02.03.2022 – MERCOLEDI’ DELLE CENERI – MATTEO 6,1-6.16-18 “Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo MATTEO 6,1-6.16-18

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Inizia oggi il periodo di quaresima: quaranta giorni in cui siamo invitati a ripensare la nostra vita di fede, a verificare la nostra adesione a Cristo, per andare all’essenziale.

E lo facciamo con l’austero segno dell’imposizione delle ceneri, in questo “mercoledì delle Ceneri”, la cui liturgia è marcata storicamente dall’inizio della penitenza pubblica, che aveva luogo in questo giorno, e dall’intensificazione dell’istruzione dei catecumeni, che dovevano essere battezzati durante la Veglia pasquale, apre ora il tempo salutare della Quaresima.

Al centro di questa giornata, infatti, c’è il rito della imposizione delle ceneri che, normalmente, omettendo l’atto penitenziale iniziale della santa messa, viene svolto subito dopo l’omelia del sacerdote, e che ha una delle seguenti bellissime preghiere di benedizione delle ceneri e delle persone:

  • “O Dio, che hai pietà di chi si pente e doni la tua pace a chi si converte, accogli con paterna bontà la preghiera del tuo popolo e benedici questi tuoi figli, che riceveranno l’austero simbolo delle ceneri, perché, attraverso l’itinerario spirituale della Quaresima, giungano completamente rinnovati a celebrare la Pasqua del tuo Figlio, il Cristo nostro Signore. Egli vive e regna nei secoli dei secoli”.
  • “O Dio, che non vuoi la morte ma la conversione dei peccatori, ascolta benigno la nostra preghiera: benedici queste ceneri, che stiamo per imporre al nostro capo, riconoscendo che il prezioso corpo tornerà in polvere; l’esercizio della penitenza quaresimale ci ottenga il perdono dei peccati e una vita rinnovata a immagine del Signore risorto. Egli vive e regna nei secoli dei secoli”.

Omelia che è d’obbligo in questa giornata di digiuno e di penitenza per ogni cristiano, sinceramente incamminato, in un mondo sul quale si agita lo spettro della terza guerra mondiale, verso la Pasqua 2022, e la Pasqua eterna, quella che più conta davanti a Dio.

Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle nostre teste, al quale noi ci sottomettiamo umilmente in risposta alla parola di Dio.

Questo rito “delle Ceneri” nell’Antico Testamento è allusivo all’aspetto della nostra fragile precarietà.

Infatti, davanti a Dio, siamo effettivamente “polvere” e “cenere”:

  • Abramo mentre intercede presso Dio a favore della città Sodoma afferma “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere.”(Gen 18,27),
  • come pure Giobbe nella sua agonia e il re di Ninive, come atto di pentimento verso Dio per la minaccia dell’imminente catastrofe della sua città, veste di sacco e siede sopra le ceneri (Gn 3,5-9).

Vestire di sacco e cospargersi il capo di cenere è prassi comune nella Bibbia, che esprime pentimento e volontà di riconquistare la riconciliazione con Dio.

In questa simbologia vi è il riconoscimento della debolezza personale del singolo uomo e allo stesso tempo il segno esteriore del pentimento, la volontà di emendarsi e di cambiare vita per essere graditi al Signore.

E il cristiano ha subito adottato questi segni in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima.

Ma anche per ricordarci che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà inevitabilmente ad essere tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito.

Ma un segno davvero potente, che ci fa ricordare che, fra cento anni, di noi non ci sarà più nulla. Nemmeno il ricordo.

  • “Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem revertèris”, ovvero Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai” (Gen.3,19). Sono le Parole che Dio, dopo il peccato originale, scaccia Adamo dal giardino dell’Eden condannandolo alla fatica del lavoro e alla morte “Con il sudore della fronte mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”

Vale la pena, allora, affannarsi così tanto intorno a cose che non servono?

