… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 17,22-27
In quel tempo, mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati. Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Domenico di Guzman (Caleruega, Spagna 1170 – Bologna, 6 agosto 1221), SACERDOTE, è, con Francesco d’Assisi, uno dei patriarchi della santità cristiana suscitati dallo Spirito in un tempo di grandi mutamenti storici.
Visse per sua scelta nella più misera povertà, parlando continuamente con Dio o di Dio.
All’insorgere dell’eresia albigese si dedicò con grande zelo alla predicazione evangelica e alla difesa della fede nel sud della Francia.
Gli Albigesi avevano una collezione di gravissimi errori, radicati nella negazione dell’Incarnazione del Figlio di Dio, nel rifiuto fondamentale di Gesù, come Uomo-Dio.
Domenico una notte discusse a lungo con l’oste che lo ospitava, un cataro, e lo convertì alla Chiesa Cattolica.
Per continuare ed espandere questo servizio apostolico in tutta la Chiesa, fondò a Tolosa (1215) l’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), al fine di ripristinare nella Chiesa la forma di vita degli Apostoli, e raccomandò ai suoi confratelli di servire il prossimo con la preghiera, lo studio e il ministero della parola.
Ebbe una profonda conoscenza sapienziale del mistero di Dio e promosse, insieme all’approfondimento degli studi teologici, la preghiera popolare del rosario.
Dante Alighieri che sentì, quasi cento anni dopo, il fascino di lui, pensando a questo periodo di silenzio, già scrisse:
- «Domenico fu detto; e io ne parlo / sì come de l’agricola che Cristo / elesse all’orto suo per aiutarlo» (Paradiso XII, 70-72).
A cominciare dal 1215, a Domenico si unirono alcuni amici, presi dallo stesso suo ideale: contemplare Gesù-Verità, trasmettere agli altri Gesù-Verità.
Il suo stile di vita è splendido, come narrano i testimoni:
- «Domenico si dimostrava dappertutto uomo secondo il Vangelo, nelle parole e nelle opere. Durante il giorno, nessuno era più socievole, nessuno più affabile con i fratelli e con gli altri. Di notte, nessuno era più assiduo e più impegnato nel vegliare e nel pregare. Era assai parco di parole e, se apriva bocca, era o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio nella predicazione. Questa era la sua norma che seguiva e raccomandava agli altri».
Ecco, Domenico di Guzman parlava o con Gesù o di Gesù.
Meraviglioso. Era la vita secondo “la sapienza della croce”, per “Gesù Cristo e Lui crocifisso” (1Cor 2,1-8).
Con i suoi amici, che ne condividevano l’ideale, nacque così uno dei più grandi Ordini della Chiesa, l’Ordine dei Predicatori – i Domenicani – che Papa Onorio III il 22 dicembre 1216 approvò in modo definitivo e lanciò nel mondo a conquistare i fratelli a Cristo, tramite lo studio, la contemplazione e la predicazione di Gesù Verità: «Contemplari. Contemplata aliis tradere».
Scriverà Padre Lacordaire (1802-1861):
- «Si rispose a Domenico come si era risposto a Pierre l’Ermite: si divenne Frati predicatori come prima si era divenuti crociati. Le università d’Europa andarono a gara nell’offrire a Domenico i loro docenti che prima della bolla di Onorio III non disponeva che di 16 collaboratori, fondò 60 conventi popolati di uomini scelti e di una schiera entusiasta di giovani. Amavano Dio, lo amavano veramente. Amavano il prossimo più di sé stessi. Erano anime appassionate».
Rapidamente Domenico disseminò i suoi “figli” in Europa avviandoli a occupare i centri universitari, come Bologna e Parigi.
Viaggiando senza posa, da Tolosa a Roma, da Bologna a Parigi per diffondere e consolidare la sua opera, in appena 5 anni, riempì l’Europa dei suoi “bianchi” Frati, i predicatori della Verità, che la gente del popolo chiamava “i Frati di Maria”, per la loro devozione straordinaria alla Madonna.
I loro nomi illustri partono da lui e giungono sino a noi, da san Tommaso d’Aquino a Savonarola, da san Pio V a Garrigou-Lagrange.
Il 6 agosto 1221, Domenico di Guzman va all’incontro con Dio promettendo ai suoi Frati (cf. Responsorio “O spem miram”) che sarebbe stato più utile loro in Cielo che sulla terra.
Appena 13 anni dopo, nel 1234, Papa Gregorio IX, che l’aveva conosciuto di persona, lo iscrisse tra i Santi.
L’elogio più alto di lui venne da Dio Padre stesso a santa Caterina da Siena, la sua più illustre “figlia”:
- «San Domenico è l’immagine viva del mio Verbo Incarnato, Gesù… Io ho generato questi due figli, uno, Gesù, per natura; l’altro, Domenico, per amore. Per dono mio speciale, furono in Domenico somiglianti a quelle di Gesù le fattezze naturali del volto e della persona».
