«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo MARCO 1,1-8
+ Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Parola del Signore
Mediti…AMO
Abbiamo appena celebrato la festa dell’Immacolata, che ha richiamato l’attenzione sulla Madre del Messia.
E così, anche quest’anno il calendario porta ad accostare due figure principali, tra quante del Messia hanno preparato la venuta.
Due figure principali, che perciò la liturgia pone al centro dell’Avvento.
Da sempre la fede cristiana riconosce gli stretti vincoli esistenti TRA IL BATTISTA E LA VERGINE, IN RAPPORTO AL CRISTO.
Li esprimono visivamente le numerose immagini che presentano quest’ultimo in trono, affiancato dai primi due in atteggiamento adorante.
È uno schema iconografico caro ai cristiani d’oriente, ma che trova cittadinanza anche nell’arte occidentale.
E nella seconda tappa del cammino verso il Natale 2023, il vangelo di Marco di questo giorno ci pone all’inizio di quel cammino, che l’evangelista ha fissato nel testo del suo racconto, sulla vita di nostro Signore.
Marco non faceva parte del gruppo dei dodici apostoli di Gesù, ma dei “70 discepoli” inviati da Gesù a due a due per predicare la Buona Novella.
Accompagnò Paolo di Tarso, nel suo primo viaggio a Roma (Col 4, 10), e gli rimase vicino durante la sua prigionia nella città.
In seguito divenne discepolo di Pietro, la cui predicazione fu la base per la redazione del Vangelo che scrisse, considerato il più antico dei quattro.
Oggi leggiamo appunto l’inizio di questo vangelo.
Un inizio indicato come la chiave di lettura di quanto il credente è chiamato a comprendere e che consiste nel riconosce in Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
Marco inizia facendo parlare Isaia, il più grande dei profeti d’Israele, per mostrare che tra il Vangelo di Gesù, Figlio di Dio, e le promesse dell’Antico Testamento, non c’è soluzione di continuità:
- come scrisse Isaia nel suo libro,
- così avvenne attraverso la predicazione di Giovanni il Battista.
Molte sono le analogie tra Giovanni il Battista e un altro grande profeta della storia d’Israele, Elia, del quale si diceva che sarebbe tornato sulla terra poco prima dell’arrivo del Messia.
Entrambi, Elia e il Battista:
- invitavano alla conversione un popolo che si era allontanato in maniera evidente dal culto al vero Dio;
- entrambi si vestivano di peli di cammello e si cibavano di quello che la natura metteva loro a disposizione;
- entrambi saranno perseguitati dalle autorità politiche e religiose proprio per il loro desiderio di smuovere le coscienze e far tornare il popolo a un culto di Dio autentico e genuino.
C’è un altro elemento comune alle figure di Elia e del Battista, ed è il luogo dove abitualmente vivevano e operavano: il deserto, la solitudine, il silenzio.
Ma c’è un altro particolare.
MENTRE LA VOCE DI ISAIA RISUONAVA NELLE CITTÀ, e chiedeva di preparare per gli esuli la strada del ritorno che sarebbe passata nel deserto come già al tempo dell’Esodo.
LA VOCE DI GIOVANNI, INVECE, RISUONA NEL DESERTO perché è lui stesso che si trova nel deserto, ED È NEL DESERTO CHE SI PREPARA ALLA VENUTA DEL SALVATORE.
Stare nel deserto vuol dire STARE NEL SILENZIO (quello che a volte non riusciamo a fare neppure per un minuto nell’arco della giornata, nemmeno di notte).
VIVERE NEL DESERTO VUOL DIRE ESSERE NELLA POVERTÀ E NELL’ESSENZIALITÀ (quella che siamo talmente incapaci di attuare, al punto da riempire le nostre case, i nostri armadi, i nostri frigoriferi, i nostri cassetti, i nostri mobili, addirittura i nostri presepi di tante cose così poco necessarie, che la metà sarebbero sufficienti, per vivere più che dignitosamente).
