04.08.2022 – GIOVEDI’ SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY – MATTEO 16,13-23 “Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo MATTEO 16,13-23

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo. Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

Giovanni Maria Vianney(1786-1859) di famiglia contadina e privo della prima formazione, nell’agosto 1815, fu ordinato sacerdote, divenne noto come il curato d’Ars.

Si dedicò all’evangelizzazione, attraverso l’esempio della sua bontà e carità. Ma fu sempre tormentato dal pensiero di non essere degno del suo compito. Trascorreva le giornate dedicandosi a celebrare la Messa e a confessare, senza risparmiarsi. Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925 e verrà indicato modello e patrono del clero parrocchiale.

Guardando al Santo Curato d’Ars, ovvero a san Giovanni Maria Vianney viene da pensare ai versi pronunciati nel salmo 117: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo», parole riprese da Gesù e riportate dagli evangelisti Matteo, Marco, Luca, negli Atti degli Apostoli e nella prima lettera di san Pietro.

Ebbene, ciò che Cristo Signore aveva riferito a se stesso in quanto Figlio di Dio non riconosciuto come tale, può essere applicato ad alcuni santi, fra i quali il patrono dei parroci, don Giovanni Maria Vianney, che sicuramente divenne sacerdote più per volontà divina che per volontà umana, scartato come fu, e a più riprese, da professori ed esaminatori.

Fin da piccolo fu educato a frequentare la chiesa parrocchiale. Le celebrazioni liturgiche lo affascinavano così tanto da imitarle e ripeterle una volta tornato a casa. Quando conduceva al pascolo il bestiame, spesso lasciava ai compagni la custodia degli animali per correre dietro un cespuglio a recitare il santo rosario ed era felice di entrare in una chiesa quando sentiva suonare la campana.

In qualunque luogo si trovasse, Giovanni Maria «benediceva l’ora» cioè, seguendo l’esempio di sua madre, ogni volta che sentiva suonare le ore, incurante della presenza di altre persone, sospendeva l’attività che stava compiendo, faceva il segno della Croce, recitava l’Ave Maria e ripeteva, a chiusura, il segno della Croce.

Questa consuetudine perdurerà lungo tutto l’arco della sua esistenza. La madre di Giovanni Maria, sua prima catechista, fu la prima ad avvedersi della bellezza della sua anima. «Vedi, mio Giovanni se le tue sorelle o i tuoi fratelli offendessero il Signore, ne avrei grande pena, ma la pena sarebbe maggiore ancora, se lo offendessi tu!».

Molti anni dopo, quando qualcuno si feliciterà con lui per aver avuto così presto il gusto della preghiera e dell’altare, egli risponderà, sempre con profonda commozione «Dopo che a Dio, lo devo a mia madre, tanto ella era buona! La virtù passa facilmente dal cuore della madre nel cuore dei figli… Un figlio che ha avuto la fortuna di avere una buona madre, non dovrebbe mai guardarla, né pensare a lei, senza commuoversi fino al pianto!».

Ad Ars, Vianney si diede subito da fare, trovando l’appoggio nella contessina Maria Anna Colomba Garnier des Garets (1754-1832) di 64 anni. La Rivoluzione, nonostante fosse nobile, non l’aveva catturata. Il prete venuto da Dardilly non pretendeva di cambiare il mondo, ma quel minuscolo paese, che Dio gli aveva affidato. Si assicurò perciò la cooperazione delle famiglie migliori per perfezionare i buoni, richiamare gli indifferenti, convertire i peccatori. Dinanzi all’opera da intraprendere si sentiva debole e insufficiente, ma abbattendo l’orgoglio spalancò le porte alla forza misteriosa della Grazia, che inondò la sua anima e il paese di Ars, per il quale offrì tutto sé stesso, sottoponendosi a durissime penitenze. Per diverso tempo dormì al piano terra con pavimento e muri umidi e senza materasso poiché lo regalò ai poveri. Contrasse nevralgie facciali molto dolorose e di cui soffrì per 15 anni. Gli fu allora detto di salire nella sua camera, ma lui scelse il solaio. Non ebbe mai per il suo «cadavere», come chiamava il proprio corpo, alcuna pietà.

