… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 11,28-30
In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
AURELIUS AMBROSIUS (340 – 397), di famiglia romana cristiana (la “gens Aurelia”), fu governatore delle province del nord Italia, e a furor di popolo, fu acclamato vescovo di Milano il 7 dicembre 374. Rappresenta la figura ideale del vescovo, pastore, liturgo e mistagogo.
Le sue opere liturgiche, i commentari delle Scritture, i trattati ascetico-morali restano memorabili documenti del magistero e dell’arte di governo. Fu guida riconosciuta nella Chiesa occidentale, in cui trasfuse anche la ricchezza della tradizione orientale, estese il suo influsso in tutto il mondo latino.
In epoca di grandi trasformazioni culturali e sociali, si impose come simbolo di libertà e di pacificazione, dando particolare risalto pastorale ai valori della verginità e del martirio. Autore di celebri testi liturgici, è considerato IL PADRE DELLA LITURGIA AMBROSIANA.
Chi amministra la vita pubblica ha il potere di creare comunione, così come può alimentare le divisioni, ma Sant’Ambrogio, padre della Chiesa di Milano, scelse la via dell’unione, del superamento dei contrasti. Per questo fu scelto come vescovo nel 374: tra le diverse fazioni in campo per la scelta del pastore, infatti, egli, che era prefetto della città e catecumeno, fece da mediatore. Nel suo ministero si piegò sulle necessità degli ultimi e scrisse opere esegetiche, morali e spirituali. Diede forma alla Chiesa milanese e piantò il seme del suo rito liturgico particolare. Guidò la Chiesa di Milano fino alla morte.
Proclamato dottore della Chiesa, si addormentò nel Signore il 4 aprile, ma è venerato in particolare in questo giorno, nel quale ricevette, ancora catecumeno, l’episcopato di questa celebre sede, mentre era prefetto della città.
Era il 374. In una delle chiese della città, gremita fino all’inverosimile, presbiteri e laici, vecchi e giovani, cattolici e ariani stavano discutendo animatamente sul nome del successore del vescovo Assenzio morto di recente. E si affrontavano animatamente anche per le strade, con pericolo per l’ordine pubblico. Ambrogio, governatore della Lombardia, Liguria ed Emilia, con sede a Milano, si recò in quella chiesa per calmare gli animi e per incoraggiare il popolo a fare la scelta del nuovo vescovo in un clima di dialogo e di rispetto reciproco. Il popolo accolse le sue esortazioni, perché era un governatore imparziale, stimato e ben voluto dalla popolazione essendosi dedicato sempre al bene di tutti. Ma qualcuno dalla folla, sembra un bambino, gridò forte “Ambrogio vescovo” e l’intera assemblea, cattolici e ariani, vecchi e giovani, presbiteri e laici, quasi folgorati da quel grido ripeterono a loro volta “Ambrogio vescovo”.
A furor di popolo, tutti furomo d’accordo sul nuovo vescovo: il loro governatore, anche se catecumeno e per giunta senza ambizioni ecclesiastiche. L’interessato non fu proprio entusiasta, poiché sapeva di essere un semplice catecumeno, digiuno di teologia e quindi senza un’adeguata preparazione. Sembrava tutto assurdo.
Si appellò a Valentiniano protestando la propria inadeguatezza all’incarico “datogli” dal popolo, ma non trovò una sponda favorevole nell’imperatore: anzi questi gli disse che si sentiva lui stesso lusingato per aver scelto un governatore “politico” (Ambrogio) che era stato ritenuto degno persino di svolgere l’ufficio episcopale. Ed Ambrogio accettò, e nel giro di una settimana venne battezzato e consacrato vescovo, il 7 dicembre del 374.
La Chiesa del tempo di Ambrogio attraversava una grave turbolenza dottrinale, per l’eresia ariana, originata dal prete Ario, che negava la divinità di Cristo e la sua consustanzialità col Padre, affermando che anche Cristo era una semplice creatura, scelta da Dio come strumento di salvezza. Un’eresia che fu devastante per la cristianità, minacciando il centro stesso del Cristianesimo: GESÙ CRISTO, E QUESTI FIGLIO DI DIO.