MA STARE NEL DESERTO vuol dire soprattutto stare nella solitudine, non quella sofferta a causa delle vicende della vita, MA QUELLA RICERCATA PER STARE UN PO’ CON NOI STESSI E ANCHE CON DIO.
Menzionando il deserto, tuttavia, Marco presenta la figura di Giovanni discostandosi da quanto espresso dal profeta Isaia: entrambi parlano, sì, di una voce profetica che risuona, e del deserto come luogo privilegiato di questa voce.
Ma il modo in cui Isaia parla di questa voce e del deserto, non è lo stesso in cui Marco parla di Giovanni.
E, in questo contesto, possiamo facilmente vedere che, in confronto all’introduzione discreta nel tempo dell’Avvento avvenuta domenica scorsa, l’annuncio di oggi è spettacolare:
- “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te… Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”.
Giovanni Battista fa il suo ingresso spettacolare nel mondo, vestito di peli di cammello.
Le sue parole bruciano l’aria, le sue azioni frustano il vento.
Il Battista era figura d’uomini di altri tempi, improponibili ad una cultura, come la nostra, basata sul benessere e sul consumismo, dal facile scoraggiamento, dall’inattività e dalla passività.
Giovanni invece è tutto l’opposto di una mentalità materialistica e si concentra su un stile penitenziale, molto adatto ed adeguato ad un Natale, a cui ci prepariamo, in questo nuovo, difficile anno.
Rispetto a Giovanni, che scelse di andare incontro a Cristo con la penitenza, il digiuno, il deserto e la privazione di ogni bene materiale, noi facciamo difficoltà ad accettare prove e privazioni, come quella attuale, che non dipendono da noi e non riguardano solo noi.
Ma, incuranti di quanto sin qui detto, noi vorremo assolutamente evitare tutto ciò che è sofferenza, rinuncia, dolore e morte.
E ci siamo dimenticati che la vita è fatta di bonacce e tempeste, di inverni e primavere, di caldo e freddo, di gioie e amarezze.
Ma torniamo a Giovanni, che predica “un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” ed immerge i suoi discepoli nelle acque del Giordano.
IL SUO MESSAGGIO, PUR LEGATO A UN MOMENTO DELLA STORIA, HA UN RESPIRO ETERNO.
Perchè anche noi dobbiamo preparare la strada del Signore, poiché un sentiero si spinge fino ai nostri cuori.
Dovremmo cercare di dedicare, in questo tempo di Grazia, un po’ di tempo alla meditazione, sulla scorta di quanto dice san Pietro:
- “Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2Pt 3,13).
E, in questo cammino ci soccorre l’interpretazione della simbologia che c’è dietro questo brano di Vangelo, con il quale Marco dà “inizio“, dà il via al “Lieto Annuncio“.
C’è un uomo, di nome Giovanni, un uomo che vive con l’essenziale, nel quale dovremmo riconoscere, nel suo abbigliamento e nel suo stile, lo stile del Profeta per eccellenza, quello con la “P” maiuscola, quell’Elia che, ancora israele attente, che sarebbe dovuto tornare ad aprire la strada all’arrivo del Messia.
La sua non è una voce qualsiasi, ma è il segno della speranza legata al compimento delle promesse.
E questo Elia redivivo è talmente profetico che “battezza nel deserto“, “IMMERGE NELL’ACQUA” PROPRIO NEL LUOGO IN CUI L’ACQUA NON C’È, per cui è davvero capace di far sorgere vita là dove tutto parla di morte.
Infatti, se Giovanni battezzava nel deserto, luogo in cui notoriamente non c’è acqua, questo fatto, non vuole farci capire CHE LA DIMENSIONE È PROPRIO QUELLA SPIRITUALE, LA STESSA IN CUI OGGI NOI VIVIAMO?
