02 maggio 2024 GIOVEDI’ – SANT’ATANASIO – GIOVANNI 15,9-11 ”Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 15,9-11

+ In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Sant’Atanasio, Vescovo, Padre e dottore della Chiesa (295 373), fu Vescovo di Alessandria d’Egitto, fu l’indomito assertore della fede nella divinità di Cristo, negata dagli Ariani e proclamata dal Concilio di Nicea (325). Per questo soffrì persecuzioni ed esili. Narrò la vita di Sant’Antonio abate e divulgò anche in Occidente l’ideale monastico.

Visse in una epoca di grande crisi dell’ortodossia, cioè della Dottrina autentica, in um momento in cui la Verità cattolica rischiava di scomparire. Celebre è la frase di san Girolamo che descriveva quei tempi: «E il mondo, sgomento, si ritrovò ariano».

In tale contesto, sant’Atanasio non si piegò. Nel 325 presenziò al celebre Concilio di Nicea, in qualità di diacono di Alessandro, ch’era vescovo di Alessandria, dove venne solennemente proclamata la Fede nella Divinità di Cristo in quanto consubstanziale al Padre: homoousius, che vuol dire “della stessa sostanza”.

Fu vescovo per ben 46 anni, durissimi, di lotta contro l’eresia ariana e contro gli ariani.

Sant’Ilario di Poitiers (315-367) racconta che gli ariani ebbero sempre la scaltrezza di rifiutare ogni scontro dogmatico in merito alla questione della natura di Gesù, perché sapevano che le loro tesi non si fondavano sulla Tradizione né sul Magistero definito.

Ma usavano la calunnia, e il povero sant’Atanasio fu accusato delle più grandi nefandezze: di aver imbrogliato, di aver violentato una donna, di aver ucciso, di minare all’unicità della Chiesa. Una tecnica che mai passa di moda, perchè il demonio è sempre lo stesso e ha sempre la stessa monotona fantasia.
Gli ariani propagandarono la necessità di sostituire il termine stabilito dal Concilio di Nicea, homoousion, con il termine homoiousion. Differenza minimale, ma che cambiava tutto:

  • il primo termine (homoousion) significa “della stessa sostanza”,
  • il secondo termine (homoiousion) significa “simile in essenza”.

Atanasio resistette come un leone e subì l’esilio cinque volte. E – come si suol dire – non era tipo che la mandasse a dire né che parlasse alle spalle. Si sentiva il dovere di difendere le anime per cui non lesinò un linguaggio polemico per mostrare a tutti quanto fossero in errore

Nel 335 a Tiro, in Palestina, fu convocato un sinodo per dirimere la controversia e dunque per decidere quale atteggiamento avere nei confronti di ciò che affermava sant’Atanasio.

Il concilio definì il Vescovo di Alessandria con questi termini: “arrogante”, “superbo” e “uomo che vuole la discordia”.

Intanto anche il potere politico si accaniva contro di lui e l’imperatore Costanzo l’odiava.

Fu convocato un concilio ad Arles e qui si costrinsero i vescovi a sottoscrivere la condanna di sant’Atanasio.

Chi si opponeva difendendolo veniva mandato in esilio, fu il caso di Paolino di Treviri. Stessa sorte toccò anche al papa legittimo Liberio (?-366), che venne sostituito da un antipapa, Felice.

Altri concili segnarono il trionfo dell’eresia: quelli non ecumenici di Rimini e di Seleucia, siamo nel 359.

Ma era prevedibile che per come era stato trattato sant’Atanasio e soprattutto per come era stata rinnegata la vera Fede, il castigo fosse alle porte.

All’imperatore Costanzo, morto nel 360, successe Giuliano detto “l’apostata” (330-363), che arrivò a ripudiare il Battesimo cercando di restaurare il paganesimo.

Non passò molto tempo e il nuovo imperatore Valente, così come il nuovo papa Damaso, capirono che sant’Atanasio aveva ragione e lo riabilitarono. L’intrepido difensore della Fede cattolica morì il 2 maggio del 373.

È significativo che colui che combatté da solo contro l’eresia ariana, non fu mai un teologo.

Atanasio però sapeva quanto qui stesse l’insidia del demonio.

