… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo LUCA 17,26-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva. Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata». Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Nasce in Pannonia (oggi in Ungheria) a Sabaria, da genitori pagani. Viene istruito sulla dottrina cristiana ma non viene battezzato.
Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia.
È in quest’epoca che si colloca l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
Lasciato l’esercito nel 356, già battezzato forse ad Amiens, raggiunge a Poitiers il vescovo Ilario che lo ordina esorcista (un passo verso il sacerdozio).
Dopo alcuni viaggi Martino torna in Gallia, dove viene ordinato prete da Ilario.
Nel 361 fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerato il primo monastero databile in Europa.
Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier.
Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora “il Dio che si adora nelle città”.
Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni.
Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti.
Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questa spiega l’enorme popolarità in vita e la venerazione successiva.
Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours.
Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire.
La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.
Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Il vangelo di oggi continua la riflessione sulla venuta della fine dei tempi e ci presenta parole di Gesù su come prepararsi per la venuta del Regno.
Era una faccenda che, in quel tempo, scatenava molte discussioni.
Chi determina l’ora della venuta della fine, è Dio. Pero il tempo di Dio (kairós) non si misura secondo il tempo del nostro orologio (chronos).
Per Dio, un giorno può essere uguale a mille anni, e mille anni uguali a un giorno (Sal 90,4; 2Pt 3,8) e il suo tempo corre invisibile nel nostro tempo, ma indipendentemente da noi e dal nostro tempo.
Noi non possiamo interferire nel tempo, ma dobbiamo essere preparati per il momento in cui l’ora di Dio si fa presente nel nostro tempo.
Può esser oggi, può essere da qui a mille anni. Ciò che dà sicurezza non è sapere l’ora della fine del mondo, ma sì la certezza della presenza della Parola di Gesù presente nella vita.
Il mondo passerà, ma la parola di Dio non passerà mai, ci racconta il grande profeta Isaia (Is 40,7-8).
Ecco allora che la Parola ci invita a riflettere sul dopo.
In altri tempi questa riflessione teologica veniva definita “dei novissimi” e serviva a guardare un po’ al di là della punta del nostro naso.
Ribadito il concetto che il Regno è già iniziato, la Chiesa delle origini ha maturato l’idea di un ritorno di Cristo risorto dopo l’ascensione, ritorno pensato imminente, all’inizio, poi posticipato alla fine della Storia.
E di questa fine parla abbondantemente Gesù utilizzando un linguaggio già impiegato nell’Antico testamento: lo stile apocalittico, fatto di grandi immagini, di metafore, di visioni da non prendere alla lettera ma nel loro significato profondo.
Così, oggi, il Signore ci ricorda di essere sempre pronti, di vigilare senza lasciare che la vita ci asfalti, ci intontisca, ci scoraggi.
Il rischio è di fare come Lot che non ha avuto il coraggio di osare, di andare oltre, di staccarsi da Sodoma o come sua moglie, che ha continuato a guardare al passato.
Il Signore verrà, nella pienezza dei tempi, e sarà una grande festa, soprattutto per noi che ci diciamo suoi discepoli.
Nel brano odierno il giorno del Figlio dell’uomo, presentato come una folgore nel brano precedente, ora è paragonato al diluvio.
Gesù, Fratelli e Sorelle, ci invita a rileggere due pagine della storia biblica, che riguardavano Noè e Lot.
Hanno un elemento in comune: in entrambi i casi “il male” si intrufola nella vita personale e sociale, e divampa come un fuoco in mezzo alla boscaglia.
Eppure, commenta Gesù, nessuno se ne accorse “Mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, costruivano, piantavano …”.
La vita ordinaria sembra scorrere placidamente come le acque di un fiume.
Nessuno si rende conto della tragedia che sta per abbattersi “…venne il diluvio e li fece morire tutti […] piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti”.
Queste vicende antiche contengono un ammonimento che spesso trascuriamo: Dio non suona la tromba per annunciare la sua venuta.
