05.02.2022 – SABATO- SANT’AGATA – MARCO 6,30-34 “Erano come pecore che non hanno pastore”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo MARCO 6,30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

Sant’Agata (229-251) è stata, secondo la tradizione cattolica, una giovane vissuta nel III secolo, durante il proconsolato di Quinziano.

Viene venerata come santa, vergine e martire dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa Anglicana. Il suo nome figura nel Martirologio Romano da tempi antichissimi.

La preghiera di colletta chiede la misericordia del Signore “per intercessione di sant’Agata che risplende nella Chiesa per la gloria della verginità e del martirio”.

Il martire si dona a Cristo per giungere a Dio mediante il sacrificio della vita; la verginità non ha senso se non nel dono.

La verginità cristiana è donarsi al Signore, rinunciare a sé stessi per vivere unicamente per lui.

Ci gloriamo della nostra unione al mistero della passione e risurrezione di Gesù: è una gloria spoglia di ogni orgoglio perché fondata sulla unione a Cristo nella sua umiliazione per essergli uniti nella sua gloria.

Così sono vissute sant’Agata e le altre martiri vergini, in una verginità donata a Cristo nell’amore per lui, nella fiducia in lui, nella sua forza.

Domandiamo al Signore di aver il coraggio di gloriarci solo di lui e di accettare tutti gli avvenimenti in questa luce, cioè di vederli non dalla prospettiva del nostro interesse, ma per la possibilità che ci offrono di essere più profondamente uniti alla passione e alla vittoria di Cristo.

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

L’Evangelista Marco ci rivela un tratto molto umano e tenero di Gesù nei confronti dei suoi apostoli.

Egli si dimostra preoccupato per loro, che ha mandato ad annunciare il vangelo, perché non si stancassero troppo, indaffarati com’erano nel loro lavoro, tanto che «non avevano neanche il tempo di mangiare».

Gesù era convinto che per i suoi apostoli era importante «stare con lui» per riposare un po’ e condividere fra di loro le esperienze della missione.

Era importante andare «in disparte, loro soli, in un luogo deserto» lontano dalla folla, nell’intimità con Gesù.

Il “luogo solitario” è un termine che rimanda ai momenti di confronto intimo tra il Maestro e i Discepoli. Rimanda a momenti di preghiera, di incontro profondo con il Signore che li aiuta e ci aiuta a ricentrare la nostra vita.

È il tempo in cui dobbiamo lasciar parlare il Signore per raggiungere la tranquillità interiore, per ricondurci al senso più profondo e vero della nostra vita. E questo perché la preghiera è un momento di riposo tra i flutti delle tempeste della vita.

Noi sappiamo bene che la vita spirituale ha bisogno di momenti di silenzio e di pace, di riposo e “di ricarica”.

Si… perché noi siamo come piccoli candelieri ad olio, ai quali se non viene “fatto rifornimento” di olio, e non veniamo accesi, non possiamo far luce!

È significativo l’atteggiamento di Gesù verso i Dodici. Atteggiamento che non esprime nessun tipo di giudizio su tutto quanto loro narrano, ma piuttosto li invita a spostare l’attenzione su “loro stessi“: “Venite, voi stessi, in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco“.

A Gesù interessa condurre i Dodici a scoprire in loro la vera dimensione dell’esistenza umana perché si rendano coscienti della profondità a cui è rivolta la missione che Lui affida a loro: è il cammino interiore verso la libertà (“venite in disparte…”) per gustare la bellezza della vita (riposatevi).

Guai a noi, quindi, Fratelli e Sorelle, se non riuscissimo a trovare uno spazio per noi stessi, per stare insieme al Signore, per parlare con Lui e lasciar gioire il nostro cuore al dolce suono della Sua Parola.

Ma vi invito anche ad osservare quel meraviglioso atteggiamento di costante attenzione che Gesù manifesta ognuno che gli sta accanto, chiunque esso sia. E che ci mostra che Gesù è capace di una ineguagliabile, profonda empatia.

Sa mettersi SEMPRE nei panni degli altri. Sa gioire della gioia degli Apostoli appena tornati dalla missione. Ma allo stesso tempo sa compatire quella immensa folla che lo raggiunge ovunque, pur di ricevere una Parola che possa illuminarla.

Appena vede la gente che ha percorso chilometri per raggiungerlo, invece di irritarsi perché magari mandava a monte i suoi piani, prova una profonda compassione e SUBITO dona loro UNA PAROLA BUONA.

La passione d’amore che Gesù prova per gli uomini non lo porta a recriminare sui cattivi pastori che hanno la responsabilità dello sbandamento delle folle, ma lo porta a commuoversi e a dirigersi verso la folla, insegnando loro molte cose.

E a queste folle non insegna una dottrina MA UNA PROPOSTA DI VITA LIBERANTE CHE EMERGE NON SOLO DALLE PAROLE, MA DAI SUOI COMPORTAMENTI E DAL MODO CON CUI ENTRA IN RELAZIONE CON GLI UOMINI, IN CUI TRASPARE L’ESPERIENZA CHE LUI STESSO HA DI DIO, L’ESPERIENZA DI PADRE.

Anche noi, ancora oggi cerchiamo chi ci offre una Parola vera, una Parola che convince e converte, una parola che offre una prospettiva nuova su noi stessi, una Parola che può saziare il nostro cuore, desideroso di Dio, e orientare finalmente la nostra vita.

Perché lavorare, impegnarsi seriamente con tutta la propria persona è necessario ed è umano, ma lo è altrettanto la dimensione della solitudine, del silenzio, della quiete.