Per cibarsi usava spesso la marmitta, divenuta leggendaria: in essa cuoceva patate per una settimana e le mangiava fredde, a volte ricoperte di muffa. Di tanto in tanto si faceva cuocere un uovo nella cenere calda oppure impastava un pugno di farina con acqua e sale, preparando i cosiddetti «matefaims» del Curato d’Ars. D’altra parte non aveva cessato di cibarsi di erba. Di tutta fretta mangiava quel poco-niente e beveva un bicchiere d’acqua. Proverbiali erano poi i suoi digiuni, di cui faceva uso per scacciare il peccato dalle anime. Affermava: «Questa specie di demoni – dice il Vangelo – non si scaccia che col digiuno e la preghiera» (Mt 17,20). Rivelerà: «… il demonio fa poco conto della disciplina e degli altri strumenti di penitenza. Ciò che lo sbaraglia è la privazione del bere, nel mangiare e nel dormire.

Niente il demonio teme di più e quindi nulla è più gradito a Dio! Quando ero solo, e lo sono stato per otto o nove anni, potendo fare un poco a mio piacimento, mi è capitato di non mangiare per diversi giorni… Allora ottenevo da Dio tutto ciò che volevo per me e per gli altri» e, con commozione, «Ora non è la stessa cosa. Non posso stare a lungo senza magiare; non riesco più a parlare… Ma come ero fortunato, quando ero solo! Comperavo dai poveri i pezzi di pane che erano stati loro offerti; passavo una buona parte della notte in chiesa; non avevo tanta gente da confessare come ora… E il buon Dio mi faceva grazie straordinarie…».

Utilizzò l’istruzione religiosa per debellare l’ignoranza e cristianizzò, evangelizzò, catechizzò, lanciando una vera e propria crociata contro la bestemmia, il lavoro festivo, le osterie e i balli. Le persone andavano a confessarsi sempre più frequentemente da lui e sovente, come accadrà anche al confessionale di Padre Pio da Pietrelcina, l’abbé Vianney non le assolveva se non vedeva il pentimento.

Gli antidoti dell’abbé Vianney al malcostume, al malaffare, allo sciupio della vita erano: messe quotidiane, sacramenti, catechismo, vespri, preghiere, letture devote, rosario, processioni, rogazioni, così si realizzò la restaurazione spirituale ad Ars, che andò di pari passo con quella materiale.

Aveva per il peccatore tenera compassione, ma ciò non gli impediva di essere senza misericordia verso il peccato, di fronte al quale diventava rigidissimo e tuonava, spiegando che esiste una santa collera che viene dallo zelo «con cui dobbiamo sostenere gli interessi di Dio». La sua santa collera veniva non dal temperamento mite, bensì dal senso del dovere religioso, avendo assunto l’abito sacerdotale ed essendo divenuto, a pieno titolo, Alter Christus.

La cappellania diventò parrocchia nel 1821 e Vianney iniziò l’opera di restauro della chiesa. Inoltre, nel 1824, aprì una scuola e un orfanotrofio per ragazze, chiamato «Providence». Le giovani erano tante, circa 60, e il cibo, un giorno, iniziò a scarseggiare. Vianney pregò e il granaio si riempì: la cosa singolare è che il poco grano vecchio rimasto si distingueva dai chicchi nuovi. Ci fu carestia a causa della siccità e la farina era rarissima, ma il mediatore di Dio, con la preghiera, moltiplicò anche quella.

Tormentato dal desiderio di solitudine e di meditazione, sognava il giorno in cui avrebbe potuto ritirarsi nell’amata casa «Providence» per stabilire un’adorazione perpetua. Ma i disegni erano ben diversi.

