03.09.2022 – SABATO SAN GREGORIO MAGNO, PAPA – LUCA 6,1-5 “Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 6,1-5

Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?». Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA DEL SANTO, PAPA E DOTTORE DELLA CHIESA (VEDERE APPROFONDIMENTO SULLA SUA VITA SUL NOSTRO SITO)

Gregorio (Roma 540 – 12 marzo 604), già prefetto di Roma, divenne monaco e abate del monastero di sant’Andrea sul Celio.

Eletto PAPA, ricevette l’ordinazione episcopale il 3 settembre 590. Nonostante la malferma salute, espletò una multiforme e intensa attività nel governo della Chiesa, nella sollecitudine caritativa, nella tutela delle popolazioni angariate dai barbari, nell’azione missionaria.

Nonostante la malferma salute, esplicò una multiforme e intensa attività nel governo della Chiesa, nella sollecitudine caritativa, nell’azione missionaria. Autore e legislatore nel campo della liturgia e del canto sacro, elaborò un Sacramentario che porta il suo nome (il SACRAMENTARIO GREGORIANO) che costituisce il nucleo fondamentale del Messale Romano.

Lasciò scritti di carattere pastorale, morale, omiletica e spirituale, che formarono intere generazioni cristiane specialmente nel Medio Evo.

Fu uno dei più grandi Padri nella storia della Chiesa, uno dei quattro dottori dell’Occidente: Papa san Gregorio, che fu Vescovo di Roma tra il 590 e il 604, e che meritò dalla tradizione il titolo di Magnus/Grande. Nacque da una ricca famiglia patrizia della “gens Anicia”, che si distingueva per l’attaccamento alla fede cristiana e per i servizi resi alla Sede Apostolica. Da questa famiglia erano usciti due Papi: FELICE III (483-492), trisavolo di Gregorio, e AGAPITO (535-536).

ESAME DEL TESTO BIBLICO

La Scrittura disegna il rapporto tra Dio e l’uomo con i tratti gioiosi di un banchetto di nozze, di cui il sabato ne è un segno tra i più importanti.

Nulla di più lontano da una religione fatta di precetti e divieti, di regole da applicare, di un tedioso dare ed avere tra la divinità e l’uomo.

Oggi leggiamo che “…Il Figlio dell’uomo è signore del sabato”, ma anche della Scrittura, che conosce attentamente, anche nelle sottigliezze e sfumature che sa interpretare.

Ed anche della storia di Israele, traendo dal passato un utile insegnamento per il presente. E possiede anche il buon senso di chi, rispettando la Legge nella sua essenza, non si lascia travolgere dal legalismo.

Gesù è signore del sabato E MOLTO DI PIÙ: È DIO!

E non mischia la Parola di Dio nelle beghe insignificanti in cui continuamente si infilano i farisei di ieri e di oggi.

E dopo il “re-indirizzamento” del DIGIUNO, passa oggi a quello del SABATO, che è un dono prezioso, certo, perché ricorda a Israele di essere un popolo di liberi, non di schiavi.

Ecco perché il sabato va rispettato: PER FARE MEMORIA DELLA PROPRIA DIGNITÀ, DEL PROPRIO DESTINO, DELLA PROPRIA INTIMA CHIAMATA.

Ma va rispettato con intelligenza, come ancora oggi sanno fare gli ebrei praticanti, spegnendo il cellulare e il televisore per stare in famiglia ed intessere relazioni. E come dovremmo fare noi cristiani, che al sabato abbiamo aggiunto la domenica, memoriale della resurrezione di Cristo, per ricordarci che non solo siamo liberi, ma anche figli di Dio. Ma tutto questo in una logica di libertà, non perché COSI’ È PREVISTO DALLA LEGGE DI DIO.

“Sabato”: il grande giorno del “riposo” di Dio, che conclude la CREAZIONE ed ANTICIPA I TEMPI ESCATOLOGICI, QUANDO TUTTO SARÀ RICAPITOLATO IN CRISTO E RICONDOTTO AL PADRE.

Giorno quindi della pienezza, a cui l’uomo, “immagine di Dio”, è chiamato a partecipare. Segno di libertà.

Una libertà già donata all’alba dei tempi e ridonata al Sinai, quando Israele, sottratto alla schiavitù dell’Egitto, viene da Dio introdotto in un rapporto segnato non più dalla paura servile, bensì dall’amore sponsale.

Ma l’uomo sembra sempre pronto a giocarsi questa libertà.

Ed eccolo moltiplicare le norme, irrigidirle, farne dei ceppi che impediscono il passo.

Il sabato cessa così di essere il giorno della libertà e della signoria dell’uomo che si espande nel gioioso riconoscimento e incontro con il suo Signore, per trasformarsi nel giorno dell’osservanza scrupolosa e gretta, dominata dalla paura della trasgressione.

È contro questo svilimento dell’uomo che si alza, fortissima, la voce di Gesù. Lui, il Figlio il Primogenito di una moltitudine di figli a Dio riconquistati dal suo sangue, richiama alla signoria che ci è stata partecipata.

Dobbiamo allora non tenere in nessun conto le “dieci Parole” (decalogo oggi tradotto con comandamenti)?

Tutt’altro!

Esse vanno accolte per quello che sono “dialogo di amore e di libertà” tese a sottrarci alla tirannia degli idoli, presenti in ogni epoca.

Parole sgorgate dall’Amore di Dio per una vita di “qualità”. Parole che non trovano risposta adeguata che nell’amore.

