10 agosto 2024 SABATO SAN LORENZO MARTIRE – GIOVANNI 12,24-26 “Se il chicco di grano muore, produce molto frutto”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

 

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 12,24-26

+ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà». Parola del Signore

Mediti…AMO

La Liturgia si tinge ancora di rosso, con il sangue di un diacono romano san Lorenzo, martire a Roma, il 10 agosto 258

Lorenzo, da ragazzo, ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana.

Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251.

L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana.

Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260. Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.

Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo, ma che è noto soprattutto per la sua morte.

Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana.

Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa.

Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio.

Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani.

Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana.

Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti.

Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato.

La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258.

Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio.

Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”.

Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze.

Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo. Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore.

Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: “Ecco, i tesori della Chiesa sono questi”, e viene messo a morte.

E un’antica “passione”, raccolta da sant’Ambrogio, precisa “Bruciato sopra una graticola”: un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli, ma noi sappiamo che Valeriano non ordinò torture.

Storicamente possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina.

Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.

La preghiera di Colletta sintetizza la sua testimonianza con queste parole: «O Dio, l’ardore della tua carità ha reso san Lorenzo fedele nel ministero e glorioso nel martirio» e chiede per noi: «Fa’ che amiamo ciò che egli ha amato e viviamo ciò che ha insegnato».

I martiri, i testimoni, ci insegnano che è possibile vivere di Cristo Gesù e ce ne indicano la strada.

Si tratta quindi di «vivere ciò che ci hanno insegnato».

Ma per fare questo occorre conoscere la loro vita, il loro insegnamento.

Non quelle narrazioni edulcorate e lontane dalla verità, ma i tratti delle lo- ro esistenze così come lo Spirito di Dio li ha disegnati come solo Lui sa fare.

La figura di un martire così lontano da noi crea non pochi problemi.

Alle già scarse notizie si aggiunga che il suo ricordo si è sedimentato in tradizioni che ne offuscano la veridicità storica.

È come se celebrassimo un personaggio mitologico che poco o niente ha a che fare con la fede.

È solo la Parola di Dio che può dare spessore a questi santi, ormai messi nel dimenticatoio se non fosse per i vari onomastici che vi si celebrano.

Il servizio e il martirio sono due componenti basilari del dinamismo cristiano, attraverso di essi la fede trova la sua pienezza e la sua ragion d’essere.

Sarebbe interessante sapere quale risonanza aveva nella vita di questi santi la parola che abbiamo letta e come percepivano il «dare testimonianza», qual era la loro relazione con la morte che essi affrontavano coerentemente con la loro scelta di servizio.

Ma ciò che si chiede ad un tempo così lontano, non si può fare a meno di vederlo intorno a noi in molte persone che vivono il loro cristianesimo con slancio e semplicità.

Il celebrare i martiri ha senso in quanto in essi celebriamo tutti quei cristiani che nella vita testimoniano Cristo attraverso i piccoli, ma altrettanto dolorosi, martirii quotidiani.

Insieme a san Lorenzo ricordiamo i genitori che soffrono per i loro figli senza perdere la speranza in Dio, coloro che sono oppressi dalla malattia e sanno fare del loro dolore una fonte positiva di bene, tutti coloro che pur vivendo situazioni disagiate economiche, fisiche e morali sanno mantenere viva la loro fede.

Non è forse anche questo martirio?

E se vissuto in unione alle sofferenze di Cristo non diventa servizio a favore di tutti i fratelli? «Se il chicco di grano caduto in terra non muore…».

Lo hanno fatto senza esitare questi uomini e donne come noi.

Che non erano né eroi, né fanatici, ma amanti della vita, come noi, ma comunque NON DISPOSTI A RINNEGARE LA PROPRIA FEDE E, PERCIÒ, CONSAPEVOLI CHE CRISTO VALE PIÙ DELLA VITA.

Uomini e donne del passato, ma anche del presente recente.

Studi recenti ci dicono che, dall’origine del cristianesimo ad oggi, quaranta milioni di cristiani sono stati uccisi ma, di questi, venticinque milioni nel “luminoso” ventesimo secolo.

Nei gulag sovietici, nei campi nazisti, nelle foreste africane, milioni di uomini e donne hanno donato il proprio seme per la rinascita di un mondo pacificato.

Tertulliano, un padre della Chiesa, diceva che il sangue dei martiri è semenza per i nuovi cristiani.

E io e noi, dovremmo vergognarci, discepoli con telecomando tv e pantofole, dimenticando che dobbiamo la nostra fede alla testimonianza di fratelli e sorelle che, come Lorenzo, hanno dato tutta la loro vita per il Regno.

Ma veniamo al testo evangelico.

Le parole del vangelo di Giovanni sul chicco di grano che, caduto in terra, muore e produce molto frutto; e su colui che odia la propria vita in questo mondo, e la conserva per la vita eterna, e infine su chi si fa servitore di Gesù ed è in piena comunione con Lui ed è onorato dal Padre.

Se «chi semina con larghezza, e con larghezza raccoglierà», certamente possiamo dire che Lorenzo «ha largheggiato, ha dato ai poveri» per questo «la sua giustizia dura in eterno» e istruisce anche le nostre vite.

Il dono della sua vita, come caratteristica cruciale del suo messianismo, Gesù lo tratteggia con una mini-parabola.

Un evento centrale e decisivo della sua vita lo descrive attingendo all’ambiente agricolo, da cui prende le immagini per rendere interessanti e immediate le sue parole.

È la storia di un seme: una piccola parabola per comunicare in modo semplice e trasparente con la gente: un seme inizia il suo percorso nei meandri oscuri della terra, ove soffoca e marcisce ma in primavera diventa uno stelo verdeggiante e nell’estate una spiga carica di chicchi di grano.

Due sono i punti focali della parabola: il produrre molto frutto; il trovare la vita eterna.

Il seme che sprofonda nell’oscurità della terra è stato interpretato dai Primi Padri della Chiesa un’allusione simbolica all’Incarnazione del Figlio di Dio.

Nel terreno sembra che la forza vitale del seme sia destinata a perdersi perché il seme marcisce e muore.

Ma poi la sorpresa della natura: in estate quando biondeggiano le spighe, viene svelato il segreto profondo di quella morte.

Gesù sa che la morte sta per incombere sulla sua persona tuttavia qui non la vede come una bestia che divora.

È vero che essa ha le caratteristiche di tenebra e di lacerazione, ma per Gesù contiene una forza segreta tipica del parto, un mistero di fecondità e di vita.

Alla luce di questa visione si comprende un’altra espressione di Gesù «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna».

Chi considera la propria vita come una fredda proprietà da vivere nel proprio egoismo, è come un seme chiuso in se stesso e senza prospettive di vita.

Chi invece «odia la sua vita», un’espressione semitica molto incisiva per indicare la rinuncia a realizzare unicamente se stessi, sposta l’asse del significato di un’esistenza sulla donazione agli altri; solo così la vita diventa creativa: è fonte di pace, di felicità e di vita.

È la realtà del seme che germoglia, anche se in questa parabola di Gesù c’è un’altra dimensione, quella «pasquale».

Gesù è consapevole che per portare l’umanità al traguardo della vita divina deve passare per la via oscura della morte in croce.

Sulla scia di questa via anche il discepolo affronta la sua «ora», quella della morte, con la certezza che essa approderà alla vita eterna, vale a dire, alla comunione piena con Dio.

Ragioniamoci sopra

Pax et Bonum tibi, frater in Christo!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!