È per questo che il “mercoledì delle Ceneri”, così come tutto il resto della Quaresima, non ha senso in sé stesso, MA CI RIPORTA ALL’EVENTO DELLA RISURREZIONE DI GESÙ, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo.

Quaranta giorni per prepararci ancora una volta allo stupore della Pasqua, e per ritrovare il bandolo della matassa di una vita troppo spesso travolta dalle cose da fare, delle preoccupazioni infinite che la crisi economica sembra amplificare all’infinito…

Quaranta giorni per costruire o ricostruire una diga contro la “dittaturadelle cose da fare, dell’efficienza a tutti i costi e della produttività.

Oppure quaranta giorni da vivere con gioia interiore, andando all’essenziale, per vivificarci, non per mortificarci, per ridare ossigeno alla fiamma della nostra povera Fede, che sembra continuamente spegnersi.

Riprendiamo in mano la nostra vita e ringraziamo il Signore perché ci concede un’altra opportunità per mettere ordine nelle nostre vite così spesso travolte da quella quotidianità che ci riempie ogni spazio, ogni possibilità di condurre le nostre esistenze là dove avremmo voluto.

Un tempo che ci diamo finché l’anima riesca a raggiungerci.

Il Signore stesso, artefice della nostra riconciliazione con Dio, ci sprona a corrispondere al disegno di salvezza che Dio ha per noi, attraverso un costante pellegrinaggio le cui tappe procedono dal pentimento franco e spontaneo alla conversione radicale e ci portano all’acquisto della comunione con il nostro Dio.

Storicamente il tutto ha avuto una evoluzione.

L’antichità dell’istituzione della Quaresima ci è attestata da san Girolamo, da san Leone Magno, da san Cirillo d’Alessandria, da san Isidoro di Siviglia, e da molti altri.

Quelli che appartengono, come me, alla generazione nata prima del Concilio, ricordano come i fedeli si accostavano all’altare per ricevere, sul capo, un pugno di cenere benedetta, mentre il sacerdote pronunciava una frase solenne IN LATINO, tale da far tremare le vene e i polsi, cosa che ne accresceva la solennità e ne amplificava il mistero. Una frase della quale ho già accennato il senso e l’origine:

  • «Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem revertèris»: Ricordati, o uomo, che sei polvere, e che in polvere ritornerai.

Io avevo all’incirca sei anni, prima della fine del concilio. Da tempo facevo il chierichetto, in quella piccola Chiesa Parrocchiale di San Filippo e Giacomo a Palidoro, che a me sembrava una Cattedrale e mi turbava la grandiosa serietà di questa celebrazione, la sua austera e veritiera pedagogia.

Ma anche la bellezza e l’autorevolezza della lingua latina aveva, in ciò, la sua parte: perché la liturgia è un insieme di simboli, e i simboli valgono per ciò cui alludono, non per ciò che sono in sé stessi.

A distanza di oltre mezzo secolo, noi cattolici dell’ultima fase pre-conciliare abbiamo conservato qualche seppur debole riflesso della grande e affascinante concezione cristiana medievale, secondo la quale:

  • tutto è segno della presenza di Dio, a cominciare dagli oggetti della natura;
  • per intendere rettamente lo spettacolo del mondo, non ci si deve fermare alla superficie, alle cose quali ci si presentano materialmente, ma bisogna domandarsi a che cosa alludano, e di cosa siano la manifestazione.

Noi, fila dei credenti eravamo lì, raccolti ai piedi del presbiterio.

Io, piccolissimo, nella mia veste fiera da chierichetto, tenevo il vassoio della cenere a quel vecchio, caro, compianto, coltissimo Monsignor Parroco Francesco Zulli, che, più che mai solenne nei suoi paramenti sacri di colore viola, spargeva la cenere sulla testa dei giovani e dei vecchi, dei ricchi e dei poveri, dei sani e dei malati, dei felici e degl’infelici, e a ciascuno, solennemente, con necessaria franchezza quasi brutale, ripeteva, quelle parole che a me facevano tanta paura, e che non ho mai dimenticatoMemento, homo, quia pulvis es, et in pulverem revertèris”.

