02.02.2024 VENERDI’ PRESENTAZIONE DEL SIGNORE – LUCA 2,22-40 “I miei occhi hanno visto la tua salvezza”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo LUCA 2,22-40

+ Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

La scena della Presentazione di Gesù al Tempio interessa tutte le generazioni e tutto esprime la grandezza del messaggio portato dal Figlio di Dio in mezzo agli uomini.

Un gesto storico che trascende la storia e illumina il cuore del tempo degli uomini.

In questo frammento di Vangelo, insomma, scorgiamo le vette verso cui è chiamato ogni battezzato e comprendiamo il vero senso della santità cristiana: saper condurre e offrire a Dio il mondo.

E, proprio come fu per la Presentazione del Signore, anche la via della santità è fatta d’impegno, di ossequio alla tradizione ma anche di novità, di stravolgimento radicale dell’esistenza.

Vivere così significa esprimere la trascendenza e quindi diventare testimoni in grado di affascinare e “convertire”: perché il Vangelo non è solo “mito” è eroicità vissuta nel quotidiano.

Di questa festa abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV, a Gerusalemme, venne denominata fino alla recente riforma del calendario “festa della Purificazione della SS. Vergine Maria”, in ricordo del momento della storia della sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in ottemperanza alla legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione.

La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di “presentazione del Signore”, che aveva in origine.

L’offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua offerta sacrificale sulla croce.

Questo atto di obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce pure una lezione di umiltà, a coronamento dell’annuale meditazione sul grande mistero natalizio, in cui il Figlio di Dio e la sua divina Madre ci si presentano nella commovente ma mortificante cornice del presepio, vale a dire nell’estrema povertà dei baraccati, nella precaria esistenza degli sfollati e dei perseguitati, quindi degli esuli.

L’incontro del Signore con Simeone e Anna nel Tempio accentua l’aspetto sacrificale della celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua sofferenza: “Una spada ti trafiggerà l’anima”: Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio.

Non stupisce quindi che alla festa odierna si sia dato un tempo tale risalto da indurre l’imperatore Giustiniano a decretare il 2 febbraio giorno festivo in tutto l’impero d’Oriente.

Roma adottò la festività verso la metà del VII secolo; papa Sergio I (687-701) istituì la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di S. Adriano al Foro e si concludeva a S. Maria Maggiore.

IL RITO DELLA BENEDIZIONE DELLE CANDELE, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: “I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti”.

Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della “candelora”.

La candela, dunque la luce, che viene consegnata nelle nostre mani ci unisce non solo a Maria e Giuseppe che salgono al tempio, ma anche a Simeone e Anna che accolgono il bambino che è la «luce che illumina le genti».

Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Mater” ci ricorda che “quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore” (n. 16).

Ma veniamo al testo evangelico odierno.

In questa domenica dedicata alla Santa Famiglia la Chiesa ci presenta un brano di vangelo che fa parte dei vangeli dell’infanzia redatti da Luca.

Questa presentazione al tempio assume un significato teologico: il Signore entra nel suo tempio, lo purifica con la sua presenza.

L’episodio, raccontato solo dall’ evangelista Luca, narra che Maria e Giuseppe, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, lo portarono al tempio di Gerusalemme, per compiere un rito che era prescritto dalla Legge.

Di quale rito si trattava?

Secondo la legge di Mosè (Lv 12,1-8) la donna che aveva partorito un figlio veniva considerata impura per 7 giorni e poi doveva attendere confinata in casa per altri 33 giorni (in caso di una figlia femmina il periodo saliva ad 80 giorni complessivi).

Al termine di questo periodo doveva presentarsi al tempio e offrire un agnello in olocausto e un piccione o una tortora in sacrificio di espiazione. Se non si poteva permettere l’agnello, erano sufficienti due piccioni o due tortore.

La purificazione riguardava solo la madre, ma Luca parla della “loro purificazione”, indicando così anche Giuseppe.

Per quale motivo? Forse Luca –che NON ERA EBREO, ma era un colto medico SIRIANO (nato ad Antiochia di Siria)– seguiva una convinzione di tipo greco secondo la quale l’impurità riguardasse la madre, il figlio e anche tutti coloro che avevano assistito al parto. Ma è anche probabile che Luca, non conoscesse molto bene le usanze ebraiche e si limitasse a ricordarle in modo generale.

Di fatto l’accento viene spostato sulla presentazione del bambino al Signore, altro rituale che accompagnava la nascita degli israeliti.

Gli israeliti consideravano ogni figlio primogenito, COME PROPRIETÀ DEL SIGNORE, che aveva risparmiato i primogeniti degli ebrei dalla morte la notte dell’esodo dall’ Egitto.

Per questo lo portavano al tempio, come gesto di riconoscimento di questa proprietà, e lo riscattavano con un’offerta proporzionata alle possibilità economiche di ogni famiglia.

Gesù era il primogenito e Maria e Giuseppe, cittadini ubbidienti, fedeli alla legge mosaica, compirono coscienziosamente il loro dovere compiendo i riti prescritti, e riscattarono Gesù con l’offerta dei poveri, cioè «offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la legge del Signore».

I ricchi, invece, usavano un olocausto di bestiame grasso.

È da notare che Gesù appare come un bambino qualunque, tanto che, nella lettera agli Ebrei è scritto che «…doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (II Lettura).

Gesù, dunque, assume in pieno la condizione umana nascendo in una famiglia all’ apparenza simile alle altre. San Paolo, nella lettera ai Galati scrive «…Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4, 4).

Ma di fatto Gesù con il suo ingresso nel tempio viene a dare compimento alle parole del profeta Malachia «…entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate».

L’evangelista oltre alla santa Famiglia menziona due vegliardi: SIMEONE E ANNA.

Di Simeone dice che è «uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele»; di Anna, invece, dice che era una «profetessa, vedova e aveva ottantaquattro anni».

Essi attendevano il Signore e «…mossi dallo Spirito», vanno al tempio, e solo loro, riconoscono in quel bambino IL SALVATORE, gioendo.

Simeone ha raggiunto lo scopo della sua vita ef ora può addormentarsi in pace. Accogliendo il bambino tra le braccia, e benedicendo Dio, dice «…ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».

IN SIMEONE E ANNA SONO RAPPRESENTATI TUTTI I GIUSTI D’ISRAELE, CHE SI INCONTRANO COL SIGNORE. LA LORO ATTESA È COMPIUTA E LA LORO PREGHIERA ESAUDITA.

Simeone e Anna sono un modello per vivere da anziani. È sempre più facile nella nostra società scorgere uomini e donne, avanti negli anni, che ormai pensano con tristezza e rassegnazione al proprio futuro; e l’unica consolazione, quando è possibile, è il rimpianto della giovinezza passata.

Il vangelo di oggi sembra dire che quello della vecchiaia non è un tempo da subire tristemente ma da vivere con speranza.

L’evangelista, inoltre, annota dicendo che Simeone annuncia a Maria «…anche a te una spada trafiggerà l’anima». Maria viene così associata al mistero doloroso: anche lei ha sofferto, in silenzio, ai piedi della croce, tanto è vero che la chiesa la invoca come Vergine Addolorata.

Da questa festa ne scaturisce una considerazione: LA LUCE DI QUESTE CANDELE DEVE FARCI IMPEGNARE A DIVENTARE LUCE, CIOÈ ESSERE PORTATORI DELLA LUCE DI DIO, NELLA NOSTRA VITA.

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!