03.12.2022 – SABATO – SAN FRANCESCO SAVERIO – MATTEO 9,35-10,1.6-8 “Vedendo le folle, ne sentì compassione”.
… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 9,35-10,1.6-8
In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA DEL SANTO
Nel XVI numerosi testimoni della fede compresero l’importanza di superare i “nuovi” confini geografici per portare il Vangelo là dove non era ancora giunto.
Tra questi vi fu anche san Francesco Saverio, che spese tutte le sue energie per donare il messaggio del Risorto alle popolazioni del lontano Oriente, dall’India all’Indonesia, fino al Giappone.
La sua memoria è un’occasione per riflettere sui confini – vicini o lontani – che oggi siamo chiamati a superare per portare la luce di Dio.
Francesco Saverio era nato in Navarra nel 1506 e a Parigi aveva incontrato Ignazio da Loyola, con il quale condivise l’avventura della fondazione della Compagnia di Gesù, di cui ne fu sacerdote.
Nel 1540 venne mandato verso l’Oriente come missionario: mentre stava progettando di portare il Vangelo in Cina morì a causa di una polmonite sull’isola di Shangchuan nel 1552.
Paolo V beatificò Francesco Saverio il 21 ottobre 1619 e Gregorio XV lo canonizzò il 12 marzo 1622.
Francesco Saverio fu mandato nelle Indie, nel 1542, all’estremità del mondo, dove si arrivava con viaggi lunghissimi, pieni di pericoli.
Subito si diede all’evangelizzazione in numerose città e villaggi, viaggiando continuamente, senza temere né intemperie né pericoli di ogni genere.
E non si accontentò delle Indie, che pure erano un campo immenso di apostolato.
Era spinto dall’urgenza di estendere il regno di Dio, di preparare dovunque la venuta del Signore e così, dopo appena due anni, giunge a Ceylon e poi ancora più lontano, alle isole Molucche.
Torna in India per confermare i risultati della sua evangelizzazione, per organizzare, per dare nuovo impulso all’opera dei suoi compagni, ma non vi rimane a lungo.
Vuol andare in Giappone, perché ha appreso che è un regno molto importante, e spera che la conversione del Giappone possa influire su tutto l’Estremo Oriente.
E in Giappone riprende i suoi viaggi estenuanti, estate e inverno, sotto la neve, con fatiche estreme.
Torna dal Giappone, ma il suo desiderio lo spinge verso la Cina. Ed è proprio mentre tenta di penetrare in questo immenso impero che muore nell’isola di Sanchian nel 1552.
In una decina di anni ha percorso migliaia e migliaia di chilometri, malgrado le difficoltà del tempo, si è rivolto a numerosi popoli, in tutte le lingue, con mezzi di fortuna.
Tutto questo rivela un dinamismo straordinario, che egli attingeva nella preghiera e nella unione con il Signore, nella unione al mistero di Dio che vuole comunicarsi.
Anche Gesù, per venire in mezzo a noi, ha superato una distanza infinita: ha lasciato il Padre, come dice il Vangelo giovanneo, per venire nel mondo.
E nel suo breve ministero di tre anni ha continuato questo viaggio: si spostava continuamente, non aspettava che la gente andasse da lui, ma percorreva città e villaggi per annunciare la buona novella del regno.
Francesco Saverio ha dovuto fare viaggi enormi, è continuamente andato verso gli altri, sospinto dall’urgenza di preparare dovunque la venuta del Signore, e in questo modo ha preparato la venuta del Signore in sé stesso.
Dopo aver speso tutte sue forze, la sua intelligenza, il suo cuore, egli riceveva il Signore a tal punto che lo supplicava di limitare un po’ le grazie di cui lo inondava.
Il suo viso era radioso, il suo cuore fremeva, si dilatava: egli aveva seguito in pieno l’ispirazione che il Signore gli aveva dato e per questo il mistero di Cristo si rinnovava nel suo intimo.
Andare agli altri, senza aspettare che siano essi a venire: ecco la missione della Chiesa, la missione di ogni cristiano, ognuno nella sua situazione concreta.
Se vogliamo che il Signore venga a noi, noi dobbiamo preparare la sua venuta negli altri, dobbiamo andare da loro, corrispondendo al dinamismo della misericordia divina.
È questa la rivelazione del Nuovo Testamento, che completa quella dell’Antico: la rivelazione di una misericordia che si diffonde, sempre più lontano.
Accogliamo la rivelazione di questo dinamismo dell’amore che viene da Dio: se vogliamo ricevere Cristo in noi dobbiamo essere pronti a portarlo agli altri, seguendo questo movimento che ci porta sempre fuori di noi stessi, verso gli altri con grande amore.