Ma torniamo al testo odierno, dove alcuni farisei si appellano alla sua presunta anarchia, ovvero al fatto che egli ignori le tante prescrizioni (frutto di tradizione umana ma attribuite a Mosè!) che, secondo loro, ogni devoto avrebbe dovuto rigorosamente rispettare.

Attraversando un campo i discepoli di Gesù raccolgono alcune spighe per mangiarne i semi. L’azione può essere considerata come l’equivalente di una mietitura in giorno di sabato e quindi un lavoro proibito (Es.20,8-11 e Dt.5,12-15).

Attenzione però che l’halakà (che è la tradizione “normativa” religiosa dell’Ebraismo, codificata in un corpo di Scritture e include la legge biblica (le 613 mitzvòt) e successive leggi talmudiche e rabbiniche, come anche tradizioni e usanze.) concedeva di entrare nel campo a raccolto ultimato, dopo che i poveri avevano spigolato la loro parte secondo i dettami della Torah: «Quando è permesso a chiunque di spigolare? Quando l’ultimo povero se n’è andato» (Mishnah, Peah 8:1).

I discepoli di Gesù non avevano infranto la Legge, al contrario: seguendo le orme del loro Maestro avevano raggiunto l’ultimo posto, i più poveri tra i più poveri, e per questo liberi davvero.

Nulla da difendere, tutto da ricevere.

Il discepolo è piccolo, indifeso, bisognoso di tutto, un segno di contraddizione, un interrogativo posto dinanzi al cuore di ogni uomo perché sia svelato il cuore della Legge, e quello di Dio, che ne è l’autore.

Va inoltre tenuto presente che Gesù e i suoi discepoli rappresentano una comunità itinerante, un gruppo di persone che attraversano in lungo e in largo la Palestina, in modo particolare la Galilea.

In questa intensa attività itinerante non sempre capita di essere ospitati da amici e persone disposte a dare da mangiare a Gesù e ai discepoli che sono con lui.

Ecco perché, in alcune occasioni, soffrendo la fame e per sfamarsi, essi ricorrono alla frutta degli alberi che incontrano lungo il cammino, oppure si mettono a spigolare nei campi di grano.

Tra l’altro, si tratta di consuetudine permessa dalla Scrittura, fuorché di sabato, che è giorno in cui non bisogna lavorare.

Quindi il gesto dei discepoli di Gesù, di prendere le spighe e mangiarne i grani, è equiparato al “mietere e trebbiare”.

Perciò la violazione del sabato è proibita con la minaccia della lapidazione, bisogna avvertire l’interessato di modo che si fosse certi che agisse “deliberatamente”.

Tuttavia Gesù afferma la sua autorità anche circa il sabato. Infatti, prendendo le difese dei discepoli aveva detto: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato”.

Questo per far capire che la sua funzione è anzitutto il bene spirituale dell’uomo, raggiunto mediante un rapporto più intenso con Dio negli atti di culto, non solo individuali ma comunitari; e anche il suo bene materiale procurandogli un giusto riposo e permettendogli di dedicarsi ad opere di carità in favore del prossimo.

Gesù, dichiarandosi “Signore del sabato”, lo libera dalla gretta interpretazione dei farisei e nello stesso tempo ammonisce i discepoli ad usarlo con giusta libertà, ma sempre conforme al suo insegnamento ed esempio.

E coglie in fallo i farisei: citando un episodio narrato dalla Scrittura cui loro si appellano per giustificare la propria rigidità normativa, racconta di quando Davide, in fuga da Saul, si nutrì, lui e i compagni, dei pani consacrati in un santuario (1 Sam. 21,1-6).

Mostrando loro che, comunque, anche la regola più stretta ha le sue eccezioni. E li zittisce. E noi dobbiamo stare bene attenti a non fare gli stessi errori!

Gesù, così facendo, ci insegna che ogni norma va inserita nel suo contesto: Dio vuole dei figli liberi non dei sudditi ossessionati dalle regole!

La Legge di Dio, comprendendo ogni aspetto della vita dell’uomo per rivestirlo della sua santità, ci ricorda il Paradiso perduto, l’oggetto della nostalgia insopprimibile che punge il cuore di ogni uomo: “Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui.

Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale…” (dirà l’amato Papa, Benedetto XVI).

La Legge doveva accogliere l’uomo per proteggerlo e, nel sabato, farlo risplendere come la “cosa molto buona” creata da Dio, la creatura alla quale donarsi come a una sposa, perché essa si doni a sua volta.

La Legge di Dio era il luogo dell’Alleanza, ma i farisei, con le loro interpretazioni restrittive, l’avevano pervertita così da farne una barriera invalicabile che precludeva il riposo e la pace ai più poveri, ai deboli, agli affamati e ai bisognosi.

Donata per proteggere e guidare nel cammino (halakà deriva dal verbo halak, “camminare”) verso l’intimità con Dio, la Legge era divenuta un impedimento e un inciampo.

Come capita a noi quando recintiamo le nostre vite e quelle altrui di leggi figlie dei nostri criteri, che si tramutano ben presto in aguzzine violentatrici della libertà e dell’amore.

Se vogliamo seguire il Maestro dobbiamo sentirci liberi da schemi, sapere che la legge della libertà è legge d’amore, che, Paolo di Tarso ricorda alla sua comunità che vive a Corinto:

  • «…è magnanimo, benevolo è l’amore; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.» (1 Corinti 13, 4-7)

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!