10.08.2023 – GIOVEDI’ SAN LORENZO – GIOVANNI 12,24-26 “…”.
«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 12,24-26
+ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà». Parola del Signore
Mediti…AMO
Oggi la Chiesa celebra la santità di Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma, luminoso esempio di martirio e di amore per i poveri.
Sappiamo poco di Lorenzo, conosciamo solo che è Martire a Roma il 10 agosto 258. Ma quel poco basta.
Vive in un momento di grande persecuzione della Chiesa, sotto l’imperatore Valeriano, che vieta le assemblee di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, anche se non obbliga a rinnegare la fede cristiana.
Lorenzo, da ragazzo, ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore FILIPPO DETTO L’ARABO, perché figlio di un notabile della regione siriana.
Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da DECIO, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251.
L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana. Contro i persiani combatte anche l’imperatore VALERIANO, salito al trono nel 253, il quale sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260.
Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
Ed è qui che incontriamo Lorenzo. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa SISTO II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana.
Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa.
Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana.
Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il vescovo CIPRIANO DI CARTAGINE, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato. La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258.
Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio. Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”.
Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca, e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze.
Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo, durante il quale si affretta a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo “…ecco, i tesori della Chiesa sono questi“. E questo gli costa la condanna a morte.
E un’antica “passione”, raccolta da sant’Ambrogio, che precisa fu “…bruciato sopra una graticola“, un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli.
Ma gli studi (v.si Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture.
Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina.
Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.
E noi lo ricordiamo per quel gesto, quella provocazione che ancora oggi ci interroga. Non gli ori, le opere d’arte, le meravigliose basiliche sono i tesori della Chiesa. Ma i poveri che serviamo, servendo in loro Cristo.
In essi ben si compie ciò che Isaia racconta: l’appartenenza al Signore, che per primo si è impegnato e promette di intervenire nuovamente per coloro che sono «preziosi ai suoi occhi» e che «ama», e che si traduce in un continuo invito a non temere: quale che sia il cammino che si troveranno davanti, passeranno indenni da ogni pericolo.
Queste parole, dette a Israele, il popolo che è legato a Dio attraverso la relazione di alleanza, ben esprimono anche l’orizzonte dell’amore di Dio nel quale i martiri come Lorenzo hanno compiuto le loro scelte.
Sentirsi dire «…Tu sei prezioso ai miei occhi e io ti amo» permette di sbilanciarsi fino al dono della vita per colui che cosi si esprime, anche se non sottrae dal turbamento.
Anche per Gesù, di cui il brano evangelico narra una preghiera che ricorda quella del Getsèmani narrata dai Sinottici, l’ORIZZONTE DELL’AMORE DEL PADRE È FONDAMENTALE, tuttavia, non gli è risparmiata l’esperienza del turbamento e dell’angoscia di fronte al proprio morire.
Si tratta di una reazione umanissima: Gesù l’ha abbracciata con la propria incarnazione e l’affronta fino in fondo.
Ricollocandosi nell’orizzonte dell’amore del Padre con la preghiera e mettendo se stesso e la sua vita in mani più grandi delle sue, riceve un immediato conforto; anche noi siamo invitati a far nostro il medesimo atteggiamento.
Il diacono e martire San Lorenzo ha assunto nel corso dei secoli un fama e una devozione veramente cattolica, universale, e ha saputo incarnare un modello concreto di servizio sena compromessi, tale ad essere additato come paradigmatico della diaconia in Cristo.
Lorenzo fu uno dei personaggi più noti della prima cristianità di Roma ed uno dei martiri più venerati, tanto che la sua memoria fu ricordata da molte chiese e cappelle costruite in suo onore nel corso dei secoli.
Si racconta che durante la prigionia che precedeva la sua esecuzione, Lorenzo fu dato in custodia al centurione Ippolito, che lo rinchiuse in un sotterraneo del suo palazzo; in questo luogo buio, umido e angusto si trovava imprigionato anche un certo Lucillo, privo di vista.
Lorenzo confortò il compagno di prigionia, lo incoraggio, lo catechizzò alla dottrina di Cristo e, servendosi di una polla d’acqua che sgorgava dal suolo, lo battezzò. Dopo il Battesimo Lucillo riebbe la vista. Il centurione Ippolito visitava spesso i suoi carcerati; avendo constatato il fatto prodigioso , colpito dalla serenità e mansuetudine dei prigionieri, E ILLUMINATO DALLA GRAZIA DI DIO, si fece Cristiano ricevendo il battesimo da Lorenzo.