Dopo cinque anni Ars non era più Ars. Come affluenza di persone sembrava divenuta una metropoli. I forestieri rimanevano stupiti e meravigliati quando vi giungevano: il comportamento degli abitanti era esemplare. Ad essi il curato aveva raccomandato di recitare l’Angelus tre volte al giorno, perciò quando i tre colpi di campana si diffondevano nella valle, tutti si fermavano: gli uomini si scoprivano il capo, le donne giungevano le mani e tutti pregavano.

Violente furono le persecuzioni diaboliche ai danni del Curato d’Ars, che sarà nominato esorcista. Il maligno, che lui chiamava «grappino», lo pedinò per circa trentacinque anni, dal 1824 al 1858 e non gli permetteva di riposare. Rovesciava le sedie, scuoteva i mobili e ripeteva: «Vianney, Vianney! Mangiapatate! Ah! Non sei ancora morto! Un giorno ti avrò». Grugniti di orso, latrati di cane… Vianney pregava e faceva penitenza, non mangiava e non dormiva e un giorno il «grappino», sconfitto, non tornò più a molestarlo.

La fama di santità percorse tutta la Francia e anche oltre. Il santo si schernì sempre dall’essere l’autore di prodigi, guarigioni e miracoli, attribuendo tutto all’intercessione di santa Filomena (III-IV secolo), martire dell’antica Roma, di cui la chiesa di Ars conservava una reliquia.

Tuttavia quella fama di santità urtava parecchi ecclesiastici, che non potevano credere in un sacerdote “ignorante”, spesso considerato addirittura pazzo. A tali illazioni monsignor Alexandre Raymond Dévié (1767 – 1855), vescovo di Belley, rispondeva: «Signori, io auguro a tutto il mio clero un granellino di questa follia».

I suoi sermoni sono un capolavoro di dottrina e di teologia. È un predicatore straordinario. Prepara le prediche meglio che può, poi le studia. Ma quando le espone, parla con tanto ardente amore per Dio che travolge gli uditori. Parecchi testimoni hanno raccontato che, nonostante la sottile voce del santo, l’assenza di microfoni, l’assembramento delle migliaia di persone nella e presso la chiesa, non impedivano alla Grazia di manifestarsi ugualmente e molti si convertirono senza neppure sentirlo.

FU UN MARTIRE DEL CONFESSIONALE: arrivò a starvi anche 18 ore al giorno. Sconsigliava ai suoi parrocchiani la danza. Negava l’assoluzione a chi non prometteva di astenersi da certi balli. Alcuni gli rispondevano che sarebbero andati in un’altra chiesa, dove non avrebbero avuto difficoltà a farsi assolvere. A questi rispondeva: «Se altri preti vi vogliono aiutare ad andare all’Inferno, che se ne prendano la responsabilità».

Nel 1850 uscì un libro del suo amico, il venerabile fratel Gabriele Taborin (1799-1864), fondatore dei Fratelli della Sacra Famiglia, dal titolo: L’ANGELO CONDUTTORE DEI PELLEGRINI DI ARS. L’abbé Vianney ne rimase profondamente addolorato, poiché si trattava di un lavoro encomiastico nei suoi confronti. «Ma come avete potuto ingannarmi così? Vi credevo incapace di fare un libro cattivo. Non voglio assolutamente che quest’opera sia conservata o divulgata in alcun modo. Bruciatela immediatamente! Vi rimborserò io le spese della stampa».

E, aggiunse, pensando che invece era un asino del quale Taborin aveva scambiato il «raglio per un nitrito»: «Il vostro libro è buono farà senz’altro del bene. Ma bisogna togliere tutti quegli elogi menzogneri che avete messo all’inizio.

Come avete potuto farmi simili lodi. A me, che non sono che un povero peccatore, il più ignorante dei preti. A me che forse un giorno sarò sconfessato! Gli altri parroci fanno del bene. Io non faccio che tele di ragno, e se anche essi non lo dicono, comunque lo pensano». Il suo disappunto non venne preso in considerazione e il Vescovo di Belley diede l’autorizzazione alla distribuzione del volume. Il commento del Curato d’Ars fu: «Appena una croce mi lascia, eccone subito un’altra pronta a sostituirla» e non autografò neppure una copia.

