08.11.2022 – MARTEDI’ 32^ SETTIMANA P.A.  C – LUCA 17,7-10 “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.

 

 

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

Vedere approfondimenti sul nostro sito WWW.INSAECULASAECULORUM.ORG

Dal Vangelo secondo LUCA 17,7-10

In quel tempo, Gesù disse: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Nella seconda parte della sezione dedicata al viaggio verso Gerusalemme (Lc 13,22– 18,30), dopo la parabola del ricco e del povero (Lc 16,19-31), Luca riporta alcuni detti di Gesù (17,1-10) di cui è difficile precisare il nesso logico con il contesto.

I primi due, riguardano rispettivamente lo scandalo e il perdono (17,1-4), invece il terzo detto riguardante la fede (vv. 5-6) a cui fa seguito la parabola del servo che torna dalla campagna (vv. 7-10).

In questo breve racconto c’è uno spaccato della situazione sociale al tempo di Gesù, quando i possidenti ebrei avevano o potevano acquistare degli schiavi che erano a loro completa disposizione, non solo per il lavoro nei campi, ma anche per ogni altra prestazione.

L’aspetto su cui il racconto parabolico intende far leva viene esplicitato mediante una domanda: il padrone è forse tenuto ad essere grato al servo perché ha fatto tutto quello che gli era stato comandato?

Viene dunque messo in risalto non il comportamento del padrone ma quello dello schiavo il quale, qualunque servizio faccia, non ha diritto, proprio per il suo status sociale, ad una ricompensa.

Questa potrà essergli data, se il padrone lo vorrà, come puro dono gratuito, e non come pagamento.

La parabola viene poi applicata ai discepoli i quali, dopo aver fatto tutto quello che è stato loro ordinato, dovranno dire «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

L’espressione «servi inutili» (douloi achreioi), con la quale i discepoli devono qualificare sé stessi, può significare anche «semplici servi» o «servi insignificanti, di nessun conto».

Per Luca il credente compie sì le opere che il padrone si aspetta da lui, ma resta un servo inutile semplicemente perché non può e non deve rivendicare alcuna ricompensa.

Questa parabola si trova solo nel vangelo di Luca, e non ha paralleli negli altri vangeli. In essa Gesù ci vuole insegnare che la nostra vita deve essere caratterizzata dall’attitudine al servizio.

Che cosa significa servire per un cristiano, ce lo dice Gesù stesso, quando dice “…il Figlio dell’uomo non è venuto ad essere servito, ma per servire” (Mc 10,45).

Presentandosi come il servo, è il Signore che mostra la strada di quelli che hanno ricevuto la fede.

Un cristiano che riceve il dono della fede nel Battesimo è chiamato a servire Dio e i fratelli, ma chi non vuol portare avanti questo dono sulla strada del servizio, diventa un cristiano senza forza, senza fecondità e impegna tutta la vita.

Maria, la Madre di Gesù, disse all’angelo “…Eccomi! sono la serva del Signore. Si compia in me secondo la tua parola!” (Lc 1,38). Riconoscendosi “serva” accoglie in Lei la Salvezza per consegnarla al mondo, accoglie il Salvatore che si fa Servo per amore.

In questo contesto biblico, molte sono le cose che “non piacciono” alla mentalità corrente.

  • In primo luogo perché rispetto a Dio, siamo considerati “servi”, annientando così la nostra libertà di autodeterminazione.
  • In secondo luogo ci ripugna la parola “obbligo”, che dice il dovere di sottostare a comandi e il dovere ubbidire senza discussioni.
  • Inoltre, questa parabola sembra giustificare uno “scriteriato” sfruttamento dei lavoratori da parte del padrone.
  • Infine, appare persino profondamente ingiusta perché sembra negare che chi lavora abbia diritto ad un’adeguata ricompensa. Insomma: la schiavitù!

Possibile che Gesù insegni cose simili o addirittura voglia che noi le prendiamo come esempio?

