… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 21,15-19
In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEI SANTI DEL GIORNO
La Chiesa cattolica venera quali Santi Martiri Ugandesi un gruppo di ventidue servitori, paggi e funzionari del re di Buganda, nell’odierna Uganda, tra i 14 e i 30 anni, convertiti al cattolicesimo dai missionari d’Africa del cardinale Charles Lavigerie, i cosiddetti “padri bianchi”.
Essi vennero fatti uccidere in quanto cristiani sotto il regno di Mwanga II (1884-1903) tra il 15 novembre 1885 ed il 27 gennaio 1887.
Inizialmente l’opera dei missionari, avviata nel 1879, venne ben accolta dal re Mutesa così come dal successore Muanga, che però si fece influenzare dal cancelliere del regno e dal capotribù, decidendo la soppressione fisica dei cristiani, alcuni dei quali uccise addirittura con le proprie mani.
Questa violenta persecuzione vide in totale un centinaio di vittime. in Uganda i cristiani subirono una violenta persecuzione.
Tra loro Carlo Lwanga, capo dei paggi del re Muanga, bruciato vivo insieme a dodici compagni il 3 giugno 1886.
Papa Benedetto XV beatificò i ventidue gloriosi martiri il 6 giugno 1920 ed infine furono canonizzati l’8 ottobre 1964 dal pontefice San Paolo VI.
Questi, durante il suo viaggio in Africa del 1969, intitolò loro anche il grande santuario di Namugongo, eretto sul luogo del martirio di San Carlo Lwanga e dei suoi compagni.
Questi martiri costituiscono il primo caso di fedeli cattolici dell’Africa sub-sahariana ad essere proclamati santi.
Il Martyrologium Romanum pone le commemorazioni dei singoli martiri nei rispettivi anniversari di morte: ne consegue che al 3 giugno ricorre la memoria comune di Carlo Lwanga e 12 compagni, i più celebri tra gli appartenenti al gruppo, inseriti anche nel calendario liturgico latino.
La data del 3 giugno ha una valenza doppia: è l’anniversario, ricordato dal Martirologio Romano, del martirio di Carlo Lwanga con 12 compagni; inoltre nel Calendario generale è la memoria liturgica comune di tutti i ventidue martiri ugandesi.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
È l’ultimo incontro di Gesù col suo Apostolo, dopo la Risurrezione, sempre sul lago di Tiberiade. E’ la seconda chiamata di Pietro, anch’essa caratterizzata dal “seguimi” finale.
Questa pericope si colloca in una parte molto importante del Vangelo di Giovanni.
Perché in questo incontro di Gesù con i suoi, c’è un dialogo serrato del Signore con Pietro, che pone le basi per la fondazione della Chiesa.
L’ultima parola di Gesù a Pietro in questa seconda chiamata, è soltanto per chiedere e dare “amore”.
Infatti, è proprio questa la differenza tra la prima chiamata di un Pietro “pescatore di pesci” e la seconda chiamata, quella di un Pietro ormai maturo anche nella Fede.
L’Apostolo ha raggiunto ormai una tale profondità nell’amore umile e generoso, che Gesù sa che può ormai affidargli la custodia della sua Chiesa.
IN FONDO L’UMANITÀ SCHIETTA E ARDENTE DI PIETRO, che come noi, è anche fragile e capace di peccare, È LA PIETRA ANGOLARE SU CUI GESÙ FONDA LA CHIESA: questa nostra Chiesa a cui apparteniamo fruendone VITA E GRAZIA, composta di santi e peccatori.
O meglio: DI PECCATORI CHIAMATI A DIVENTARE SANTI e che, in gran numero, lo sono diventati.
Gesù viene per salvare quella povera pecora che si era smarrita, sul lago di Tiberiade alla fine di un’ennesima notte infruttuosa.
Perciò prende Pietro da parte e lo aiuta a riconciliarsi con sé stesso.
Pietro ammette di voler bene al Signore. Ma non è più disposto a fare grandi proclami e grandi promesse, perché ormai sa che non sarà più in grado di mantenerle.
Troppo il dolore per osare ancora, perché il “galileo pescatore” non ha ancora superato il suo tradimento.
È una ferita che fa sanguinare ancora il suo cuore e non gli permette di gioire della gioia del suo maestro.
Perciò Gesù lo prende da parte e gli chiede di guardare dentro al suo cuore.
Per due volte gli chiede l’amore totalizzante; per due volte Pietro risponde di essere capace a di donargli solo l’amore dell’amico.
ALLA FINE È GESÙ CHE ADATTA LA SUA RICHIESTA.
CHE MERAVIGLIA, FRATELLI E SORELLE!
È SEMPRE DIO CHE CI VIENE INCONTRO.
Pietro è confuso, fa un’ulteriore professione di fede. Sa bene che il Signore lo conosce fino in fondo.