NOÈ E LOT SI SALVANO PERCHÉ SONO UOMINI GIUSTI CHE HANNO CONFIDENZA CON DIO E SI LASCIANO GUIDARE DALLA SUA PAROLA.
Tutti gli altri periscono.
Una storia antica che Gesù usa come paragone per annunciare quello che accadrà “nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà”.
Le parole sono volutamente oscure e le immagini sono cariche di una innegabile drammaticità.
Il Vangelo è sempre una “buona notizia” anche quando ricorda che la storia del mondo passa per eventi dolorosi.
Questa pagina non vuole suscitare o alimentare paure ma invita a custodire una sana vigilanza, chiede ai discepoli di non cadere in quella diffusa superficialità che non permette di dare il giusto valore agli eventi e ci fa trovare impreparati dinanzi ai passaggi significativi della storia.
Purtroppo Fratelli e Sorelle, le ragioni per cui l’uomo non si accorge dell’avvicinarsi della giustizia di Dio, sono sempre le stesse: GLI AFFARI, GLI INTERESSI E I PIACERI DELLA VITA.
Sono tutte INUTILI cose che sostituiscono qualunque altra occupazione, anche quella della salvezza eterna.
La Bibbia offre un altro esempio di disattenzione ai segni di Dio distribuiti nel corso della storia.
Anche la vita dei Sodomiti trascorreva nei bagordi e nei vizi e non pensavano affatto di poter incorrere in qualche castigo.
E così il castigo arrivò senza che alcuno potesse scamparne. La cosa non era impossibile: bisognava essere attenti e giusti come Lot.
I tempi di Noè, di Lot, di Sodoma sono come tutti i giorni della storia umana.
La salvezza o la perdizione non stanno in qualcosa di straordinario, ma nella quotidianità della vita.
L’uomo si perde se è mosso dall’egoismo, si salva se è mosso dall’amore.
Due persone che fanno la stessa azione hanno una sorte diversa.
Questo indica che la salvezza non dipende da cosa si fa, ma da come la si fa, e soprattutto per chi la si fa.
Come gli uccelli di rapina sono attirati dai cadaveri, così sarà attirato sul mondo il giudizio di condanna dagli uomini che giacciono nella morte del peccato (Ap 19,17).
Non è la domanda circa il luogo del giudizio che conta, ma la libertà dal peccato, il presentarsi davanti al Signore pentiti e convertiti.
Quando Gesù annuncia la fine dei tempi, ammonisce a far penitenza. Egli proclama il regno divino della misericordia, affinché la venuta del Figlio dell’uomo non deva portare a nessuno la condanna.
Occorre allora svegliarsi, scuotersi, agire. Indossare le armi della luce.
Gesù ci dice che il giorno del Signore arriva all’improvviso, che prende di sorpresa, che Dio chiede consapevolezza, accoglienza, verità di sé stessi.
Possiamo vivere la nostra vita con attesa, lavorare, divertirci, orientati all’oltre, all’altrove, al vero. Oppure no.
La stessa cosa viene vissuta in modo opposto: uno è preso, l’altro lasciato.
Uno è consapevole e incontra Dio, l’altro non si pone neppure il problema della vita (e della fede).
Mettiamo in ordine la nostra vita, per favore.
San Macario il Grande, detto L’EGIZIANO, un eremita del terzo secolo, discepolo di SANT’ANTONIO ABATE, ammoniva così:
- “Guai all’anima priva di Cristo, l’unico che possa coltivarla diligentemente perché produca i buoni frutti dello Spirito. Infatti, una volta abbandonata, sarà tutta invasa da spine e da rovi e, invece di produrre frutti, finirà nel fuoco. Guai a quell’anima che non avrà Cristo in sé! Lasciata sola comincerà ad essere terreno fertile di inclinazioni malsane e finirà per diventare un ricettacolo di vizi”.
Una parola antica e sempre attuale.
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!