«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo MATTEO 5,13-16
+ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Parola del Signore
Mediti…AMO
Fernando di Buglione nasce a Lisbona. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra i Canonici Regolari di Sant’Agostino. Nel 1219, a 24 anni, viene ordinato prete.
E sempre nel 1219 Francesco d’Assisi approntò una spedizione missionaria alla volta del Marocco, con l’intento di convertire i musulmani d’Africa.
I membri della spedizione, tre sacerdoti – Berardo, Pietro ed Ottone – e due fratelli laici – Adiuto e Accursio – transitarono anche da Coimbra.
Non è certo se Don Fernando abbia conosciuto personalmente il gruppetto di questi francescani approdati in terra lusitana.
Certo, ne sentì parlare, e ne subì il fascino.
Dapprima, essi si portarono a Siviglia, in Spagna, dove iniziarono a predicare la fede di Cristo nelle moschee.
Vennero malmenati, fatti prigionieri e condotti davanti al sultano Miramolino, e, in seguito, trasferiti in Marocco con l’ordine di non predicare più in nome di Cristo.
Nonostante questo divieto, essi continuarono a predicare il Vangelo nelle loro moschee, e, per questo, furono di nuovo imprigionati e sottoposti più volte alla fustigazione.
Noncuranti del pericolo, sfidarono le autorità religiose del luogo e anche la suscettibilità religiosa del popolo e, ben presto, il 16 gennaio 1220, vennero decapitati e i loro corpi furono barbaramente trucidati ed esposti all’aperto, in pasto agli uccelli.
La Provvidenza ha voluto, però, che i loro resti mortali venissero recuperati, custoditi e racchiusi in due cofani d’argento e portati dall’Infante Pedro e dal suo seguito fino a Ceuta, da qui trasportati ad Algesiras, indi a Siviglia e finalmente traslati a Coimbra, dove furono collocati nella stessa chiesa agostiniana di Santa Cruz, nella quale tuttora sono custoditi e venerati.
Tutto questo contribuì, da un lato, a porre il movimento francescano al centro dell’attenzione del popolo portoghese e, dall’altro, ad orientare la decisione di don Fernando ad entrare nell’Ordine francescano.
Fu così che nel settembre 1220, don Fernando lasciò le bianche vesti lanose degli agostiniani, per rivestirsi della grezza tunica e di un cordiglio ai fianchi dei francescani.
Per l’occasione, abbandonò anche il nome di battesimo per assumere quello di “Antonio”, in onore dell’eremita egiziano, titolare del romitorio di Santo Antonio de Olivares, presso cui vivevano i francescani.
Mi piace ricordare che il cambio del nome in “Antonio”, nel suo etimo etrusco, conserva lo stesso significato di Fernando: “coraggioso, inestimabile che combatte per la pace”.
Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori mutando il nome in Antonio.
Invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente.
Per circa un anno e mezzo vive nell’eremo di Montepaolo, dove il superiore, che conosceva bene le doti di frate Antonio, lo pregò di prendere la parola. Così, frate Antonio ebbe l’occasione di rivelare la sua profonda cultura biblica e la salda dottrina teologica con la nuova spiritualità. Commozione, esultanza e, soprattutto, stupore e ammirazione invase l’intero uditorio, che osannava al Signore, per il dono manifestato.
Su mandato dello stesso Francesco, predicherà in Romagna e poi nell’Italia settentrionale e in Francia. Nel 1227 diventa provinciale dell’Italia settentrionale.
Iniziò per Antonio la nuova missione di predicatore. Parlava con la gente, ne condivideva l’esistenza umile e tormentata, alternando l’impegno della catechesi con l’opera pacificatrice.
Insegnava la scienza sacra ai confratelli e attendeva alle confessioni, si confrontava personalmente e in pubblico con i sostenitori di eresie. La Romagna era funestata dalla calamità delle sette, prima fra tutte, nelle sue diverse ramificazioni, quella dei Catari.
La Chiesa reagiva scarsamente e male, a causa della sua scarsa credibilità e per la mediocrità della forza dottrinale e spirituale dei suoi figli. Buon gioco avevano dunque gli eretici che diffondevano teorie distorte e dubbi pericolosi. Proprio a Rimini ebbe luogo l’episodio della mula. Tenuta a digiuno per tre giorni, la mula andò verso l’Eucaristia presentata nell’ostensorio da frate Antonio e non verso la fresca biada offerta dall’eretico, il quale poi si convertì.
Francesco d’Assisi voleva che i suoi frati si dedicassero, con prudenza, allo studio della teologia. Ecco, come “ordinò” a frate Antonio di insegnarla: “Placet mihi quod sacram theologiam legas fratribus, dummodo inter huius studium orationis et devotionis spiritum non estinguas, sicut in regula continetur”: “Approvo che tu insegni sacra teologia ai fratelli, purché in questo studio tu non spenga lo spirito di orazione e devozione, come è stabilito nella Regola”
Padova gli servì come scriptorium dei suoi scritti, perché trovò una ricca biblioteca e dei validi collaboratori nella stesura dei testi.
I Sermones di frate Antonio vanno considerati come l’opera letteraria di carattere religioso più notevole, compilata in Padova durante l’epoca medievale.
