (Sal 127,3s), sono sentinelle del futuro per la famiglia, il clan, l’intero popolo di Dio.

Sono anzi capaci di lodare Dio, di dire a Lui osanna più che i grandi capi (Mt 21,15-16).

Si può intuire di quale amore Dio li circondi: «Padre degli orfani e difensore delle vedove è Dio nella sua santa dimora» (Sal 68,6; Es 22,21).

Anzi è la relazione amorosa con i piccoli che fa da riferimento all’amore suo verso il popolo.

Già Osea lo annunzia nella famosa immagine: «Quando Israele era giovinetto io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio» e quanto segue (11,1-4).

Mentre il Secondo Isaia perviene a quell’indimenticabile elogio dell’amore del bambino da parte della madre, come paradigma, sia pur con una qualche incertezza, dell’amore di Dio come dato sicuro: «Si dimentica forse una donna del suo bambino così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherà mai» (Is 49,14-15).

Non è difficile vedere il riscontro storico di queste parole nella condotta di Gesù viene raffigurata nella parabola del padre prodigo in amore verso il figlio più giovane (Lc 15,11-33).

Cristo, quindi, con amore, allarga le braccia verso i bambini e, rivolgendosi agli adulti, li dichiara sua proprietà, bene contro il quale a noi adulti è impedito di fare alcuno sgarbo.

LO SGUARDO DEL BAMBINO È UNO SGUARDO SPALANCATO SUL MISTERO, CHE VEDE CIÒ CHE NOI ADULTI STENTIAMO A VEDERE.

Perciò il discepolo è chiamato a crescere nella fiducia, nell’abbandono, nello stupore, nella meraviglia… tutte caratteristiche che l’età e la disillusione, spengono in noi.

Ecco allora che ognuno di noi è chiamato a diventare bambino per fare esperienza di tenerezza e diventare capace di perdonare e di vivere da perdonati.

E ci vuole un cuore da bambini per imparare a stupirci delle grandi cose che Dio ha compiuto in Maria e che continua a compiere in noi…

Se diventiamo bambini, se lasciamo emergere in noi la parte più autentica e spontanea della nostra anima, la capacità di sognare, di emozionarsi, di credere, possiamo tranquillamente avvicinarci a Gesù e, attraverso di lui, accedere a Dio.

Ci benedice il Signore, impone le sue mani su di noi, ci invita a possedere il Regno.

Proprio perché i bambini, come le vedove, come i poveri contemporanei a Gesù, fanno parte delle categorie deboli della società ebraica, gli invisibili ignorati da tutti ma ben presenti nel cuore di Dio.

Non impediamo ai bambini di accostarsi al Signore, proponendo loro delle liturgie incomprensibili e noiose, delle catechesi ammuffite e moralistiche, una visione di Chiesa seriosa e severa.

Nella storia abbiamo visto che i santi più bambini sono quelli preferiti da Dio: ad esempio un giullare come san Francesco, o un giocherellone come san Filippo Neri, o un Don Bosco con i suoi oratori, o una piccola principessa come santa Teresina di Lisieux, tanto per fare degli esempi.

Tutto, quanto sin qui detto, è rivelativo dell’agire di Dio che si serve di ciò che è debole per confondere ciò che è forte (1 Cor 1,27), facendo del bambino il modello dei cittadini del Regno e soggetto diretto del dono della Rivelazione e mediazione diretta di incontro con il Cristo e con il Padre.

Ciò trova riscontro nel mondo biblico, dove il minore non è esaltato per qualità che abitualmente gli si attribuiscono (innocenza, ingenuità, dolcezza…), ma per l’assenza di qualità, ovvero per la precarietà delle forze, da far si che dipenda totalmente dagli adulti, per questa sua povertà.

Questa sua condizione naturale diventa un eccellente emblema di ciò che è la condizione di fede richiesta dal credente: «del suo avere bisogno di aiuto da parte di Dio e dell’essere disposti ad accettarlo».

In questo contesto mentale, il minore è reso portatore di tre importanti filoni di verità.

In un passo del «vangelo dei bambini» (Mc 10,13-16), costoro sono eretti a paradigma dei cittadini del Regno:

  • «A chi è come loro appartiene il Regno di Dio. Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,14-15),
  • «se non vi convertirete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).
  • Ma non solo. Gesù afferma «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 19,14).

In tutto questo appare chiarissimo che Gesù erige il bambino a modello di chiunque voglia entrare nel Regno, ma insieme lo proclama primo candidato del Regno stesso.

Inoltre, non dimentichiamo che nel vangelo si passa dal DIO DELL’ANTICO TESTAMENTO che giunge al massimo alla sponsalità, al DIO PADRE, CHE CI MANDA IL FIGLIO, PERCHÉ POSSIAMO ESSERE INTRODOTTI A SPERIMENTARE L’ESSERE FIGLI.

Questa dinamica DI RELAZIONE E DI VITA, è nascosta ai sapienti e agli intelligenti, balza subito agli occhi in relazione ai bimbi.

Nel bimbo emerge l’essenza dell’uomo: ESISTE IN QUANTO ACCOLTO E AMATO E DIVENTA ADULTO QUANDO ACCETTA DI ESSERE ACCOLTO E AMATO NELLA SUA PICCOLEZZA.

Allora e solo allora sa accogliere e amare i piccoli. Perché LA SCOPERTA DI ESSERE FIGLIO LO RENDE FRATELLO.

Accettare di essere figli, con gli alti e bassi della vita, vale a dire con le accettazioni e i rifiuti delle varie fasi ed età della vita, è accogliere la propria identità e divenire capaci di relazioni.

Gesù ribadisce questa dinamica vitale perché i discepoli, cioè noi, manifestano sempre più la loro incapacità a cogliere la centralità di questo modo di essere e di vivere.

La loro reazione è: non disturbate il maestro, ha cose ben più importanti da fare.

Forse avrà cose più importanti da fare, forse avremo cose più importanti da fare, ma certamente non avremo cose più importanti da vivere.

La sapienza dei bimbi diventa centrale per il Regno perché è relazione di accoglienza, è relazione di dono.

Cosa c’è di più bello per un figlio della vita che un sorriso di un bimbo che manifesta la sua gioia nello stare in braccio, tranquillo, sul seno della madre?

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!