… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….
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Dal Vangelo secondo MATTEO 9,14-15
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno». Parola del Signore
Mediti…AMO
La Liturgia ci propone un testo del Vangelo di Marco dove si parla di una disputa con Gesù, e precisamente della controversia circa il digiuno.
In essa due temi si intrecciano: quello dello sposo e quello della novità che Egli porta con la sua venuta.
Nella controversia del digiuno i due gruppi sono contrapposti: da una parte i discepoli del Battista e quelli dei farisei, dall’altra i discepoli di Gesù.
Gesù in questa sorta di proverbio-parabola attribuisce a sé il titolo di sposo che Dio, per bocca dei profeti, si era riservato.
Egli, infatti, è Dio sceso in mezzo al suo popolo, che incarnandosi nel seno di una Vergine ha sposato la natura umana con vincolo indissolubile “…Ti sposerò per l’eternità”.
Vale a dire che la profezia di Osea si è compiuta in lui; la salvezza preannunciata sotto figura di sponsali tra Dio e l’umanità si realizza in Cristo Gesù.
Perciò la sua permanenza tra gli uomini è il tempo delle nozze, un grande tempo di festa a cui non si addice il digiuno.
Va anche ricordato che il tema dello sposo è un tema messianico. Le nozze sono immagine del tempo della salvezza. Gesù è lo sposo atteso.
Con la sua venuta, la salvezza, la gioia messianica sono entrate nella storia. È in questo contesto di gioia nuziale messianica che si delinea la disputa sul digiuno.
E Gesù giustifica il comportamento dei suoi discepoli facendo riferimento alla gioia delle nozze.
Gli invitati a nozze non possono digiunare. Il digiuno e la festa nuziale si escludono a vicenda.
Egli è lo sposo; gli invitati al suo banchetto devono mangiare. I discepoli di Gesù fintanto che hanno con sé il proprio maestro non possono digiunare.
Nel parallelo del Vangelo di Luca c’è solo un altro testo in cui si parla di qualcuno che digiuna, quello del fariseo e del pubblicano che vanno a pregare al tempio (Lc 18,12). Nella sua preghiera, il fariseo ricorda che lui digiuna due volte alla settimana.
Ma il digiuno era anche un istituto comportamentale religioso ben definito nell’Antico Testamento:
- L’israelita digiuna quando si trova in gravi difficoltà ed aspetta da Dio l’aiuto di cui ha bisogno.
- Oppure digiuna in seguito ad un lutto.
- Si digiuna per prepararsi a ricevere la rivelazione da Dio o prima di una impresa difficile.
- Il popolo intero digiuna nei momenti critici della sua storia, al fine di ottenere il soccorso divino.
Va rilevato anche, che il digiuno non è un metodo ascetico per liberare l’anima dalla schiavitù della carne.
Esso, quando è accompagnato dalla preghiera è volto a dire a Dio che ci si affida umilmente a Lui. E lo si fa in un atteggiamento di abbandono totale.
A mio avviso è interessante osservare che il termine tecnico per designare IL DIGIUNO è frequentemente sostituito con l’espressione “umiliare la propria vita” (ci dice il Libro del Levitico al capitolo 16,29,31).
I profeti, infatti, reagiscono contro i digiuni esteriori, mettendo in evidenza che il vero digiuno, il vero modo di umiliarsi davanti a Dio e di prepararsi al suo incontro è quello di spezzare le catene ingiuste, di rimandare liberi gli oppressi, di dividere il proprio pane con gli affamati (Is 58,6 ss e Ger 14,12).
Il digiuno, dunque, era dunque, una prassi importante nella spiritualità del pio giudeo. E Gesù lo sa bene.
Infatti, nella sua risposta, non lo annulla, ma ne regola l’uso secondo un criterio ben preciso: la presenza o l’assenza dello sposo.
La gioia legata alla presenza dello sposo rende impossibile digiunare. È solo quando lo sposo sarà portato via e, dunque, gli invitati saranno privati della sua presenza, che avrà senso digiunare.
E nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al n.2043 si legge che il DIGIUNO era, ed è, una pratica penitenziale che contribuisce a “farci acquistare il dominio sui nostri istinti e la libertà di cuore”, e a implorare la misericordia divina.
È giusto che il cristiano pensi la relazione con Gesù come vero sposalizio. Si diventa un solo corpo, un solo spirito, una sola volontà, una sola obbedienza e missione.
Da sempre la Chiesa propone, durante i venerdì di quaresima, di praticare l’astinenza dalle carni.
È un gesto semplice, alla portata di tutti, che serve da una parte a ricordare la morte cruenta di Gesù in croce e, dall’altra, a porre un freno ai nostri appetiti, a ristabilire una gerarchia nella nostra vita, facendo in modo che sia sempre e solo la volontà a prevalere.
Fratelli e Sorelle stiamo anche bene attenti alla vecchia e buona consuetudine del “venerdì di magro”: usanza nata in un’epoca in cui solo i ricchi mangiavano carne tutti i giorni, che oggi rischia di essere anacronistico, costando molto di più il pesce della carne.