Nella sua celebre Vita di Antonio egli riporta un insegnamento del suo grande maestro: «[…] i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Spesso fingono di cantare i salmi senza farsi vedere e citano le parole della Scrittura. […]. A volte assumono sembianze di monaci, fingono di parlare come uomini di fede per trarci in inganno mediante un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni».

Egli meritò a buon diritto il titolo di “grande” per l’indomabile fermezza di carattere dimostrata contro gli ariani e la potenza imperiale, sovente ad essi eccessivamente ligia.

A ragione fu detto che in lui, “padre dell’ortodossia“, combatteva tutta la Chiesa.

Della produzione letteraria di Atanasio non esiste ancora un’edizione critica.

Nelle sue opere si nota limpidezza e acutezza di pensiero, ma la materia trattata manca di ordine ed è resa pesante dalle frequenti ripetizioni e dalla prolissità.

Ma veniamo al testo evangelico odierno, che presenta in modo realistico le difficoltà dei testimoni della fede: per questo lo si legge nella festa di sant’Atanasio

E questo brano è composto solo da tre versetti, che continuano il vangelo di ieri e rivelano come applicare il paragone della vite, alla vita delle comunità, che viene paragonata alla vite, che subisce, se necessario, anche delle potature, per produrre più frutto.

Gesù rimane nell’amore del Padre, osservando i comandamenti che da lui riceve.

Noi rimaniamo nell’amore di Gesù osservando i comandamenti che lui ci ha lasciato.

E dobbiamo osservarli nella stessa misura in cui lui ha osservato i comandamenti del Padre “…se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore“.

E’ in questa unione dell’amore del Padre e di Gesù che si trova la fonte della vera gioia “…questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena“.

E’ difficile credere che Gesù abbia vinto il mondo quando si subiscono persecuzioni.

Ma non ci può essere vittoria, senza lotta, senza essere passati attraverso la passione e la morte del Signore.

E solo se fermamente crediamo nel mistero di una morte sfociata nella risurrezione, comprendiamo che un cristiano non può meravigliarsi di essere, come Gesù, perseguitato, perché solo a queste condizioni potrà giungere gloria della risurrezione.

E ci giungeremo solo se, di fronte a qualsiasi avversità, avremo continuato a credere, che Dio ci ama, e ci prova per un maggiore bene.

Ne discende che solo se restiamo nella luce dello sconfinato amore di Dio possiamo nutrirci e crescere e vivere, perché al di fuori di esso esiste solo la tenebra.

E per restarci dobbiamo ascoltare SEMPRE la sua Parola, rendendo concreto questo amore osservando i Comandamenti, che si riassumono in una sola attività da porre in essere: amare i nostri fratelli con quell’amore con cui il Cristo ci ha amati.

Solo quando avremo realizzato ciò, ovvero tutte le volte che questo comandamento diventerà realtà attraverso forme nuove, inedite, di servizio, di collaborazione, di condivisione, di generosità, avremo “fatto la volontà di Dio”.

Dio vuole questo, perché Egli ama il mondo, dice il Papa Benedetto XVI, nella sua enciclica Deus Caritas Est, perché l’ha fatto LUI:

«…Egli stesso è l’autore dell’intera realtà; essa proviene dalla potenza della sua Parola creatrice. Ciò significa che questa sua creatura gli è cara, perché appunto da Lui stesso è stata voluta, da Lui fatta».

Quindi Dio ama il mondo, e in esso l’uomo, come una madre ama il figlio che ha generato, portato in grembo, nutrito e partorito. Per questa ragione l’uomo può sentire su di sé un vero amore personale, particolare, da parte del suo Signore.

Dice ancora il Papa Benedetto XVI:

«L’uomo, vivendo nella fedeltà all’unico Dio, sperimenta se stesso come colui che è amato da Dio e scopre la gioia nella verità, nella giustizia, la gioia in Dio che diventa la sua essenziale felicità: Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra… Il mio bene è stare vicino a Dio».

Ecco allora cosa viene richiesto ai credenti: DI RIMANERE NELL’AMORE RICEVUTO DAL PADRE E DAL FIGLIO.

Per far questo, anche i discepoli devono amare.

È quella che è stata chiamata la “catena d’amore”, interamente giovannea «L’amore può sussistere solo se produce altro amore. Il Padre ama Gesù; Gesù ama i discepoli; essi devono amarsi l’un l’altro».

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!