11.07.2022 – LUNEDI’ SAN BENEDETTO DA NORCIA – MATTEO 19,27-29 “Voi che mi avete seguito, riceverete cento volte tanto”.
… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 19,27-29
In quel tempo, Pietro, disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Nel cuore dell’estate la Chiesa celebra con gioia uno dei suoi figli più preziosi: BENEDETTO da Norcia, Abate e Patrono d’Europa, nacque a Norcia (Perugia), ca. 480 e morì a Montecassino (Frosinone), il 21 marzo 543/560.
Benedetto, che in un momento tragico della storia dell’Europa e della Chiesa, seppe trovare un modo tutto nuovo di stare con Cristo rifondando l’umanità.
Ed iniziò a condurre vita eremitica nella regione di Subiaco, raccogliendo intorno a sé molti discepoli; spostatosi poi a Cassino, fondò qui il celebre monastero e scrisse la regola, che tanto si diffuse in ogni luogo da meritargli il titolo di patriarca dei monaci in Occidente.
L’insegnamento di San Benedetto, nato a Norcia intorno al 480 d. C., è una delle più potenti leve, dopo il declino della civiltà romana, per la nascita della cultura europea.
È la premessa per la diffusione di centri di preghiera e di ospitalità. Non è solo il faro del monachesimo, ma anche una provvidenziale sorgente per poveri e pellegrini.
“Dovremmo domandarci”, scrive lo storico Jacque Le Goff, “a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce”.
Una voce su cui si sofferma, nel II libro dei “Dialoghi”, un biografo d’eccezione: San Gregorio Magno.
È il patriarca del monachesimo occidentale. Dopo un periodo di solitudine presso il sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica prima a Subiaco, poi a Montecassino.
La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana.
In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco.
Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini.
Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò patrono d’Europa (24 ottobre 1964).
San Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36).
Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato.
San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea.
La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno.
Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio.
Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione.
San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo.
Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Benedetto vive in una situazione sociale e culturale per certi versi molto simile a quella che oggi stiamo vivendo.
Il mondo romano sta crollando sotto il peso del proprio declino morale e ideale e altri popoli, dal Nord, stanno occupando le terre del Mediterraneo.
In quella che viene vissuta come una catastrofe che annulla le conquiste ottenute in secoli di civiltà, Benedetto intuì l’unica via d’uscita da quella situazione: il ritorno autentico e appassionato alle radici del Vangelo.
Seguendo la sua Regola, abile sintesi di esperienze precedenti fatte in Oriente e in Occidente, Benedetto fa diventare i monasteri un luogo di nuova civiltà e di speranza.
Non l’aspetto politico e culturale deve predominare nel cristianesimo ma l’esperienza mistica e di fede.
Elabora allora una regola, facendo tesoro delle precedenti esperienze dell’oriente e dell’occidente cristiano, e inizia, non senza difficoltà, a vivere quel tipo di vita con determinazione.
Grazie a quella intuizione e lungo i secoli decine di migliaia di uomini e donne hanno preso spunto per fondare i monasteri, veri avamposti di un mondo nuovo che mette al centro la ricerca spirituale, la meditazione e la preghiera.
Come bene scrive nella sua regola, il discepolo non deve anteporre nulla all’amore di Cristo “NIHIL CHRISTO PRAEPONERE”.
Troppe volte, invece, anche se credenti, anche se discepoli, troviamo mille cose da fare prima di fermarci e di lasciarci amare dalla tenerissima presenza del Maestro.
I monaci, ancora oggi, sono lì a dimostrare all’umanità che vale la pena vivere dedicando ogni energia alla ricerca di Dio e all’ascolto della Parola.
Ma entriamo nel testo evangelico odierno.
- “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” (Mt 19,27).
Pietro chiede di sapere quale ricompensa riceveranno.
Poco prima Gesù aveva denunciato la ricchezza come un ostacolo al raggiungimento del regno dei cieli:
- “Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli” (19,23).
Il racconto evangelico registra lo stupore dei discepoli. In questo contesto possiamo leggere la domanda di Pietro: dal momento che Gesù non promette alcun vantaggio di carattere materiale, quale sarà la ricompensa?
È una richiesta che rivela tutta la fragile umanità dell’apostolo che ha risposto con generosità alla chiamata, senza nulla chiedere, ma ora chiede di capire qual è la promessa di Dio.
Pietro parla a nome degli altri ma in fondo rappresenta tutti noi, nelle sue parole scopriamo i desideri che anche noi portiamo nel cuore.
In ogni nostro gesto, anche quello in apparenza più disinteressato, vi è l’attesa di un contraccambio, non siamo capaci di vivere nella più assoluta gratuità.
Solo in Dio amore e gratuità coincidono perfettamente.
Nella creatura umana, bisognosa di perfezione, vi è una naturale tendenza a ricercare un vantaggio.
Gesù sa bene che la domanda di Pietro è ancora impastata di umanità, non può e non vuole dare garanzie ma annuncia che Dio darà cento volte tanto a tutti coloro che, fidandosi di Lui, hanno lasciato ogni cosa.
Invita gli apostoli ad attendere fiduciosi il dono di Dio. Ma chiede anche di non guardare più indietro e di non misurare le scelte del presente con richieste che nascono dall’istintivo bisogno di sicurezza.
L’amore e la fede sono radicalmente incompatibili con la matematica e con il calcolo. La nuova umanità può sorgere solo da una fede che in ogni cosa cerca unicamente la gloria di Dio.
È questa la strada che ha percorso san Benedetto. Alla sua intercessione oggi affidiamo la nostra fede ancora tanto bisognosa di purificazione
Ma c’è anche un’altra angolazione da tenere presente.
Pietro esprime il pensiero dei compagni dicendo, a loro nome, che quello che il giovane ricco non ha avuto il coraggio di fare (Mt 19,22) loro lo hanno fatto. A differenza del ricco hanno lasciato alle loro spalle non soltanto le loro proprietà, ma il loro stile di vita, per seguire Gesù.
Esteriormente hanno lasciato tutto alle spalle, ma i loro bisticci per questioni di posizione o di onore (Mc 9,34; 10,41) e la loro avversione a una prospettiva di sofferenza (Mc 8,31-34) fanno capire che non hanno ancora abbandonato tutto interiormente per seguire Gesù.
L’affermazione di Pietro non implica necessariamente che lui abbia venduto tutto per darlo ai poveri (Mc 1,29; Gv 21,3), ma che ha abbandonato completamente il tipo di vita che conduceva prima per seguire Gesù.
E il Maestro accoglie l’affermazione di Pietro come sostanzialmente vera, sottolineando che questa rinuncia trova la sua ricompensa non soltanto nell’altra vita, ma già ora.
L’annuncio del Vangelo non è una prestazione che dia diritto ad una ricompensa da riscuotere a suo tempo, MA È ESSA STESSA LA RICOMPENSA, perché riempie la vita proprio con quelle cose a cui si è rinunciato, ad un livello incomparabilmente superiore.
Il cuore di tutto sta nel distacco interiore da sé stessi, che trasforma ciò che è orribile per il mondo in meraviglioso per chi vive già oltre questo mondo.
CHI HA GESÙ NEL PROPRIO CUORE, HA TUTTO CIÒ.
QUESTO È QUELLO CHE NON AVEVA ANCORA CAPITO IL RICCO… E CHE GLI APOSTOLI ERANO ANCORA SULLA STRADA DI CAPIRE FINO IN FONDO.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!