Per comprendere il significato di questo brano, occorre spiegare il sostantivo “servi” che, dalla lezione greca del testo evangelico, è stato frettolosamente tradotto in “servi inutili“. Tuttavia il termine greco servo, ha due differenti sfumature di significato, entrambi indicanti la piccolezza:

  • Può indicare innanzitutto l’inutilità, il non essere di alcun utilizzo;
  • oppure, l’essere povero, vile, a motivo dell’umiltà della propria condizione.

Anche il significato del corrispondente termine latino stava a indicare chi si occupa di umili servizi.

La versione italiana del passo evangelico, che preferisce tradurre il termine con “servi inutili“.

Ma è evidente, dal testo, che i servi non sono inutili perché hanno lavorato!

Molto più adatto al contesto è invece il significato “povero“, “umile“: siamo poveri servi, siamo semplicemente servi, “prestatori di servizi” per il Signore.

E allora l’espressione evangelica vuole esprimere che il servire non è un merito, in quanto l’essere creatura, opera del Creatore, racchiude la disponibilità di essere messi a disposizione, di essere chiamati a prestare tali servizi.

  • …andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato (Mt 28,19-20).

Gesù sta parlando ai suoi discepoli, ed è dunque come se dicesse che se un uomo non serve, perde il senso della sua vita e di sé stesso; CHI, INVECE, VIVE LA SUA ESISTENZA PROPRIO COME FEDELE SERVITORE, NON FA ALTRO CHE RISPONDERE ALLA CHIAMATA E ADERIRE AL DISEGNO DIVINO DI CHI L’HA GENERATO.

Ecco allora perché non è necessaria una ricompensa immediata, ecco perché il servire il Signore, non può essere motivo di rivendicazioni.

E subito mi tornano alla mente le parole di Paolo:

  • Poiché annunziare il Vangelo non è per me un vanto; infatti è una necessità che mi si impone: guai a me se non predicassi il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunziare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo(1 Cor 9,18).

Chi serve non ė in realtà il padrone, ma il servo, a tal punto che, questo, dopo aver fatto il suo dovere, continua a servire il suo padrone senza richiederne una gratificazione. E ciò ė gradito al Signore, perché manifesta la sua fedeltà nella continua e duratura OBBEDIENZA, senza bisogno che Dio intervenga nel premiare il servizio.

Dio non consegna i Suoi doni, per poi riceverne il contraccambio, ma lo fa PER AMORE, affinché l’uomo impari la gratitudine e non pretenda più di quanto GIA’ riceve.

Lo stesso San Paolo ci ricorda la risposta di Dio “TI BASTA LA MIA GRAZIA” (2 Cor 12,9), per dire che non è tutto dovuto, e che MAI potremo gareggiare con Lui.

Tutto ciò che facciamo non è tutto “farina del nostro sacco”, perché non ci siamo creati da soli, ma siamo stati creati da Dio, quindi parte dei nostri pensieri, parole e azioni, appartengono a Lui, così come ci ricorda il Deuteronomio “Lo custodì come pupilla del suo occhio” (Deut 32,10), per cui ogni cosa che ci viene data è un DONO, e chi riceve un dono, di solito non lo pretende.

Noi siamo “SERVI INUTILI”, non per la nostra inutilità, ma perché senza Dio siamo un nulla “… chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).

Il nostro amore è limitato dal PECCATO, che allo stesso tempo diviene occasione di salvezza, perché ci permette di rivolgerci a Dio per essere elevati in Santità. Infatti, ciò che ci rende inutili, è proprio l’azione del peccato che non ci permette di essere innalzati al Cielo, e vivere da FIGLI DI DIO.

E vorrei dire due parole sul concetto evangelico di sentirsi “servi inutili”.

Certamente l’inutilità pesa e fa soffrire. MA L’INUTILITÀ DI CUI PARLA IL VANGELO FA RIMA CON LIBERTÀ.

Siamo liberi di far qualcosa senza per forza voler ottenere un tornaconto. È la follia della gratuità, il morire illogico del seme, capace però di generare il grande albero.

Fa parte della grandezza che ci è stata donata, è in fondo il nostro vanto: siamo liberi di fare qualcosa perché è bello, perché ha senso, semplicemente perché siamo amati.

Ricordiamo le parole dell’apostolo “…degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!” (1Ts 5,24).

