09.09.2022 – VENERDI’ 23^ SETTIMANA P.A. C – LUCA 6,39-42 “Può forse un cieco guidare un altro cieco?”
… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo LUCA 6,39-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». Parola del Signore
Mediti…AMO
Fratelli e Sorelle per cieco si intende chi non riesce a vedere l’evidenza della realtà, ovvero colui che non accetta l’esistenza di Dio nonostante le incalcolabili prove a cui ogni giorno è sottoposto.
Questi è accecato dall’orgoglio e non considera nessuno, e finisce per agire con egoismo e cattiveria.
La Parola di Dio suscita grande meraviglia, lo stupore è sempre presente perché da alcune parole si possono trarne molti insegnamenti e ci si incanta quando la meditiamo, per la ineffabile capacità di Dio nell’infondere ispirazioni. Essa è un pozzo ricolmo di tesori spirituali e anche chi attinge molte volte dalla stessa frase, ne trae sempre qualcosa di prezioso. Perché, per sua natura divina, la Parola di Dio dà la vista anche ai ciechi!
Di sicuro i ciechi nelle facoltà intellettuali possono vedere la vera e splendida Luce non appena esprimono il desiderio di convertirsi.
Ci vuole poco infatti, ma sono miliardi le persone che NON SI CONVERTONO a Dio perché sono bloccati dall’amor proprio, dall’attaccamento ai piaceri mondani, schiacciati dalle tentazioni, tenute alla catena dai diavoli inferociti.
Rimangono, allora, nello stato di sottomissione a pensieri molto lontani dal Vangelo e, non potendo arrivare a Gesù, vivono nel torpore dell’anima.
Ma cerchiamo di vedere il testo.
Il vangelo di oggi ci racconta alcuni passaggi del discorso che Gesù pronuncia sulla pianura dopo aver trascorso la notte in preghiera (Lc 6,12) e dopo aver chiamato i dodici ad essere suoi apostoli (Lc 6,13-14). Gran parte delle frasi riunite in questo discorso sono state pronunciate in altre occasioni, però Luca, imitando Matteo, le riunisce qui in questo Discorso della Pianura.
E questo racconto segue quello delle beatitudini e del perdono. Si tratta di un unico grande discorso, articolato e complesso, che la liturgia ci somministra in pillole, ogni domenica…
Questa pericope evangelica costituisce una raccolta di brevi detti del Signore, derivano certamente dalla sapienza ebraica, o da qualche commento rabbinico… e di essi il più importante, e anche più famoso, è quello della trave nell’occhio.
Qualcuno di voi certamente ricorderà che nei primi anni 80, la radio trasmetteva un programma satirico intitolato proprio “La trave nell’occhio”.
Ma torniamo a noi. Questo racconto pone l’accento sull’umiltà, da conservare contro il rischio, sempre in agguato, di sentirsi migliori degli altri, e di dimenticare che il Signore ci ha insegnato ad essere, misericordiosi e a saper perdonare.
E, oggi Gesù ci insegna ad essere giusti, ovvero ad usare la testa, la ragione e non solo il cuore. Possiamo pensare di essere misericordiosi, di dover perdonare tanto agli altri, ma non ci rendiamo conto di utilizzare un OCCHIO NON LIMPIDO.
Se noi guardiamo gli altri con il microscopio, scopriremo molte travi nei loro occhi. Ma se ci guardiamo con girando al contrario il binocolo, vedremo in noi solo pagliuzze.
Per essere misericordiosi, dobbiamo “vedere le cose così come sono”. Se così facciamo, poi sapremo essere anche misericordiosi. E CI RICORDEREMO UNA COSA FONDAMENTALE, CHE SEMPRE DIMENTICHIAMO: BISOGNA CONDANNARE RISOLUTAMENTE IL PECCATO, MA NON IL PECCATORE.
Proprio riferendosi a queste parole di Gesù, il magistero della Chiesa, SOLENNEMENTE DICHIARA che il peccato è da condannare, non il peccatore.