L’abbé Vianney trascorreva tutta la sua giornata e la sera in chiesa: all’altare, sul pulpito, in confessionale. Spesso la notte non trovava riposo, a causa delle molestie sataniche, che si facevano sentire anche di giorno, come quella mattina del 24 febbraio 1857.

Mentre il curato era in sacrestia, alcuni fedeli, che si trovavano nella canonica, videro uscire le fiamme dalla sua stanza. Corsero per andarlo ad avvisare. Egli, che già indossava i paramenti sacri e stava per iniziare a celebrare la Santa Messa, senza scomporsi disse «Quel villano d’un grappino!… Non ha potuto prendere l’uccello e così brucia la gabbia». Così dicendo trasse di tasca la chiave della porta per dare la possibilità ai parrocchiani di spegnere l’incendio. (Ancora oggi sono visibili le tracce del fuoco su diversi oggetti). Ma grande fu lo stupore quando i soccorritori videro, aprendo la porta, che le fiamme si erano fermate davanti al reliquiario di legno che don Vianney teneva sul cassettone e che conteneva oltre cinquecento reliquie di santi, raccolte nel corso degli anni.

Fra i tanti doni straordinari di don Vianney c’era quello del discernimento degli spiriti, cioè l’intelligibilità delle anime, che gli permetteva di scrutare i cuori e rivelare anche ciò che i penitenti non osavano dire oppure li illuminava sui pericoli della coscienza e sulle tentazioni. Soffriva di emicranie paurose dentro il confessionale, gelido d’inverno, una fornace d’estate, eppure proseguiva, incurante di sé.

Venivano pagati i poveri per tenere il posto in coda ai più abbienti. Don Vianney non faceva mai distinzioni fra i fedeli, usando lo stesso atteggiamento, come faceva anche san Giuseppe Cafasso (1811-1860), sia per i meno fortunati che per le persone illustri. Una volta un ricco signore si lamentò a gran voce perché era costretto, per confessarsi, a rispettare la fila come gli altri. Con passo deciso si avviò al confessionale, superando tutti gli astanti, e con arroganza disse: «La settimana scorsa, io, sono stato a pranzo con l’imperatore!», allora l’abbé Vianney spuntò fuori e rispose: «E io pranzo tutti giorni con Nostro Signore!».

Arguto e pungente, il Curato rispondeva sempre a tono, come quella volta che si rivolse in questi termini ad un pellegrino scettico, il quale gli aveva domandato se vedeva davvero il diavolo: «Sì, e anche adesso!».

Incoraggiava alla comunione frequente, affermando che non tutti coloro che si avvicinano all’altare sono santi, ma i santi sono fra coloro che si comunicano spesso. Un giorno un’indemoniata gli gridò: «Quanto mi fai soffrire… Se sulla terra ci fossero tre persone come te, il mio regno sarebbe distrutto».

Incontrandolo ci si convertiva o si consolidava la fede che si aveva, cercando di perfezionarsi, ma gli stessi preti rimanevano scossi e rileggevano la propria vocazione alla luce della vita, della pastorale, delle parole del Curato d’Ars. Spiegava il patrono dei parroci: «La causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio, come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria!» e prese l’abitudine di offrire sempre, celebrando, anche il sacrificio della propria vita: «Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!».

Il cuore, il centro della vita del prete è l’Eucaristia, ma tale deve essere anche per il laico, come afferma nel sermone pensato per la sesta domenica dopo Pentecoste: «Quale gioia per un cristiano che ha la fede, che, alzandosi dalla santa Mensa, se ne va con tutto il cielo nel suo cuore! … Ah, felice la casa nella quale abitano tali cristiani!… quale rispetto bisogna avere per essi, durante la giornata.

Avere, in casa, un secondo tabernacolo dove il buon Dio ha dimorato veramente in corpo e anima!. . .».