Nella tarda primavera del 1231, frate Antonio fu colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi venne trasportato dall’eremo di Camposampiero a Padova, dove aveva chiesto di poter morire. Giunto però all’Arcella, un borgo della periferia della città, la morte lo colse. Spirò mormorando: “Vedo il mio Signore”. Era il 13 giugno ed aveva 41 anni. Venne sepolto a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica. Prima di un anno dalla morte, la fama dei tanti prodigi compiuti, convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo Santo, il 30 maggio 1232, a Spoleto.
È un grande privilegio per un Apostolo del Signore poter applicare a sé il magnifico testo di Isaia che Gesù a Nazareth ha applicato a sé stesso:
- “Lo Spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri…”.
Veramente lo Spirito era su Antonio di Padova, che ha portato il lieto annuncio, il Vangelo, ai poveri con un successo straordinario.
E ha fasciato le piaghe dei cuori spezzati, ha annunciato la liberazione dei prigionieri, in modo così luminoso, così straordinario, che è stato canonizzato dopo un solo anno dalla sua morte.
È una cosa che oggi sarebbe impossibile, ma che dice bene quanto profonda fosse la venerazione del popolo cristiano.
Tutti siamo prigionieri di tanti condizionamenti, provenienti dal nostro temperamento, dalle circostanze, dallo stato di salute, dai rapporti interpersonali che non sempre sono armoniosi… e cerchiamo la liberazione.
Ma la vera liberazione viene in modo inatteso, in modo paradossale dallo Spirito di Dio, che non risolve i problemi, ma li supera, portandoci a vivere più in alto.
Nella vita di sant’Antonio possiamo constatare questa liberazione operata dallo Spirito.
Antonio avrebbe potuto essere grandemente deluso, depresso, perché tutti i suoi progetti sono stati scombussolati. Voleva essere missionario, voleva perfino morire martire e proprio per questo si era imbarcato per andare fra i musulmani.
Ma il suo viaggio non raggiunse la meta: invece di sbarcare nei paesi arabi fu sbarcato fra i cristiani, in Sicilia e poi rimase in Italia. Avrebbe potuto passare il resto della sua vita a compiangere sé stesso: “Non posso realizzare la mia vocazione!”.
E invece fiorì dove il Signore lo aveva inaspettatamente piantato: cominciò subito a predicare, a fare il bene che poteva, e acquistò una fama straordinaria.
Ma diciamo due parole anche sul testo odierno.
Ieri, nel meditare le beatitudini, siamo passati per la porta d’entrata del Discorso della Montagna (Mt 5,1-12).
Nel vangelo oggi riceviamo un’importante istruzione sulla missione della Comunità, che è chiamata ad essere il sale della terra e la luce del mondo. E come il sale non esiste per sé, ma per dare sapore al cibo e la luce non esiste per sé, ma per illuminare il cammino, così la comunità non esiste per sé, ma per servire la gente.
Il sale nella Bibbia è un elemento di ALLEANZA, perchè aggiungere sale all’offerta per i sacrifici significava ribadire il patto di alleanza con Dio e la comunione con Lui:
- (vedi il verbo di At 1,4, alla lettera: «mangiare insieme il sale»).
- Mentre il Libro dei Numeri 18,19 e 2Cr 13,5 parlano pertanto di una «alleanza di sale» (la versione CEI traduce: «alleanza inviolabile» e «alleanza perenne»), e se i due testi si riferiscono all’alleanza con Aronne e con David, rispettivamente, nell’elaborazione rabbinica le due alleanze sono state accostate.
Immagine polisemica nella Bibbia e nelle diverse culture, il sale richiama qui anche la sua funzione di far gustare il cibo, e Gesù dice che i credenti in Lui sono capaci di “far gustare” la vita.
Per la stessa ragione i credenti in Gesù – colui ha resi puri i cibi sulla tavola (Mc 7,19: «dichiarava così mondi tutti gli alimenti»), e ha banchettato con i suoi discepoli – sono essi stessi invitati a gustare la vita per primi.
Il sale invece, se perde la propria caratteristica, viene calpestato dagli uomini. Forte, questa idea: la ritroviamo in altri brani del Nuovo Testamento, dove il verbo “katapateo” richiama le perle calpestate dai porci (Mt 7,6) o i semi calpestati e poi mangiati dagli uccelli (Lc 8,5). Se i credenti in Gesù non sono più tali, non solo non danno sapore, ma fanno una brutta fine.
La luce del mondo, nella tradizione giudaica era rappresentata:
- dal popolo santo di Dio (Is 42,6: «ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni»)
- e dalla città di Gerusalemme (Ap 21,10 «Gerusalemme… risplendente della gloria di Dio»).
Ora, dice Gesù, questa luce si trova soprattutto nella vita di chi crede in Lui. È la luce della verità, la Parola che può dare un senso all’esistenza e far diradare le tenebre dell’angoscia in questi nostri tempi disperati.
Che il Signore ci aiuti ad essere sale e Luce come Sant’Antonio da Padova.
Ragioniamoci sopra…
Il Signore IDDIO ti Benedica
E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!