Questa dichiarazione fa oramai parte della storia non solo della chiesa cattolica, ma anche della coscienza civile del Paese: Giovanni XXIII distinse tra errore ed errante (che poi riprenderà nella crisi di Cuba”, nella Lettera Enciclica “Pacem in Terris”) liquidando la scomunica anti-Pci di Pio XII tra le ire degli anticonciliari. Entrato in conclave il 25 ottobre del 1958, il cardinale di Venezia Angelo Roncalli fu eletto papa tre giorni dopo.
Torniamo all’analisi del testo.
Gesù veniva chiamato e riconosciuto come Rabbi, “maestro”, e nel richiamare l’immagine del cieco che non può guidarne un altro lascia ad intendere che Egli è l’unico ad avere la vista buona, e che conosce e può indicare il sentiero sicuro che porta alla salvezza.
Il Maestro, infatti, non è solo qualcuno che insegna una materia, bensì è colui che ne dà testimonianza con la vita.
Non è la correzione fraterna a essere messa in discussione quanto l’atteggiamento altezzoso, a volte dispregiativo, che si rischia di assumere nel condannare le mancanze altrui, prima ancora di aver riconosciuto e superato le proprie.
Affinché la correzione fraterna -E NON LA BECERA CRITICA!- sia efficace, scevra di orgoglio, deve modellarsi su Gesù.
La parabola della trave e della pagliuzza, infatti, insegna qualcosa anche a coloro che criticano e basta, senza essere colpevoli del peccato che individuano e biasimano negli altri…
E la questione del giudizio sugli errori altrui, rientra nella riflessione più ampia sulla misericordia: ecco perché un cristiano che si abbandona facilmente alla critica, pecca gravemente contro Dio e contro il prossimo.
La Lettera di san Giacomo è molto chiara al riguardo “…Non sparlate gli uni degli altri, fratelli. Chi sparla del fratello o giudica il fratello, parla contro la legge e giudica la legge. E se tu giudichi la legge, non sei più uno che osserva la legge, ma uno che la giudica. Ora, uno solo è il legislatore e giudice, colui che può salvare e rovinare; ma chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?” (4,11-12).
La critica, di per sé stessa, costituisce un attentato reale allo spirito di comunione, che è il nostro primo obbiettivo da raggiungere nella nostra vita di fede.
Questa critica, così vergognosa, corrode mortalmente il tessuto comunitario… ma non basta ancora, perché il diavolo sa quali leve muovere, per distruggere il cuore umano. E alla tentazione di criticare se ne aggiunge, infatti, un’altra, non meno insidiosa: la convinzione che si debba dire tutto, sempre e comunque, in nome della verità…
In base a tale convinzione, erronea, evitare le critiche, quando sono fondate, sarebbe una sorta di reticenza.
In altri termini, criticare in nome della verità è l’atteggiamento tipico di chi pensa di dover sempre dire tutto ciò che sa sul conto di una persona, anche quando è prevedibile che ciò getterà il discredito su quella persona.
Tutt’al più, questa obiezione alla virtù della discrezione si deve invocare solo in contesti particolari, quali quello giudiziario-processuale, ove si testimonia sotto giuramento.
A colore che criticano, Gesù ribatte “…L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene: l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda…” e non aggiungo altro.
Ci dimentichiamo sempre che SOLO L’AMORE GENERA BUONI FRUTTI.
Ma analizziamo le parole di Gesù.
- Luca 6,39: La parabola del cieco che guida un altro cieco. Gesù racconta una parabola ai discepoli “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca?” Parabola di una riga, assai simile alle avvertenze che, nel vangelo di Matteo, sono rivolte ai farisei “Guai a voi, guide cieche!” (Mt 23,16.17.19.24.26) Qui nel contesto del vangelo di Luca, questa parabola è rivolta agli animatori delle comunità che si considerano padroni della verità, superiori agli altri. Per questo sono guide cieche.
- Luca 6,40: Discepolo – Maestro. Gesù è il Maestro. Non il professore. Il professore in classe impartisce diverse materie, ma non vive con gli alunni. Il maestro non impartisce lezioni, vive con gli alunni. La sua materia è lui stesso, la sua testimonianza di vita, il suo modo di vivere le cose che insegna. La convivenza con il maestro assume tre aspetti: (1) Il maestro è il modello o l’esempio da imitare (Gv 13,13-15). (2) Il discepolo non solamente contempla ed imita, si impegna anche con il destino del maestro, con le sue tentazioni (Lc 22,28), con la sua persecuzione (Mt 10,24-25), con la sua morte (Gv 11,16). (3) Non solamente imita il modello, non solo assume l’impegno, ma giunge ad identificarsi con lui: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Questo terzo aspetto è la dimensione mistica della sequela di Gesù, frutto dell’azione dello Spirito.
