04.11.2023 – SABATO SAN CARLO BORROMEO – LUCA 14,1.7-11 “Chiunque si esalta sarà umiliato”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo LUCA 14,1.7-11

+ Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto perché, quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Memoria di san Carlo Borromeo, vescovo, che, fatto cardinale da suo zio il papa Pio IV ed eletto vescovo di Milano, fu in questa sede vero pastore attento alle necessità della Chiesa del suo tempo: indisse sinodi e istituì seminari per provvedere alla formazione del clero, visitò più volte tutto il suo gregge per incoraggiare la crescita della vita cristiana ed emanò molti decreti in ordine alla salvezza delle anime.

Un pastore buono è un dono eccellente. E tale è stato per la Chiesa di Milano e per tutta la Chiesa, san Carlo BORROMEO.

Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, sul Lago Maggiore, era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Fondò a Roma un’Accademia secondo l’uso del tempo, detta delle «Notti Vaticane».

Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo e inviato sulla Cattedra di sant’Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere.

Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli.

Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi.

Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all’interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali.

Un’opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentato. Durante la peste del 1576 assistette personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto «Humilitas».

Nell’aprile del 1566, raggiunse Milano, dove iniziò subito la grande opera di riforma secondo il Concilio di Trento.

Fu un organizzatore geniale e un lavoratore instancabile tanto che Filippo Neri esclamò: “Ma quest’uomo è di ferro”.

Organizzò la sua diocesi in 12 circoscrizioni, curò la revisione della vita della parrocchia obbligando i parroci a tenere i registri di archivio, con le varie attività e associazioni parrocchiali.

Si impegnò molto nella formazione del clero creando il seminario maggiore e minore. Fu soprattutto instancabile nel visitare le popolazioni affidate alla sua cura pastorale e spirituale, iniziando la sua prima visita nel 1566 subito dopo l’arrivo a Milano.

La sua visita in una parrocchia era preparata spiritualmente con la preghiera e con la predicazione che doveva portare ai Sacramenti.

Il vescovo all’inizio faceva una riunione con i notabili del paese ai quali chiedeva tra l’altro: “Come si comportano in chiesa i parrocchiani? Ci sono eretici, usurai, concubini, banditi o criminali? Ci sono seminatori di discordia, parrocchiani che non osservano la Quaresima?… I padri di famiglia educano bene i propri figli? Non c’è lusso esagerato nel vestire da parte degli uomini e delle donne? Se ci sono delle istituzioni di beneficenza e di aiuto sociale, sono ben amministrate?”.

E altre domande simili. Come si vede concrete.

Tutto bene quindi nella sua opera di riforma? Non proprio. Incontrò difficoltà e talvolta anche ostilità.

Come nel caso dell’attentato che subì il 26 ottobre 1569 ad opera di quattro frati dell’Ordine degli Umiliati, dei quali uno gli sparò mentre era in preghiera nella sua cappella privata, perché il Borromeo voleva riformare quell’ordine religioso ormai decaduto.

Ma le riforme proposte furono viste dagli Umiliati come umiliazioni. La pallottola gli forò il rocchetto, ma lui rimase illeso miracolosamente ed il popolo lo interpretò come un segno dall’alto della bontà delle sue riforme. E gli Umiliati, di nome, furono umiliati anche di fatto e per sempre con la loro cancellazione definitiva.

Ma lo spessore della sua personalità di pastore e del suo amore più grande che “dona la vita per i suoi amici”, la mostrò in occasione della peste del 1576. Assente dalla città perché in visita pastorale, rientrò subito, mentre il governatore spagnolo e il gran cancelliere fuggivano via.

Fece subito testamento sapendo che la peste non aveva riguardo per nessuno, nemmeno per l’alto clero: organizzò l’opera di assistenza, visitò personalmente e coraggiosamente i colpiti dal terribile morbo, aiutò tutti instancabilmente fino al punto da meritarsi un rimprovero dal Papa di Roma.

Nonostante tutta l’attività pastorale, il Borromeo fece quattro viaggi a Roma e quattro a Torino. Era molto devoto della sacra Sindone.

Fu proprio nel 1578 che i duchi di Savoia la portarono a Torino perché al vescovo di Milano, che aveva chiesto di venerarla personalmente, fosse risparmiato il difficile e pericoloso attraversamento delle Alpi (motivo ufficiale), ma anche per difenderla dalle brame dei Francesi (motivo politico).

L’esposizione della reliquia fatta a Torino nel 1978 fu per ricordare questo suo arrivo nella città.

A causa della sua attività pastorale senza sosta, dei frequenti viaggi, delle continue penitenze, la sua salute peggiorò rapidamente.