Davvero l’irresistibile fascino che lungo i secoli ha fatto dire a diversi giovani, messisi alla sua scuola, come Maestro Tommaso d’Aquino:
- «Io sono degli agni della santa greggia / che Domenico mena per cammino, / u’ ben s’impingua, se non si vaneggia» (Paradiso X, 94-96).
Proprio così, alla scuola di san Domenico ci si fa grandi Santi, a patto che non si vaneggi.
Sfinito dal lavoro apostolico ed estenuato dalle grandi penitenze, il 6 agosto 1221 muore circondato dai suoi frati, nel suo amatissimo convento di Bologna, in una cella non sua, perché lui, il Fondatore, non l’aveva.
Papa Gregorio IX, a lui legato da una profonda amicizia, lo canonizzerà il 3 luglio 1234.
Il suo corpo dal 5 giugno 1267 è custodito in una preziosa Arca marmorea.
I numerosi miracoli e le continue grazie ottenute per l’intercessione del Santo fanno accorrere al suo sepolcro fedeli da ogni parte d’Italia e d’Europa, mentre il popolo bolognese lo proclama “Patrono e Difensore perpetuo della città;”.
La fisionomia spirituale di S. Domenico è inconfondibile; egli stesso negli anni duri dell’apostolato albigese si era definito: “umile ministro della predicazione“.
Dalle lunghe notti passate in chiesa accanto all’altare e da una tenerissima devozione verso Maria, aveva conosciuto la misericordia di Dio e “a quale prezzo siamo stati redenti“, per questo cercherà di testimoniare l’amore di Dio dinanzi ai fratelli.
Abbiamo detto che fonda un Ordine che ha come scopo la salvezza delle anime mediante la predicazione che scaturisce dalla contemplazione: “contemplata aliis tradere” sarà la felice formula con cui s.Tommaso d’Aquino esprimerà l’ispirazione di s. Domenico e l’anima dell’Ordine.
Per questo nell’Ordine da lui fondato hanno una grande importanza lo studio, la vita liturgica, la vita comune, la povertà evangelica.
Ardito, prudente, risoluto e rispettoso verso l’altrui giudizio, geniale nelle iniziative e obbediente alle direttive della Chiesa, Domenico è l’apostolo che non conosce compromessi né irrigidimenti: “tenero come una mamma, forte come un diamante”, lo ha definito Lacordaire.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
I cinque versi del vangelo di oggi parlano di due temi assai diversi tra loro:
- Il secondo annuncio della passione, morte e risurrezione di Gesù (Mt 17,22-23);
- Informano sulla conversazione di Gesù con Pietro sul pagamento delle tasse e delle imposte al tempio (Mt 17,24-27).
L’annuncio della morte e risurrezione di Gesù.
Il primo annuncio (Mt 16,21) aveva prodotto una forte reazione da parte di Pietro che non voleva saperne della sofferenza né della croce.
Gesù aveva risposto con la stessa forza “…Lungi da me, satana!” (Mt 16,23)
Qui, nel secondo annuncio, la reazione dei discepoli è più blanda, meno aggressiva.
L’annuncio produce tristezza.
Sembra che loro cominciano a comprendere che la croce fa parte del cammino.
La prossimità della morte e della sofferenza pesa su di loro, generando un forte scoraggiamento.
Anche se Gesù cerca di aiutarli, la resistenza di secoli contro l’idea di un messia crocifisso, era più grande.
Per quanto riguarda il secondo tema, diciamo assolutamente di sì. Gesù pagava le tasse.
Non solo pagava le tasse ai Romani, come viene ricordato nel Vangelo dove Gesù dirà la famosa frase “Date a Cesare quel che è di Cesare”; ma paga anche la tassa del Tempio, come leggiamo nel Vangelo di oggi.
Ma la tassa più grande Gesù non l’ha pagata né al governo romano e neppure agli esattori del Tempio.
La tassa più grande la dovrà pagare al Principe di questo mondo.
Per questo il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà: ecco allora che Gesù paga per tutti.
Cioè la vita che dà in dono è la tassa che, resa al Diavolo, permetterà di liberarci dalla sua schiavitù.
Questa è la vera tassa che Gesù paga e di cui nessuno sembra preoccuparsi, né a quei tempi e neppure oggi.
Ma entriamo nel testo: La domanda a Pietro degli esattori della tassa.
Quando giungono a Cafarnao, gli esattori della tassa del Tempio chiedono a Pietro “Il vostro maestro non paga la tassa per il Tempio?”
Pietro risponde “Sì!”
Fin dai tempi di Neemia (V secolo a.C.), i giudei che erano ritornati dall’esilio in Babilonia, si impegnarono solennemente nell’assemblea a pagare le diverse tasse e imposte per fare in modo che il Tempio continuasse a funzionare e per curare la manutenzione sia del servizio sacerdotale che dell’edificio del Tempio (Ne 10,33-40).