Se noi sentissimo nel nostro cuore questa chiamata “Fuggi, fa’ silenzio, cerca quiete” (Detti dei padri del deserto, Serie alfabetica, Arsenio 2), saremmo certamente più disponibili a trovare un “luogo deserto”, uno spazio solitario in cui pensare, meditare, ascoltando il silenzio, il nostro cuore, la voce di Dio che cerca di parlarci nel nostro intimo più profondo.

Cerchiamo di farvi attenzione, perché senza ottemperare a questa esigenza, si cade nella superficialità, ci si disperde, si finisce per vivere senza sapere dove si va.

Non resta dunque a Gesù che farsi “pastore buono” di quella folla (Gv 10,11.14): obbedendo puntualmente e facendo ciò che Dio, IL PADRE SUO, vuole che lui faccia NEL SUO NOME.

Gesù dunque legge la fame di quella gente, che certamente È FAME DELLA PAROLA: vogliono che Gesù insegni, cioè “parli loro la Parola”, come Marco dice altrove (Mc 2,2; 4,33).

Ciò che è decisivo è che Gesù sia presente e parli, perché lui È LA PAROLA DI DIO (Gv 1,1.14).

E Gesù lo fa, ricorrendo alla misericordia che lo spinge a questa compassione, a questa fatica, a questa parola indirizzata a quanti suscitano in lui sentimenti di tenerezza.

Aveva avuto misericordia degli Apostoli, che erano ritornati stanchi e li aveva chiamati al riposo, e ora ha misericordia delle folle e, per esse, interrompe il proprio riposo.

Solo la compassione misericordiosa lo guidava e ne determinava il comportamento e le azioni durante la sua itineranza.

La folla che impedisce a Gesù di realizzare il suo progetto buono e urgente di riposo necessario non causa in lui fastidio, reazioni di impazienza, ma gli fornisce un’occasione per aprirli ai sentimenti di Dio Padre, che sempre ha compassione del suo popolo, perché sa che è continuamente privo di pastori.

Eppure non mancavano i capi in Israele, non mancavano le guardie e i magistrati, non mancavano gli aspiranti governatori del popolo e non mancavano neppure i sacerdoti, grandi o piccoli; ma non avevano il cuore di pastore!

Erano incapaci di amare veramente quel popolo che era stato loro affidato da Dio e che, peraltro, volevano pur governare.

Ma il mondo, dal proprio canto, cerca Dio. ecco perché Gesù non può stare nella barca con i suoi “apostoli”, non può allontanarsi da un mondo che, magari senza saperlo, lo cerca.

Anche Gesù è “convertito” dal mondo che cerca Dio. La vocazione pastorale di Gesù nasce proprio in questo momento, quando vede il mondo disperso, affamato di Lui, della sua misericordia, quando sente le viscere muoversi dentro.

E gli “apostoli” devono tornare ad essere “discepoli”, per non diventare “professionisti pastorali”.

Solo liberandosi dai loro affanni, dall’autocompiacimento, possono, per primi, imparare a ritrovare sé stessi, a cercare la solitudine, non in una barca che si allontana, ma ascoltando quel grido del mondo che essi stessi portano nel cuore.

Sentiranno così, come Gesù, che le loro viscere sono il luogo in cui “si incarna” l’Amore infinito del Padre.

Ecco la lezione. Quando ritroviamo la compassione, Fratelli e Sorelle, quando impariamo di nuovo a commuoverci, il mondo si innesta nella nostra anima. E se c’è sulla terra chi sa ancora commuoversi per l’ultimo degli uomini, allora c’è speranza per il mondo.

E per terminare vi ricordo PAPA FRANCESCO, che nell’Angelus del 22 luglio 2018 ebbe a dire:

  • “In queste circostanze, siamo chiamati ad imitare quanto ha fatto Gesù: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (v.34).

In questa breve frase, l’evangelista ci offre un flash di singolare intensità, fotografando gli occhi del divino Maestro e il suo insegnamento. Osserviamo i tre verbi di questo fotogramma: vedere, avere compassione, insegnare. Li possiamo chiamare i verbi del Pastore.

Lo sguardo di Gesù non è uno sguardo neutro o, peggio, freddo e distaccato, perché Gesù guarda sempre con gli occhi del cuore. E il suo cuore è così tenero e pieno di compassione, che sa cogliere i bisogni anche più nascosti delle persone. Inoltre, la sua compassione non indica semplicemente una reazione emotiva di fronte ad una situazione di disagio della gente, ma è molto di più: è l’attitudine e la predisposizione di Dio verso l’uomo e la sua storia. […]

Dato che Gesù si è commosso nel vedere tutta quella gente bisognosa di guida e di aiuto, ci aspetteremmo che Egli si mettesse ora ad operare qualche miracolo. Invece, si mise a insegnare loro molte cose. Ecco il primo pane che il Messia offre alla folla affamata e smarrita: il pane della Parola. Tutti noi abbiamo bisogno della parola di verità, che ci guidi e illumini il cammino.

Senza la verità, che è Cristo stesso, non è possibile trovare il giusto orientamento della vita. Quando ci si allontana da Gesù e dal suo amore, ci si perde e l’esistenza si trasforma in delusione e insoddisfazione.

Con Gesù al fianco si può procedere con sicurezza, si possono superare le prove, si progredisce nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Gesù si è fatto dono per gli altri, divenendo così modello di amore e di servizio per ciascuno di noi”.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!