È proprio l’esperienza del limite che ci fa sentire servi inutili: NESSUNO È IN GRADO DI COMPIERE PERFETTAMENTE L’OPERA MA IL BUON DIO GUIDA TUTTO E TUTTI VERSO LA PIENEZZA DELLA STORIA.

Quando abbiamo fatto quello che ci è stato chiesto, possiamo ritirarci, contenti di aver risposto alla chiamata.

La nostra dignità nei confronti di Dio, sta nel sentirsi onorati come l’asinello che porta Gesù nella Città Santa “…Il Signore ne ha bisogno” (19,31).

Siamo servi che non hanno alcun merito e non pretendono diplomi perché Dio solo è degno di onore e gloria.

Ma, nel caso in cui questa parabola di Gesù vi scandalizza, ancora non avete capito o non volete capire chi è Dio e chi siamo noi.

Il messaggio dell’Evangelo vuole che noi ce ne rendiamo conto, prima che sia troppo tardi.

Sarebbe allora quanto mai appropriata per noi la preghiera di confessione del profeta Daniele che si era disposto alla preghiera con suppliche e digiuno “…con sacco e cenere”.

  • “O Signore, Dio grande e tremendo, che mantieni il patto e serbi la misericordia verso quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti! Noi abbiamo peccato, ci siamo comportati iniquamente, abbiamo operato malvagiamente, ci siamo ribellati e ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue prescrizioni. Non abbiamo dato ascolto ai profeti, tuoi servi, che hanno parlato in nome tuo ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese. A te, o Signore, la giustizia; a noi la confusione della faccia in questo giorno, agli uomini di Giuda, agli abitanti di Gerusalemme e a tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi (…). O SIGNORE, a noi la confusione della faccia, ai nostri re, ai nostri prìncipi e ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te. Al Signore, che è il nostro Dio, appartengono la misericordia e il perdono; poiché noi ci siamo ribellati a lui e non abbiamo ascoltato la voce del SIGNORE, del nostro Dio, per camminare secondo le sue leggi che egli ci aveva date mediante i profeti suoi servi. Sì, tutto Israele ha trasgredito la tua legge, si è sviato per non ubbidire alla tua voce. Così su di noi sono riversate le maledizioni e le imprecazioni che sono scritte nella legge di Mosè, servo di Dio, perché noi abbiamo peccato contro di lui. Egli ha messo in pratica le parole che aveva pronunciate contro di noi e contro i nostri governanti, facendo venire su di noi un male così grande, che sotto il cielo non è mai accaduto nulla di simile (…) Come sta scritto nella legge di Mosè, questo disastro ci è piombato addosso; tuttavia, non abbiamo implorato il favore del SIGNORE, del nostro Dio. Non ci siamo ritirati dalla nostra iniquità e non siamo stati attenti alla sua verità. Il SIGNORE ha vigilato su questa calamità e ce l’ha fatta venire addosso; perché il SIGNORE, il nostro Dio, è giusto in tutto quello che ha fatto, ma noi non abbiamo ubbidito alla sua voce. Ora, o Signore nostro Dio, che conducesti il tuo popolo fuori dal paese d’Egitto con mano potente e ti facesti una fama che hai ancora oggi, noi abbiamo peccato e abbiamo agito malvagiamente. (…). Ora, o Dio nostro, ascolta la preghiera e le suppliche del tuo servo; per amor tuo, Signore, fa’ risplendere il tuo volto sul tuo santuario che è desolato! O mio Dio, inclina il tuo orecchio e ascolta! Apri gli occhi e guarda le nostre desolazioni, guarda la città sulla quale è invocato il tuo nome; poiché non ti supplichiamo fondandoci sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia. Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio per amore di te stesso, o mio Dio, perché il tuo nome è invocato sulla tua città e sul tuo popolo” (Daniele 9:4-10).

Ha detto Madre Teresa di Calcutta:

  • “Io non penso di avere qualità speciali, non pretendo niente per il lavoro che svolgo. È opera sua. Io sono come una piccola matita nelle sue mani, nient’altro. È Lui che pensa. È Lui che scrive: la matita non ha nulla a che fare con tutto questo. La matita deve solo poter essere usata”.

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!