Ecco allora che il digiuno proposto va accolto con intelligenza. Quando la proposta penitenziale venne elaborata, la carne era cibo per i ricchi ed era un invito a condividere le scelte dei poveri. Oggi che la carne è venduta ad un costo uguale alla frutta, forse bisogna intendersi bene!
Non è certamente astinenza privarsi di un hamburger da pochi euro per rimpinzarsi di cibi costosi.
Non facciamo gli ipocriti come il re Luigi XIV, re Sole, che, nella Francia del Seicento faceva penitenza quaresimale sostituendo le posate d’oro con quelle d’argento…
Oggi possiamo fare astinenza, ad esempio, saltando un pasto o consumando l’equivalente di quanto consuma un indigente, o accontentandoci di un panino.
Ma che sia un gesto che ci apre alla generosità verso i poveri, e alla comprensione del loro dolore, condividendo, per quanto poco e per come ognuno di noi può, ai loro bisogni.
Ma astinenza è anche digiuno dalla televisione, da internet, dal cellulare, per rimettere al centro la nostra vita di relazione, il dialogo, l’ascolto, il guardarsi negli occhi.
La quaresima, insomma, ci chiede di tornare ad essere in armonia col nostro corpo, col nostro cibo, con il nostro cuore, con la nostra mente.
Tenendo anche sempre presente che quando Gesù si dona a noi nella preghiera, non è il momento di digiunare. Perché se lo sposo è presente, come dice Gesù, anche la comunità è chiamata a fare festa.
Si, Egli è lo Sposo della Chiesa e di ciascuno di noi che viviamo il Vangelo.
È la presenza che più conta nella nostra vita. Anche perché, amorevolmente ma decisamente, ci scaraventa fuori da una vita priva di amore. Bene ci illumina sul tipo di digiuno che il Signore Dio, vuole, al capitolo 58 del suo libro (Is 58,6-8):
- “Non è dunque questo il digiuno che voglio? Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni catena? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, i senza tetto, nel vestire chi è nudo senza però distogliere gli occhi dalla tua gente? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora”.
La Chiesa lo sa che le nostre forze sono limitate, e che noi dobbiamo essere disponibili alle sofferenze più profonde, che vengono direttamente da Gesù.
È questo il motivo per cui ha ridotto i digiuni che un tempo erano d’obbligo e ne dispensa i vecchi, i malati: se il digiuno impedisce loro di pregare, se essi hanno appena la forza per restare vicino a Dio, che restino con lo Sposo: è questo ciò che è importante!
Nel messaggio per la Quaresima 2018 Papa Francesco ha detto che, il digiuno, toglie forza alla nostra violenza, ci disarma, e costituisce un’importante occasione di crescita.
Sarebbe interessante che andiate a rileggere anche la Nota pastorale dell’Episcopato Italiano, “Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza” ai nn.1-2, che chiarisce ulteriormente in senso di quanto stiamo cercando di argomentare.
Possano le sue parole in queste ore e tra questi venti di guerra, essere recepite dai folli del mondo, perché torni a regnare la pace.
Siamo in tempi di attesa, quindi MOLTO, MOLTO TRISTI.
Pertanto, dovremmo rinnovarci ogni giorno attraverso la Parola di Gesù.
Dovremmo lasciar andare le rutine, il digiuno di tutto ciò che ci impedisce di muoversi verso una piena identificazione con Cristo, verso la santità.
Parafrasando il Vescovo di Ippona SANT’AGOSTINO “…giusto è il nostro pianto –IL NOSTRO DIGIUNO– se ci brucia il desiderio di vederlo”.
E allora, cerchiamo di capire bene che il rapporto con Gesù rende vecchie e inutili tutte quelle idee e quelle strutture, che si erano malamente create nel Primo Testamento, ma che resistono ancora oggi all’azione dello Spirito Santo, che pretendono di programmare o manipolare la libertà dell’azione divina.
Il peccato ci separa dal Signore, e ci toglie la venuta dello Sposo.
Se spesso sentiamo il Signore tanto lontano, nonostante che egli abbia promesso di essere sempre con noi, è perché NOI CI SIAMO ALLONTANATI DA LUI.
Se è vero che la felicità perfetta non esiste su questa terra è vero però anche che il peccato esaspera la nostra infelicità. E questo perché il peccato è la ricerca disperata della felicità là dove non la si può trovare.
Rinunciare temporaneamente alla gioia del cibo, che è un bene fondamentale, ma anche rinunciare a tutto ciò che è inutile e ci allontana da Dio, ci aiuta a considerare la fondamentale ambiguità di ogni bene materiale e a ricordare che solo nel Signore possiamo trovare la felicità vera e definitiva «…NON DI SOLO PANE VIVRÀ L’UOMO, MA DI OGNI PAROLA CHE ESCE DALLA BOCCA DI DIO» (Mt 4,4 e Dt 8,3).
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!