In seguito Ippolito, riconosciuto cristiano, fu legato alla coda di cavalli e fatto trascinare per sassi e rovi fino alla morte. Lorenzo fu bruciato vivo sulla graticola, in luogo poco lontano dalla prigione; il suo corpo fu portato al Campo Verano, nelle catacombe di Santa Ciriaca.
A perenne memoria del Martirio di san Lorenzo furono erette a Roma tre chiese:
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San Lorenzo in Fonte (luogo della prigionia),
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San Lorenzo in Panisperna (luogo del martirio)
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e San Lorenzo al Verano (luogo della sua sepoltura).
Storicamente però furono circa 30 (delle sette rimaste) le chiese dedicate a San Lorenzo, santo amatissimo e compatrono di Roma.
Secondo la devozione e la pietà popolare San Lorenzo fu bruciato sopra una graticola, la Leggenda Aurea del beato Jacopo da Varazze, ne ha in modo significativo sigillato la pietas popolare con la narrazione dei suoi ultimi momenti.
Ma vorrei spendere due parole sul contenuto del brano evangelico, che oggi la Liturgia ci regala.
Gesù considera un seme di grano che, caduto a terra, muore: per gli antichi il seme, per diventare pianta, deve morire e risuscitare. Gesù, parlando di quel seme, parla di sé e della propria morte e resurrezione. «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto».
C’è un dinamismo di morte che dà vita. E c’è una morte più triste della morte fisica: la solitudine, l’abbandono. C’è una morte vivificante perché fa crescere il seme e lo fa diventare spiga, poi pianta, poi capace di frutto.
oi possiamo temere questo divenire, scambiandolo per una morte, e in certo modo lo è perché non siamo più quelli di prima, e allora, per paura, possiamo decidere di restare come e dove siamo, scegliendo di non crescere, di vivere una vita che è un lento, quotidiano morire.
C’è infatti un abbandonarci, un fidarci, sentito così rischioso che ci induce a preferire la solitudine, a restare nella morte mortifera della solitudine, dell’isolamento.
Abbiamo qui due forme di morte: la paura del cambiamento di sé che fa restare nella solitudine è la vera morte, la sterilità; l’accettazione del cambiamento di sé è la morte feconda di chi, scegliendo di cambiare, si apre alla vita e porta frutto.
Il frutto di questa morte è un dare: si diventa capaci di dare in abbondanza. La sofferenza del perdere diventa la gioiosa offerta di sé nel dare. Si diventa cioè pienamente umani, si cresce alla statura di Cristo diventando capaci di donare fino a dare la vita. L’abbondanza del frutto dell’amore è nel dono della vita: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).
Ma c’è anche un altro aspetto davvero interessante, che dovrebbe cambiare le nostre prospettive di visuale sul brano, da come è sempre stato visto: la morte del chicco di grano come condizione necessaria per la nascita della spiga.
Un detto che, nei secoli, è stato sottoposto a una lettura doloristica che esalta la sofferenza come tramite di salvezza.
NULLA DI PIÙ LONTANO DALLE INTENZIONI DI CRISTO: LA MORTE VA INTESA COME CAPACITÀ DI TRASFORMAZIONE IN VISTA DI UN FINE CAPACE DI DARE SENSO A TUTTA LA NOSTRA VITA.
I credenti dovrebbero capire che, LA MORTE DI CUI PARLA GESÙ, NON RICHIEDE «ALCUNA FUGA DALL’UMANO», E ANZI È PREMESSA DI UN PIENO COMPIMENTO DEGLI UOMINI E DELLE DONNE CHE SIAMO CHIAMATI AD ESSERE FIN DALLA NOSTRA NASCITA.
Certo, il riferimento al martirio di Lorenzo ci inquieta: diventare pienamente uomo per lui significò davvero la morte fisica, e una morte violenta.
Certo, al cristiano può essere richiesto anche l’estremo sacrificio, ma ciò che conta per lui, è CHE LA SEQUELA DEL SIGNORE NON COMPORTA LA MORTIFICAZIONE DELLA PROPRIA UMANITÀ, O L’ADESIONE A IDEALI DOLORISTICI CHE COMPROMETTONO IL LEGITTIMO DESIDERIO DI FELICITÀ CHE ABITA IL NOSTRO CUORE.
MA –al contrario– COMPORTA IL GIOIOSO PERFEZIONAMENTO DI OGNI FACOLTÀ INTELLETTUALE E MORALE, FINO AD ASSOMIGLIARE ALL’UOMO PERFETTO CHE FU GESÙ DI NAZARETH.
Si tratta dunque di un cammino di vita, anche se parte dalla “morte” dell’uomo vecchio che viveva in noi.
Ragioniamoci sopra…
Il Signore IDDIO ti Benedica
E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!