“«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).
Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.
E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo MATTEO 19,27-29
+ In quel tempo, Pietro, disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna». Parola del Signore
Mediti…AMO
San Benedetto da Norcia, come astro luminoso, brilla ancora oggi nella Chiesa e nel continente europeo.
Egli, con la sua vita e la sua opera, ci insegna a cercare Dio e a comprendere la realtà dell’uomo.
È il patriarca del monachesimo occidentale.
Dopo un periodo di solitudine presso il sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica prima a Subiaco, poi a Montecassino.
La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana.
In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco.
Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini.
Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola.
L’insegnamento di San Benedetto, nato a Norcia intorno al 480 d. C., è una delle più potenti leve, dopo il declino della civiltà romana, per la nascita della cultura europea, ed è la premessa per la diffusione di centri di preghiera e di ospitalità.
Non è solo il faro del monachesimo, ma anche una provvidenziale sorgente per poveri e pellegrini.
“Dovremmo domandarci”, scrive lo storico Jaque Le Goff “…a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce”.
Una voce su cui si sofferma, nel II libro dei “Dialoghi”, un biografo d’eccezione: San Gregorio Magno.
A San Benedetto, fratello di Santa Scolastica, sono stati attribuiti molti miracoli, dei quali, il miracolo più duraturo del padre dell’ordine benedettino è quello della composizione della Regola, scritta intorno al 530 d.C.
E’ un manuale, un codice di preghiera per la vita monastica, redatto con uno stile familiare.
Dal prologo fino all’ultimo dei 73 capitoli, Benedetto esorta i monaci a tendere “l’orecchio del cuore”, a “non disperare mai della misericordia di Dio”: “Ascolta, o figlio, gli insegnamenti del maestro, e tendi l’orecchio del tuo cuore; accogli di buon animo i consigli di un padre che ti vuole bene per ritornare con la fatica dell’obbedienza a Colui dal quale ti eri allontanato per l’accidia della disobbedienza”.
“L’ozio – scrive San Benedetto nella Regola – è nemico dell’anima; è per questo che i fratelli devono, in determinate ore, dedicarsi al lavoro manuale, in altre invece, alla lettura dei libri contenenti la parola di Dio”.
Preghiera e lavoro non sono in contrapposizione ma stabiliscono un rapporto simbiotico, tanto che È compatrono d’Europa e la sua Regola è diventata celebre “…ora et labora”, cioè “…prega e lavora”..
SENZA PREGHIERA, NON È POSSIBILE L’INCONTRO CON DIO, tanto che la vita monastica, definita da Benedetto “una scuola del servizio del Signore”, non può prescindere dall’impegno concreto, che va svolto nella preghiera e nel lavoro.
Il lavoro è un’estensione della preghiera… “Il Signore – ci ricorda San Benedetto – attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”.
Nei secoli a seguire, in Europa, i conventi benedettini si moltiplicano e diventano importanti centri di cultura e di lavoro.
Benedetto compie tanti miracoli: un uomo malvagio vuole avvelenarlo con l’acqua, ma quando il santo fa il segno della croce il calice si spezza.
Benedetto sa leggere nella mente delle persone e viene messo alla prova da un re che, al suo posto, manda da Benedetto il suo scudiero, con indosso i suoi vestiti, ma subito il santo si accorge dell’inganno.
Poi, durante una carestia, davanti al portone del convento, i monaci trovano 200 sacchi di farina e da un monte a secco improvvisamente sgorga l’acqua.
Il santo muore nel 547 a Montecassino. È patrono del lavoro, in particolare di architetti, ingegneri, agricoltori, mezzadri e speleologi. Protegge gli scolari. Viene invocato contro le infiammazioni e la renella.
Ma veniamo al testo odierno.
Il vangelo di oggi è la continuazione immediata del vangelo di ieri, e riporta il commento di Gesù riguardo alla reazione negativa del giovane ricco.
Gesù ha appena finito di spiegare al ragazzo ricco “…se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi” (Mt 19,21).
Poi la nota frase “…ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli” (Mt 19,24).
E, a questo punto Pietro pone la sua domanda “…ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?”.
GLI APOSTOLI SONO UOMINI, E COME TALI SONO IMPERFETTI: CIASCUNO HA I PROPRI LIMITI.
Proprio come ME, gli apostoli sbagliano, imparano, crescono, NELLA CERTEZZA CHE, ANCHE SE SBAGLIAMO, DIO NON È UN GIUDICE SEVERO, MA UN PADRE BUONO CHE EDUCA I PROPRI FIGLI.
Gesù stesso ha detto “…se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12,47).
Cristo si è Incarnato per aiutarci, per illuminare le tenebre del peccato e della fragilità umana, con la vera luce che illumina il mondo, QUELLA DI DIO.
Dice infatti “…IO SONO la luce e sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12,47).
Dunque Gesù non punisce la “sfrontatezza” di Pietro, nè si arrabbia per la domanda fuori luogo.
E’ evidente che gli apostoli non hanno ancora capito, tanto che Pietro, che è un pescatore, in questo momento, ragiona ancora come gli viene naturale.
Ovvero pensa come un pescatore umano, che umanamente dice “vendo il mio pesce e ricavo il denaro che mi è dovuto”.
D’altronde gli apostoli non hanno ancora ricevuto lo Spirito Santo, per cui non hanno ancora raggiunto la loro maturazione spirituale.
E QUESTO MI RASSICURA, PERCHÉ IO SONO IL PEGGIORE DI TUTTI, E PUR SFORZANDOMI, TROPPO SPESSO CONTINUO A RAGIONARE COME UN UOMO, PUR PREDICANDO IL VANGELO.
Infatti, facilmente potrei tenere il Vangelo a debita distanza, da me, come fanno più o meno tutti, pensando che “…sono i discepoli ad essere coinvolti, o, tutt’al più, i santi come Benedetto, che Dio ha chiamato a realizzare una grande opera”.
Così eviterei di commettere errori, perché io conosco bene la mia ignoranza e i miei limiti.
Ma non posso fare ciò, perché il Vangelo è un vissuto che mi riguarda, che ci riguarda, e che noi dobbiamo annunziare, accettando la nostra fragilità umana, ricordandoci del vissuto di questi nostri grandi predecessori.
Guardiamo Pietro che ha accompagnato Gesù e gli altri discepoli che hanno abbandonato tutto; o guardate Benedetto che, giovane studente, rifiuta la vita brillante di Roma per ritirarsi nella solitudine.
Noi, quindi, non possiamo essere semplici spettatori, perché il Vangelo ci riguarda.
Ciò significa dunque che Dio ha delle aspettative su di noi.
E questo è il dramma dell’Amore che va fino alla “morte di croce” e della mia storia con Dio, che io devo continuare a raccontare.
E Gesù, sa bene ciò vuol dire amore fino “alla morte, e alla morte di croce”, perché conosce la volontà del Padre suo e nostro “…mio padre mi manda nel mondo per amore e dice: Tu genererai un popolo nuovo. La tua missione è di diffondere l’amore nel mondo intero”.
Dio vuole che il suo amore si riversi nel mondo, attraverso noi che camminiamo sulle strade del tempo.
E se Gesù ci ha mostrato che Egli è andato incontro a tutti, e il suo invito valeva per tutti, allora io non debbo, e non posso dunque avere paura di nulla.
ANCHE PER ME VALE ALLORA IL MOTTO DI SAN BENEDETTO:
“NIHIL CHRISTO PRAEPONERE!”
«Non anteporre nulla all’amore di Cristo» e «nulla sia anteposto all’opera di Dio».
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!