Da ciò che emerge nella risposta di Pietro, Gesù pagava questa imposta come facevano tutti i giudei.
Gesù si era stabilito in Capernahum, all’inizio del suo ministero pubblico e da lì aveva iniziato a chiamare i suoi discepoli, facendo diventare quella cittadina la base da cui andava e veniva durante i suoi viaggi in Israele e dintorni.
Era quindi logico che gli esattori si aspettassero che pagasse lì in Capernahum le tasse.
Gesù si era spostato continuamente in quel periodo e, evidentemente, gli esattori avevano aspettato il suo ritorno per andare a riscuotere.
Sapendo che Pietro era un suo discepolo, gli interlocutori si erano rivolti a quest’ultimo.
E Pietro aveva risposto “Sì”, anche se non si era ancora confrontato con Gesù.
Qui si situa Matteo 17,25b-26: La domanda di Gesù a Pietro sull’imposta.
È strana la conversazione tra Gesù e Pietro.
Quando loro giungono a casa, Gesù chiede
- “Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?”
Pietro risponde “Dagli estranei“.
E Gesù dice “Quindi i figli sono esenti!”.
Probabilmente, qui si parla di una discussione tra i giudei cristiani prima della distruzione del Tempio, nell’anno 70.
Loro si chiedevano se dovevano o meno continuare a pagare l’imposta del Tempio, come facevano prima.
Per la risposta di Gesù, scoprono che non hanno l’obbligo di pagare questa tassa “I figli sono esenti”.
I figli sono i cristiani, ma pur non avendo l’obbligo di pagare, la raccomandazione di Gesù e di farlo per non provocare scandalo.
Perché se il tempio è la casa di Dio, Dio si aspetta che siano i servi a pagare la tassa, non che sia il Figlio di Dio, Colui che lo rappresentava, Colui che avrebbe stabilito il suo Regno.
Anzi, a dirla proprio tutta, ragionando secondo la logica umana, al più Gesù avrebbe dovuto essere Colui al quale le tasse andavano pagate da parte degli altri Israeliti!
Il ragionamento era logico.
Ma c’era una seconda parte della lezione che Gesù voleva impartire a Simon Pietro.
Sì è vero, lui era il Figlio di Dio, Lui era il Re dei re, MA ALLO STESSO TEMPO LUI ERA COLUI CHE SI IDENTIFICAVA PIENAMENTE CON IL SUO POPOLO.
Gesù disse quindi a Pietro:
- “…per non scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che verrà su. Aprigli la bocca: troverai uno statère. Prendilo, e dàllo loro per me e per te”. (Matteo 17,27)
Uno statère equivaleva proprio a due didramme e copriva quindi la tassa sia per Pietro che per Gesù.
Mandando Pietro a recuperare il denaro nel pesce, ironicamente Gesù:
- pagava sì la tassa,
- ma allo stesso tempo non la pagava in modo diretto, conciliando quindi le due esigenze.
Come abbiamo detto, a rigor di logica, vista la sua identità, Gesù non avrebbe dovuto pagare la tassa, ma egli si comportò in modo rispettoso delle regole del suo popolo per non destare scandalo, perché, nonostante la natura divina, EGLI SI IDENTIFICAVA PIENAMENTE CON IL SUO POPOLO, RINUNCIANDO AI SUOI PRIVILEGI.
D’altra parte, se ci pensiamo bene, è ciò che Gesù ha fatto dall’inizio alla fine del suo ministero ed è quel medesimo principio che lo porterà sulla croce.
Tornando al discorso iniziale di Gesù sulla sua morte e sulla sua risurrezione, OSSERVIAMO CHE IL SUO IDENTIFICARSI CON IL SUO POPOLO LO AVREBBE PORTATO A DARE LA SUA VITA PER I PECCATI DEL POPOLO, A DISPETTO DELLA SUA NATURA DIVINA.
Ma la morte non avrebbe potuto trattenerlo proprio a causa della sua natura divina, ed egli sarebbe risorto.
Pietro e gli altri discepoli avrebbero compreso pienamente questo duplice aspetto della persona di Gesù solo dopo la sua risurrezione, ma intanto il loro maestro, anche attraverso questi piccoli episodi, li stava istruendo in tal senso.
Gesù è il Re dei RE, ma è un Re umile che pagava addirittura la tassa per il tempio.
IL RE NON AVREBBE DOVUTO PAGARE LA TASSA, MA LO AVEVA FATTO IDENTIFICANDOSI CON IL SUO POPOLO.
Allo stesso modo non sarebbe dovuto morire, MA LO AVREBBE FATTO PER RISCATTARE IL SUO POPOLO E TUTTA L’UMANITÀ CHE IN SEGUITO AVREBBE CREDUTO IN LUI.
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!