E ciascuno, dopo aver ricevuto, sul capo, quella manciata di cenere, se ne tornava al proprio posto, e s’inginocchiava sul banco, a pregare e a riflettere, sul fatto che la vita è breve, è solo una manciata di giorni, di mesi, di anni.

Proprio come quella manciata di cenere che il ministro di Dio aveva lasciato sulle nostre povere teste.

Tutti veniamo dalla terra, nudi, e alla terra torneremo, altrettanto nudi; delle cose che bramiamo così ardentemente, e per le quali tanto ci affatichiamo, nemmeno una potremo portarla oltre i cancelli della morte, davanti a Dio giudice.

Che sarà un giudice misericordioso, certo, perché Dio è misericordia. Ma prima ancora sarà anche giudice giusto, e quindi severo, che non fa sconti dell’ultima ora, che non salva chi non ha voluto essere salvato, e non perdona a chi non ha voluto essere perdonato, né ha saputo, a sua volta, perdonare.

Tutto, parole, segni, gesti, rito, era una pedagogia del realismo: L’UOMO È CREATURA, E DEVE SEMPRE RICORDARSENE; SE LO DIMENTICA, SE CREDE DI POTER GIOCARE AD ESSERE DIO, VA INCONTRO ALLA ROVINA MATERIALE E ALLA PERDIZIONE DELL’ANIMA.

Poi è arrivato il Concilio Vaticano II, e anche questa formula, come tante altre ottime cose, è stata relegata in soffitta.

E OGGI, CHE SONO ORMAI UN VECCHIO DIACONO PERMANENTE, PIENO DI ACCIACCHI E DI NOSTALGIA, tengo ancora in mano quel vassoio con le ceneri, che porgo ancora al sacerdote, il quale però, pronuncia una frase IN LINGUA ITALIANA, dal tono e dal significato assai diversi «…Paenitemini, et credite Evangelio»: Convertitevi, e credete al Vangelo.

Queste parole sono tratte dal Vangelo di Marco (1,15), e si riferiscono all’inizio della vita pubblica di Gesù Cristo, con l’annuncio del suo messaggio di salvezza «Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo».

Sono parole molto belle, senza dubbio: solenni, carche di significato, perfino conturbanti; parole che scuoterebbero anche l’anima più indurita nel vizio, anche il cuore più sprofondato nell’indifferenza.

Ma la mia vecchiaia corre là, al mio antico Parroco, che mi raccontava, ogni volta, con fierezza, di esser stato cappellano militare a cavallo durante la seconda Guerra Mondiale, in Albania, e ora abitante delle mie preghiere E ALLE SEVERE PAROLE CHE UN TEMPO PRONUNZIAVA, CHE RICHIAMAVANO L’UOMO, IN MANIERA ESPLICITA, QUASI RUDE, ALLA SUA NATURA MORTALE, ALLA SUA CONDIZIONE CREATURALE.

E vorrei chiudere regalandovi le parole di un grande santo. Sant’Alfonso Maria de Liguori nel suo “Apparecchio alla morte”, per “ben morire”, che ci invitano a riflettere:

“E quel gentiluomo conosciuto come persona divertente e anima della compagnia, ora dov’è?

Se entrate nella sua stanza, ora non c’è più; se cercate il suo letto, è stato occupato da un altro, le sue vesti, le sue armi, altri se le sono già prese e divise; se volete vederlo affacciatevi a quella fossa, dove si è trasformato in sozzura, in ossa prive di carne E COSÌ SARÀ ANCHE PER TE, E IN QUELLA STANZA NELLA QUALE TU AVRAI ESALATO L’ULTIMO RESPIRO E SARAI STATO GIUDICATO DA GESÙ CRISTO, si ballerà, si mangerà, si giocherà e si riderà come prima, e l’anima tua allora, dove sarà?

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!