E questo l’insegnamento che ci viene dalla vita di san Francesco Saverio: per ricevere l’amore di Dio bisogna trasmetterlo, per riceverlo di più bisogna averlo dato agli altri molto fedelmente, molto generosamente.
MEDITI…AMO
Il vangelo di oggi è formato da due parti:
- Un breve riassunto dell’attività apostolica di Gesù (Mt 9,35-38),
- l’inizio del “Sermone della Missione” (Mt 10,1.5-8).
Il brano del vangelo omette i nomi degli apostoli che sono presenti nel vangelo di Matteo (Mt 10,2-4).
In esso è presente un ritratto vivo della persona di Gesù, ed è colta una qualità tipica del Maestro di Nazareth.
A differenza dei tanti “Rabbi” del suo tempo, Egli è uno che percorre chilometri di strade polverose di quei tempi.
Non se ne sta rinchiuso attendendo che la gente vada a Lui.
Ma si sposta attraverso città e villaggi, essendo un instancabile ricercatore dell’uomo, desideroso di rispondere alla sua fame e sete profonda, di senso, di amore, di gioia.
IN DEFINITIVA È FAME E SETE DI DIO.
Per questo anche il suo insegnamento differisce da quello dei soliti maestri “costruiti” su discorsi complicatamente teologici che non toccano il cuore, e non entrano nella vita.
Gesù insegna sì, ma annunciando il Vangelo, cioè la lieta notizia del Regno di Dio, la fonte del suo Amore a cui ogni uomo può accedere, gratuitamente e liberamente, purché sia “vero” nella sua ricerca e dunque umile, con gli occhi spalancati al Mistero.
Per questo il suo è un parlare in parabole, che sono strettamente collegato con la vita.
Per questo Gesù è una cosa sola con quello che dice, è un solo Amore grande che non teme chinarsi su ogni malattia e infermità.
Anzi il soffrire dell’uomo, le sue stanchezze e sfinimenti, destano in Lui compassione, cioè coinvolgimento emotivo totale: quello del dare la vita per coloro che ai suoi occhi sono come pecore senza pastore.
Per questo il Maestro percorre “tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità” (9,35).
Questo instancabile pellegrinaggio rivela l’amore di Dio, il desiderio di incontrare ogni uomo, corpo e anima.
L’annuncio del Regno s’intreccia, e si manifesta al contempo, con l’opera di guarigione. Ed è una missione che Gesù non può e non vuole fare da solo.
In fondo, la sua venuta rappresenta solo l’inizio di una storia che abbraccia tutti i secoli. Altri devono continuare la sua opera: “Chiamati a sé i suoi dodici discepoli …” (10,1).
Gli apostoli fanno esattamente le stesse cose che egli faceva e possono farlo perché hanno ricevuto da Lui il potere:
- “diede loro potere [exousía] sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità”.
È l’incontro con Gesù che ci rende protagonisti, da Lui viene la carità che seminiamo nei solchi spesso aridi della vicenda umana, da Lui il coraggio di perseverare nel bene anche dinanzi alle difficoltà.
Gli apostoli partono privi di mezzi ma carichi di fiducia.
La loro missione è l’icona luminosa di una Chiesa che s’impegna a manifestare l’amore di Dio per tutti e per ciascuno, una Chiesa che annuncia la speranza e si china sulle piaghe dell’umanità.
Viviamo in un’epoca in cui tanti sono smarriti dinanzi al male e hanno la tentazione di chiudersi e di cercare un comodo rifugio.
Verso di essi dobbiamo mostrare la compassione di Dio, in Cristo:
- “Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore”.
Gesù accoglie le persone come sono davanti a lui: malate, sfinite, stanche. Lui si comporta come il Servo di Isaia, il cui messaggio centrale consiste in “consolare la gente” (Is 40,1).
L’atteggiamento di Gesù verso la gente era come l’atteggiamento del Servo, la cui missione era così definita:
- “Non griderà, né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà la canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,2-3).
Come il Servo, anche Gesù si commuove vedendo la situazione della gente “stanca, sfinita e abbattuta, come pecore senza pastore”.
Lui comincia ad essere Pastore identificandosi con il Servo che diceva:
- “Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare lo sfiduciato” (Is 49,4ª).
Come il Servo, Gesù diventa discepolo del Padre e del popolo e dice:
“Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati (Is 49,4b).
E dal contatto con il Padre, che Gesù riceve la parola di consolazione da comunicare ai poveri.
Per questo Gesù invita i discepoli a pregare con insistenza IL PADRE CELESTE, affinché non manchino gli operai del Vangelo, ovvero non manchino coloro che, attraverso la Parola e l’Eucaristia, comunicano in ogni tempo quel potere che rende bella e feconda l’esistenza dell’uomo.
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!