Purtroppo ebbe molti seguaci. Ambrogio conosceva il problema già da governatore, e dovette affrontarlo da vescovo di Milano scontrandosi addirittura con la più alta autorità: quella imperiale, che nel 386 approvò una legge che autorizzava le assemblee religiose degli ariani e il possesso delle chiese, ma bandiva quelle dei cristiani cattolici, con pena di morte per chi non obbediva.
Ambrogio incurante della legge e delle conseguenze personali, si rifiutò di consegnare agli ariani anche una sola chiesa. Allora il popolo, temendo per il proprio vescovo, si barricò nella basilica insieme con lui. Le truppe imperiali circondarono e assediarono la chiesa, decisi a farli morire di fame. Ambrogio, per occupare il tempo, insegnò ai suoi fedeli salmi e cantici composti da lui stesso e raccontò al popolo tutto ciò che era accaduto tra lui e l’imperatore Valentiniano, riassumendo il tutto con la famosa frase “L’imperatore è nella Chiesa, non sopra la Chiesa”.
Nel frattempo Teodosio il Grande, imperatore d’Oriente, dopo aver sconfitto e giustiziato l’usurpatore Massimo che aveva invaso l’Italia, reintegrò Valentiniano (facendogli abbandonare l’arianesimo) e si fermò per un po’ di tempo a Milano.
La riconoscenza di Ambrogio all’imperatore tuttavia non gli impedì di affrontarlo in ben due occasioni, quando ritenne che il suo comportamento era riprovevole e condannabile pubblicamente. Fu specialmente dopo l’infame massacro di Tessalonica del 390, in cui morirono più di settemila persone, tra cui molte donne e bambini, in rivolta per la morte del governatore.
Ambrogio, inorridito per l’accaduto, insieme ai suoi collaboratori ritenne responsabile pubblicamente Teodosio stesso, e lo convinse a pentirsi. Questo spiega la grande autorità morale di cui godeva il vescovo. Teodosio morì tre anni dopo e lui stesso ne fece un sincero elogio lodandone l’umiltà e il coraggio di ammettere le proprie colpe, additandone l’esempio.
Ambrogio non solo fu un baluardo a difesa della fede cattolica contro l’eresia ariana, ma si adoperò a difendere anche il Vescovo di Roma, Papa Damaso contro l’antipapa Ursino. Egli così riconosceva la funzione ed il primato del Vescovo della Città Eterna, in quanto successore di Pietro, come centro e segno di unità per tutti i cristiani. È a lui che si deve la famosa frase che recita “Ubi Petrus, ibi Ecclesia” (Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa), e l’altra “In omnibus cupio sequi Ecclesiam Romanam” e cioè “In tutto voglio seguire la Chiesa Romana” quasi un’attestazione del primato della Chiesa di Roma, sul quale la discussione andrà avanti per secoli e, come si sa, non è ancora finita.
Per i suoi molteplici scritti teologici e scritturistici è uno dei quattro grandi dottori della Chiesa d’Occidente, insieme a Gerolamo, Agostino e Gregorio Magno.
Nella Lettera apostolica Operosam Diem (1996) per il centenario della morte di Ambrogio, Giovanni Paolo II, di venerata memoria, ha messo in risalto due importanti aspetti del suo insegnamento: il convinto cristo-centrismo e la sua originale Mariologia. Ambrogio viene considerato l’iniziatore della Mariologia latina. Giovanni Paolo II (in Operosam diem, n. 31):
- “Di Maria Ambrogio è stato il teologo raffinato e il cantore inesausto. Egli ne offre un ritratto attento, affettuoso, particolareggiato, tratteggiandone le virtù morali, la vita interiore, l’assiduità al lavoro e alla preghiera. Pur nella sobrietà dello stile, traspare la sua calda devozione alla Vergine, Madre di Cristo, immagine della Chiesa e modello di vita per i cristiani. Contemplandola nel giubilo del Magnificat, il santo vescovo di Milano esclama: “Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio”.