Nel deserto il popolo d’Israele ha potuto constatare la fedeltà del Creatore che lo ha sorretto nel faticoso percorso, lo ha aiutato a combattere la tentazione e, quando si è dimostrato infedele, gli è sempre andato incontro donando, una volta di più, la proposta del ritorno, della conversione.
Ciascuno e ciascuna di noi da questa Voce è chiamato a riconoscere nel contesto abituale, normale, le tracce dell’esodo, a seguirle per farne proprio il cammino con la guida di Dio.
Per farlo, però, occorre andare al fiume Giordano, che non è un fiume qualsiasi: FU L’ULTIMO OSTACOLO DA ATTRAVERSARE PERCHÉ IL POPOLO DELL’ESODO, SOTTO LA GUIDA DI GIOSUÈ, POTESSE ENTRARE NELLA TERRA PROMESSA; FU IL LUOGO IN CUI IL PROFETA ELISEO RACCOLSE IL TESTIMONE DALLO STESSO ELIA PERCHÉ LA PROFEZIA NON VENISSE MENO IN ISRAELE.
A questo simbolico luogo di promesse compiute, immersi nell’acqua dal battesimo da una voce che presto indicherà presente nel mondo il Messia, accorrono non solo dalla regione della Giudea, ma “tutti gli abitanti di Gerusalemme”.
CHE SONO GLI UNICI CHE PER CHIEDERE PERDONO E INIZIARE UN CAMMINO DI CONVERSIONE NON AVEVANO CERTO BISOGNO DI SCENDERE AL GIORDANO, GIÀ CHE AVEVANO IL TEMPIO, NEL QUALE OFFRIRE SACRIFICI DI PENITENZA E RICONCILIAZIONE.
Ma del resto, se si vuole davvero che la vita cambi E CHE L’ORA DELLA PROVA SI TRASFORMI IN UN MOMENTO DI SPERANZA, bisogna uscire dalla comodità del tempio, ed accettare di rimanere nel deserto, di camminare fino alle acque del Giordano.
E, in queste acque, ci si vedrà “immersi“, NEL BAGNO DELLA GRAZIA DI DIO, DA UN UOMO CHE – NONOSTANTE LA SUA GRANDEZZA E LA SUA IMPORTANZA – CI INSEGNERÀ LA VIA DELL’UMILTÀ, PERCHÉ EGLI SA CHE ,COLUI CHE VERRÀ DOPO, È INFINITAMENTE PIÙ GRANDE DI LUI.
E ci serve anche fare un’altra riflessione.
È vero che contano le opere e il cristianesimo vissuto giorno dopo giorno.
Ma è importante anche frequentare quel luogo dove impariamo ad essere cristiani davvero…A MESSA.
Partecipando con tutto il nostro essere alla sua LITURGIA, a questo RITO che ci può cambiare davvero la vita, in modo irreversibile.
Così come il pane si trasforma in corpo di Cristo, in maniera irreversibile, e il vino in sangue di Cristo, in maniera altrettanto irreversibile.
Quando il Signore si presentò agli apostoli, nel cenacolo, la sera di Pasqua, si fece riconoscere mostrando le ferite dei chiodi e il costato trafitto.
E queste ferite restarono e sono per sempre sul corpo del Signore Risorto: I SEGNI DELLA MORTE, PARADOSSALMENTE, SONO LA PROVA CHE EGLI È VIVO.
LA RISURREZIONE NON CANCELLA I FATTI DELLA PASSIONE, I QUALI RIMANGONO IRREVERSIBILMENTE IMPRESSI NELLA PERSONA DEL VERBO INCARNATO, A GARANZIA DELLA LORO PERENNE EFFICACIA PER TUTTA L’UMANITÀ.
Non si può più scendere dal Monte Calvario, da quella immensa pietraia desolata, luogo di morte, che è il Gòlgota…
Ma …neanche dalla fede nel Signore, Incarnato, Morto e Risorto per la nostra salvezza!
La voce del PROFETA MICHEA (Michea 6,8):
- “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio”.
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!