- Luca 6,41-42: La pagliuzza nell’occhio del fratello. Nel Discorso della Montagna, Matteo tratta lo stesso tema e spiega un poco meglio la parabola della pagliuzza nell’occhio. Gesù chiede un atteggiamento creativo che ci renda capaci di andare all’incontro dell’altro senza giudicarlo, senza preconcetti e razionalizzazioni, accogliendolo da fratello (Mt 7,1-5). Questa apertura totale verso l’altro considerato fratello/sorella nascerà in noi solo quando saremo capaci di rapportarci con Dio con la fiducia totale di figli (Mt 7,7-11).
Fratelli e Sorelle. Tutto quanto detto dal Signore ci ricorda che c’è un rischio.
Quello di essere come delle guide cieche che conducono altri ed entrambi in un fosso. E noi siamo guide cieche, ogni volta che pretendiamo di conoscere la strada, senza ammettere con umiltà che Cristo è l’unica via.
Siamo guide cieche, come spiega magnificamente il Signore, quando, pieni di noi stessi, crediamo di essere capaci di giudicare gli altri senza prima togliere la trave che portiamo nel nostro occhio.
Siamo guide cieche quando ci sostituiamo a Dio, magari proprio nel suo nome, e pensiamo di essere se non proprio dei maestri almeno dei bravi istruttori sulla via della santità.
Il fratello che sbaglia e che noi siamo chiamati AD ACCOMPAGNARE -NON A CRITICARE- verso il Signore potrebbe anche aver commesso un numero di peccati spropositato.
Ma la trave che impedisce a noi di guidarlo è il pregiudizio: il vero peccato dal quale dobbiamo stare lontani è dunque quello che ci fa giudicare male chi sbaglia, facendo salire noi sul gradino dell’ipocrisia.
Impariamo ad essere guide che non giudicano l’altro per l’errore che ha compiuto, ma capaci di accogliere chiunque si accosti alla Chiesa, consapevoli che – secondo quanto ci ha detto oggi il Signore – il peccato più grande non è quello più grave, ma quello che rompe la carità.
Il comandamento “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (6,36) è l’unica strada maestra per la salvezza. Chi insegna diversamente è una guida cieca (v. 39), un maestro falso (v.40); chi critica il male altrui, e non vede il proprio, è un ipocrita (vv.41-42).
Solo la misericordia può salvare l’uomo dal male perché è quell’amore che non tiene conto del male e lo volge in bene.
La cecità fondamentale è quella di non ritenersi bisognosi della misericordia di Dio. Cieco è il discepolo che non ha sperimentato la misericordia di Dio donatagli in Cristo. Per questo il suo agire è senza misericordia.
Il male che condanniamo nel fratello è sempre una piccola cosa rispetto al male che commettiamo arrogandoci il diritto di giudicarlo: tanta è la gravità del giudicare!
Il vero male non è tanto il male che si compie, quanto la mancanza di misericordia che ne impedisce il riscatto. Il giudizio senza misericordia nei confronti di una colpa grave è sempre più grave della colpa stessa.
Chi critica sé stesso invece degli altri, si scopre bisognoso di misericordia quanto e più degli altri. Questa misericordia gli toglie la cecità e lo rende capace di vedere bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello.
L’unica correzione che dobbiamo usare a favore del fratello che il Signore mette sulla nostra strada, è l’occhio buono del perdono e della misericordia.
Mai arriveremo a capire, se non con l’aiuto della Grazia di Dio, che siamo tutti dei peccatori riconciliati, siamo tutti dei ciechi che in Cristo hanno ritrovato la luce.
Solo un cuore che ammette il proprio limite, che ha dolorosamente sperimentato la propria miseria, anche attraverso umiliazione e colpa, può essere in grado di riconoscere e compatire la miseria altrui.
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!