Del suo cristo-centrismo così ha scritto Giovanni Paolo II:
- “Al centro della sua vita, sta Cristo, ricercato e amato con intenso trasporto. A Lui, tornava continuamente nel suo insegnamento. Su Cristo si modellava pure la carità che proponeva ai fedeli e che testimoniava di persona… Del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, Ambrogio parla con l’ardore di chi è stato letteralmente afferrato da Cristo e tutto vede nella sua luce”. Questo suo pensiero centrale può essere sintetizzato nella famosa frase del De Virginitate “Cristo per noi è tutto”.
Ambrogio visse e operò incessantemente TUTTO PER CRISTO E TUTTO PER LA SUA CHIESA, con un amore a Cristo inscindibile dal suo amore per la Chiesa. Era profondamente convinto che “Fulget Ecclesia non suo, sed Christi lumine” (La Chiesa risplende non di luce propria ma di quella di Cristo), e mai dimenticò che “Corpus Christi Ecclesia est”, (Il Corpo di Cristo è la sua Chiesa), quindi i fedeli possono benissimo dire tutti “Nos unum corpus Christi sumus”. E per questi fedeli, che sono la Chiesa, che è il corpo di Cristo, e per amore di Cristo presente nella Sua Chiesa, Ambrogio vescovo lavorò, studiò, rischiò la vita, pianse, pregò, predicò, viaggiò e scrisse libri fino alla fine.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Il vangelo di oggi è composto da appena tre versetti (Mt 11,28-30) cha fanno parte di una breve unità letteraria, una delle più belle, in cui Gesù ringrazia il Padre per aver rivelato la saggezza del Regno ai piccoli e perché la nasconde ai dottori e ai saggi (Mt 11,25-30). I saggi, i dottori di quell’epoca, avevano creato un sistema di leggi che imponevano al popolo in nome di Dio (Mt 23,3-4). Essi pensavano che Dio esigeva dalla gente queste osservanze. Ma la legge dell’amore, che Gesù ci ha rivelato, diceva il contrario.
Ciò che importa per salvarci, non è ciò che facciamo PER DIO, ma CIÒ CHE DIO, NEL SUO GRANDE AMORE, FA PER NOI! Dio vuole misericordia e non sacrifici (Mt 9,13). La gente povera capiva questo modo di parlare di Gesù e si rallegrava. Mentre i saggi dicevano che Gesù era nell’errore, in quanto non riuscivano a capire questo insegnamento.
“Sì, Padre, perché così ti è piaciuto!” Piace al Padre che i piccoli capiscano il messaggio del Regno e che i saggi e i sapienti non lo capiscano! Se loro vogliono capirlo, devono diventare alunni dei piccoli e seguire Gesù.
“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi” (11,28). Gesù invita a stare presso di Lui. È una nuova chiamata, l’iniziale “venite dietro di me”, oggi diventa: “venite presso di me”.
Il primo passo è quello di seguire come discepoli, il secondo è quello di entrare nel cuore dell’amicizia, perché la sequela si traduce nell’intimità e nella condivisione.
Gesù non si presenta solo come un Maestro che indica con sicurezza la strada, non comunica parole che rendono la vita più pesante, al contrario egli apre le porte a coloro che sono “stanchi e oppressi”, guarda con compassione a quelli che sono caricati di pesi che faticano a portare. Egli legge nel nostro cuore e sa quante volte la fatica diventa un peso che impedisce il cammino. Sa quante persone si ritirano lungo il cammino della vita, quante rinunciano alla battaglia. Per questo ci dice che vuole condividere la nostra fatica, perché non possiamo farcela da soli, non abbiamo la forza di portare il peso della vita. ecco perché siamo chiamati a correre da Lui, sapendo che ci “…darà ristoro”. Quante volte la preghiera, soprattutto quella silenziosa che viviamo davanti al Tabernacolo, si rivela una sosta salutare perché non solo dona pace ma ci dona nuove energie per riprendere il cammino e le battaglie della vita. E questo riposo orante ci aiuta a guardare in alto.
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!