Bene, ora che Pietro ha accolto ed elaborato la propria miseria umana, ora che ha scoperto che questo suo limite, è pronto, perché Dio possa manifestarsi attraverso di lui. Possa farne un suo strumento di Amore.
Amo pensare a un Gesù che sorride dolcemente a Pietro, perché sa che ora Pietro è pronto.
Sa che ha sperimentato il proprio limite, ed ora è capace di accogliere quello degli altri, senza il giudizio e la supponenza che mostrava prima, ma ormai ripieno di quell’umiltà che forgia i santi.
E proprio di questo Pietro ha bisogno il Signore, per guidare in terra la sua Chiesa. Non di un super-credente integerrimo e altezzoso.
Ma di un fratello consapevole della propria miseria umana e del proprio limite, che sappia capire le debolezze degli altri…
È interessante il fatto che prima di conferire a Pietro il primato, Gesù gli pone un interrogativo ripetuto, non a caso, ben tre volte.
E non riguarda l’impegno per essere efficienti o altro. RIGUARDA L’AMORE.
Chiaramente a Gesù importa che la sua Chiesa non sia importante dal punto di vista istituzionale, MA CHE NEI SUOI FIGLI RIVELI UN SERIO IMPEGNO AD AMARE DIO E L’UOMO.
Il che è come dire: CHE SAPPIA RICONOSCERE E AMARE CONCRETA MENTE IL SIGNORE GESÙ CHE INCONTRIAMO IN OGNI UOMO.
Gesù si manifesta ancora sul mare di Tiberiade, come salvatore dell’umanità di Pietro.
Un’umanità che rischiava d’essere schiantata dal triplice rinnegamento, di essere frustrata e sfiduciata per il resto della sua vita.
Gesù, invece, la riprende, la risveglia, la ricostruisce.
Con l’ultima parola, (seguimi), che riconferma quella rivoltagli la prima volta, Gesù ha riedificato la vocazione di Pietro sulla sua natura più profonda, quella in cui l’anima ed il tocco dello Spirito Creatore si fondono in uno.
MA ATTENZIONE!
Questa domanda “…Simone di Giovanni, mi ami tu?”, non è rivolta solo a Pietro, ma a tutti noi…è come se dicesse “…Pino, Paolo, Carla, Andrea, Anna…. mi ami tu?”
Una domanda alla quale tutti noi credo risponderemmo “Signore, mio, Tu sai che ti amo ma il mio amore è fragile, imperfetto, e tu lo sai”.
Ma Lui ci risponderà con la stessa risposta che ha dato a Pietro “…Abbi cura del mio gregge!”
Tutti noi possiamo e dobbiamo concorrere, per quel che possiamo, ad aver cura delle altre persone.
Ma possiamo farlo soltanto se amiamo il Signore. Soltanto se ci nutriamo dell’amore di Cristo e corrispondiamo al suo amore, questo legame nutrirà anche l’amore e la cura che avremo per gli altri.
No, questa chiamata non è soltanto la vocazione specifica per noi pastori.
Gesù non lo dice soltanto a tutti noi pastori di aver cura degli altri, di conoscere, cercare, raccogliere e difendere i più deboli.
Il Signore questa chiamata la rivolge a tutti e tutte noi, suoi discepoli e discepole.
Perché TUTTI ABBIAMO RICEVUTO UN SACERDOZIO BATTESIMALE, CHE SIAMO CHIAMATI AD ESERCITARE.
Da pecore che eravamo perdute, che sono state ritrovate, abbiamo l’obbligo anche noi tutti essere pastori gli uni delle altre.
Adulti di ragazzi, giovani di altri giovani, anziani di bambini e giovani di anziani, amici di amici, attraversando ogni barriera, ogni pregiudizio, ogni distanza.
Ognuno di noi è chiamato a diventare pastore di qualcun altro, per il frutto di un’alchimia che solo Dio può creare.
Ed è SOLO E SOLTANTO L’AMORE DI CRISTO A FONDAMENTO DELLA NOSTRA AZIONE DEL “PASCERE”.
L’amore di Cristo e l’amore per Cristo.
Senza amore per Cristo non c’è amore per quel gregge che Cristo ha amato fino alla fine.
E NON ABBIATE TIMORE! QUESTO AMORE, SE RIUSCIAMO A TESTIMONIARLO, NON FINISCE!
PERCHÉ IL NOSTRO AMORE È NUTRITO ED È OGNI GIORNO DAL NOSTRO RAPPORTO CON CRISTO.
Ed è un amore che è fonte inesauribile di perdono incondizionato.
Questo è il circolo d’amore in cui Cristo ci inserisce “…che siano tutti uno, e come tu o Padre sei in me e io in Te, anche essi siano in noi affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni, al capitolo 17, 21).
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!