La morte lo colse preparatissimo il 3 novembre del 1584, ed il suo culto si diffuse rapidamente fino alla canonizzazione fatta nel 1610 da Paolo V.

Carlo Borromeo moriva fisicamente ma la sua eredità, fatta di santità personale e di azione instancabile per la Chiesa era più viva che mai, e sarebbe continuata nei secoli. Fino ad oggi.

Ma veniamo al testo evangelico odierno.

Tutto il capitolo 14 è ambientato attorno a una tavola. Il genere letterario del convito era molto usato negli scritti filosofici e sapienziali. Attorno a una tavola imbandita si affrontano diversi argomenti, si ascolta la parola di un maestro.

E constatiamo che, ancora una volta, la logica del Regno annunciato da Gesù non coincide con quella del mondo.

Così Luca utilizza la cornice di un pranzo per inserire diversi insegnamenti di Gesù, che suggerisce di non cercare di occupare i posti destinati agli invitati più ragguardevoli quando si è invitati a pranzo, per evitare di dover poi lasciare il posto a un ospite più importante.

Tali regole erano frequenti nel giudaismo, dove l’autorità e la gerarchia delle persone avevano grande importanza.

Gesù non si interessa delle regole di galateo, ma riporta tutto a verità, all’essenzialità. A Dio.

Egli, partendo da un aspetto quotidiano, ci suggerisce un nuovo atteggiamento: la ricerca dell’ultimo posto, atteggiamento della persona libera, capace di mettersi a servizio delle altre persone.

La tentazione di avere i primi posti appartiene per natura al cuore dell’uomo, nasce dall’orgoglio e s’insinua talvolta anche nelle cose buone, anche in quelle scelte che hanno il timbro di Dio.

La tentazione di emergere può inquinare anche i desideri santi e spingere l’uomo a cercare la sua gloria più che quella di Dio. Lasciamo a Dio la scelta.

Se lui ci chiama ad avere posti di responsabilità, li accoglieremo come una vocazione e li vivremo in nome di Dio, cioè con lo stile del servizio.

Se invece il buon Dio preferisce lasciarci all’ultimo posto, ci pone in una condizione più nascosta, la vivremo con gioia e con quello stile che appartiene alla Famiglia di Nazareth, che ha custodito nella più grande umiltà la grazia straordinaria che aveva ricevuto.

Il Figlio di Dio si è fatto uomo per “insegnare l’umiltà e abbattere la superbia”, scrive Sant’Agostino.

È questa la via percorsa da Teresa di Lisieux: Dio dona tutto “ma vuole l’umiltà del cuore…” (LT 161).

Possiamo stare in qualunque posto, non importa se in alto o in basso nella scala sociale o in quella ecclesiale, ma ciò che conta è vivere a servizio di Dio.

Alcuni santi, durante la vita hanno ricevuto onori e riconoscimenti.

Pensiamo a Madre Teresa o a Chiara Lubich. Non li hanno rifiutati perché avevano la consapevolezza che tutto veniva da Dio ed era destinato a magnificare il suo Nome. Hanno custodito l’umiltà ed hanno vinto.

Ma non è facile. Solo i santi sono capaci di ricevere onori senza cadere nella trappola dell’orgoglio.

Tuttavia, Gesù ci regala un altro insegnamento: essere umili, ritenersi sempre meno degni dei fratelli, sedendoci all’ultimo posto. Ma questo è scandaloso per noi, perennemente egocentrici affamati di protagonismo.

SI PUÒ COMPRENDERE DAVVERO QUESTO MESSAGGIO SOLO VOLGENDO LO SGUARDO A CRISTO CROCIFISSO.

Egli, che pure era il Figlio di Dio, ha voluto nascere nella povertà e nella miseria di una stalla. Egli, che aveva creato tutto dal nulla, passò la gran parte dei suoi anni terreni nella discrezione della tranquilla vita domestica, lavorando come falegname. Colui per il quale tutto è stato creato e al quale ogni cosa è sottomessa di tutto quanto esiste, nonostante la sua condizione divina, non considerò tesoro geloso la sua divinità.

A tanto è giunto il suo amore per noi, che ha voluto rimanere tra noi e in noi, nascosto, riducendo la sua divinità in una piccola forma di pane, per la nostra salvezza. Ecco la luce che guida la nostra vita.

San Paolo fece della croce di Cristo la sua unica gloria Ciò che importa non è la vita, né la morte, ma solo stare dove Dio vuole, vivendo secondo il suo spirito.

La voce di uno scrittore poeta Antoine de Saint- Exupéry (1900-1944):

  • “…il tuo Dio sia per te più reale del pane in cui affondi i denti. Allora egli ti esalterà fino al sacrificio, che sarà unione totale nell’amore. E la tua fatica trasforma la terra in messe biondeggiante.”

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!