Papa san Pio X lo ha proclamato beato l’8 gennaio 1905; mentre il 31 maggio 1925 è stato canonizzato da Pio XI. Nel centenario della morte, il 1° agosto 1959, Giovanni XXIII gli ha dedicato un’enciclica, Sacerdotii Nostri Primordia, additandolo a modello dei sacerdoti.

Il Cuore incorrotto dell’abbé Vianney è custodito in un reliquiario donato, in occasione del centenario della beatificazione, dalla parrocchia di San Giovanni Maria Vianney (località Borghesiana) di Roma al Santuario di Ars.

L’opera, in bronzo argentato, è stata fusa nella fonderia dei laboratori della Domus Dei di Albano su progetto dell’artista Alessia Bernabei di Roma. Il reliquiario è stato ideato prendendo spunto da una frase tratta dalle omelie del Curato: «Il cuore dei santi é saldo come una roccia tra i flutti del mare», e rielabora il portale della Cappella del Cuore di Ars, trasformandolo in un tempietto, edificato sopra una roccia, che si erge tra le onde del mare.

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

Con questo passo del vangelo di Matteo si entra in un punto cruciale dello svolgimento della narrazione e del discorso sul Regno di Dio.

L’identità di Gesù appare sfocata benché vi siano state parole e fatti che l’abbiano manifestata.

Tuttavia, per gli altri rimane un grande profeta, un taumaturgo.

La persona di Gesù, anche per coloro che ne hanno fatto esperienza diretta, resta contraddittoria, indefinibile.

C’è qui però la risposta di Pietro che dà una svolta decisiva e pone Gesù come il Messia, il Salvatore.

Ma l’affermazione di Pietro non ha niente a che fare con una semplice comprensione umana o amicale, essa si pone su un altro livello.

Il Cristo lo si può conoscere e proclamare, come sottolineerà lo stesso Gesù, solo attraverso la fede e la luce che ci viene da questa.

La profondità del Cristo ci è rivelata lungo un cammino che passa per la croce e ci conduce alla pienezza della conoscenza.

E Simone, oggi, riconosce in Gesù il profeta, qualcuno di immensamente più grande: la presenza stessa di Dio, il Messia atteso da tempo.

Ha osato, colui che diventa “Pietro”, e lo ha fatto come nessuno fra loro ha mai osato.

Affermare che Gesù è il Messia significa dimenticare tutto quello che si diceva in sinagoga, mettere fra parentesi le attese dei suoi amici, la rabbia malamente contenuta dei nazionalisti.

Certo, si aspettava il Messia, un nuovo re Davide che avrebbe ucciso il Golia romano, un Messia guerriero, determinato e vendicativo. Cosa c’entra, quindi, il Nazareno, dalle umili origini?

Con quella sua predicazione che parla di perdono e compassione, di misericordia e accoglienza?

Pietro rischia, e fa bene.

La sua PROFESSIONE DI FEDE, quindi, è davvero straordinaria: Gesù non assomiglia in alcun modo al Messia vittorioso che tutti stavano aspettando.

E Gesù gli restituisce il favore, svelandogli la sua identità profonda: Simone è una roccia, una pietra, è saldo nella fede e perciò su di lui i fratelli faranno affidamento.

Ma Pietro non capisce bene il peso di ciò che il Signore ha detto: Gesù è disposto a svelare il volto del Padre in ogni modo, anche a costo di morire.

Pietro lo prende da parte e lo redarguisce. Povero Pietro, non ha capito molto di ciò che sta accadendo.

Gesù lo invita a conversione, a non ragionare come gli uomini ma ad entrare nella logica di Dio…

Il Maestro ci rivela sempre chi siamo. E, quando lo riconosciamo come nostro Signore e come nostro personale Salvatore, giungiamo a capire chi siamo veramente.

Ma è una conversione che dura tutta la vita: non basta avere un ruolo, nella Chiesa, per non sbagliare. Occorre sempre vigilare -OGNI ISTANTE- su noi stessi.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!