01 maggio 2024 MERCOLEDI’ SAN GIUSEPPE LAVORATORE – MATTEO 13,54-58 “Non è costui il figlio del falegname?”

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo MATTEO 13,54-58

+ In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Nel Vangelo Gesù è chiamato ‘il figlio del carpentiere’.

In modo eminente in questa memoria di san Giuseppe si riconosce la dignità del lavoro umano, come dovere e perfezionamento dell’uomo, esercizio benefico del suo dominio sul creato, servizio della comunità, prolungamento dell’opera del Creatore, contributo al piano della salvezza (Conc. Vat. II, ‘Gaudium et spes”, 34). Pio XII (1955) istituì questa memoria liturgica nel contesto della festa dei lavoratori, universalmente celebrata il 1° maggio.

Forse non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, nel salire al soglio pontificio, aveva accarezzato l’idea di farsi chiamare Giuseppe, tanta era la devozione che lo legava al santo falegname di Nàzareth.

Nessun pontefice aveva mai scelto questo nome, che in verità non appartiene alla tradizione della Chiesa, ma il “papa buono” si sarebbe fatto chiamare volentieri Giuseppe I, se fosse stato possibile, proprio in virtù della profonda venerazione che nutriva per questo grande Santo; grande, ma ancor oggi piuttosto sconosciuto.

Il nascondimento, nel corso della sua intera vita come dopo la sua morte, sembra quasi essere la “cifra”, il segno distintivo di san Giuseppe.

E questo suo “starsene celato ed emergere solo pian piano con il tempo sembra far parte dello straordinario ruolo che gli è stato attribuito nella storia della salvezza”.

Il Nuovo Testamento non attribuisce a san Giuseppe neppure una parola.

Quando comincia la vita pubblica di Gesù, egli è probabilmente già scomparso (alle nozze di Cana, infatti, non è menzionato), e noi non sappiamo né dove nè quando sia morto; non conosciamo la sua tomba, mentre ci è nota quella di Abramo che è più vecchia di secoli.

Il Vangelo gli conferisce l’appellativo di Giusto (applicato, nella Bibbia solo a chi ama lo spirito e la lettera della Legge, riconoscendoli come espressione della volontà di Dio.

Di Giuseppe sappiamo che discende dalla casa di David, che era un artigiano e che lavorava il legno.

Non era affatto vecchio, come la tradizione agiografica e certa iconografia ce lo presentano, quando prese in sposa la Vergine di Nàzareth, per fare da padre putativo al Figlio di Dio.

Ma era un uomo nel fiore degli anni, dal cuore generoso e ricco di fede, indubbiamente innamorato di Maria, con la quale si fidanzò, secondo gli usi e i costumi del suo tempo.

Il fidanzamento per gli ebrei equivaleva al matrimonio, durava un anno e non dava luogo a coabitazione né a vita coniugale tra i due; alla fine si teneva la festa durante la quale s’introduceva la fidanzata in casa del fidanzato ed iniziava così la vita coniugale.

Se nel frattempo veniva concepito un figlio, lo sposo copriva del suo nome il neonato; se la sposa era ritenuta colpevole di infedeltà poteva essere denunciata al tribunale locale, con una procedura a dir poco infamante: la morte all’adultera era comminata mediante la lapidazione.

Nel Vangelo di Matteo leggiamo che “Maria, essendo promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo, prima di essere venuti ad abitare insieme. Giuseppe, suo sposo, che era un uomo giusto e non voleva esporla all’infamia, pensò di rimandarla in segreto”(Mt 18-19). Mentre era ancora incerto sul da farsi, ecco l’Angelo del Signore a rassicurarlo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21).

Giuseppe poteva, o non, accettare il progetto di Dio, perché, in ogni vocazione che si rispetti, al mistero della chiamata fa sempre da contrappunto l’esercizio della libertà, perché il Signore non interferisce mai sul libero arbitrio.

Ma Giuseppe, per amore di Maria, accetta “…fece come l’Angelo del Signore gli aveva ordinato, e prese sua moglie con sé”(Mt 1, 24) e  disse il suo sì all’opera della Redenzione.

Perciò quando noi guardiamo al sì di Maria dobbiamo pensare ANCHE al sì di Giuseppe, che seppe far vincere l’amore, mostrandosi accogliente verso il mistero dell’Incarnazione del Verbo e divenendo il primo devoto di Maria, a cui si consacrò a lei con tutte le sue forze, divenendo sposo, custode, discepolo, guida e sostegno: tutto di Maria. (…)

La loro fu una convivenza matrimoniale vissuta nella verginità (Mt 1,18-25), ossia un matrimonio verginale, ma un matrimonio vissuto comunque in “…una comunione di vita al di là dell’eros, una sponsalità implicante un amore profondo ma non orientato al sesso e alla generazione” (S. De Fiores).

Se Maria vive di fede, Giuseppe non le è da meno. Se Maria è modello di umiltà, in questa umiltà si specchia anche quella del suo sposo. Maria amava il silenzio, Giuseppe anche: tra loro due esisteva, né poteva essere diversamente, una comunione sponsale che era vera comunione dei cuori, cementata da profonde affinità spirituali.

E, nela coniugalità di Maria e Giuseppe, in cui è adombrata la prima “chiesa domestica” della storia, si manifesta, in immagine, la condizione finale del Regno (Lc 20,34-36 e Mt 22,30), divenendo in questo modo, già sulla terra, prefigurazione della Gerusalemme Celeste, dove Dio sarà tutto in tutti, e dove solo l’eterno esisterà, solo la dimensione verticale dell’esistenza, mentre l’umano sarà trasfigurato e assorbito nel divino.

Qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada. Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare…” ( sosteneva S. Teresa d’Avila. Vedasi il cap. VI dell’Autobiografia).

Difficile dubitarne, se pensiamo che fra tutti i santi l’umile falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo.

Perché di Gesù è stato il padre, sia pure adottivo, di Maria è stato lo sposo.

Giovanni Paolo II ha confessato di pregarlo ogni giorno. Additandolo alla devozione del popolo cristiano, in suo onore nel 1989 scrisse l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, aggiungendo il proprio nome a una lunga lista di devoti suoi predecessori: il beato Pio IX, S. Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI.

Ma veniamo al testo del vangelo che oggi la Liturgia ci regala.

Il passaggio per Nazaret fu doloroso per Gesù. Quella che prima era la sua comunità, ora non lo è più. Qualcosa è cambiato. Dove non c’è fede, Gesù non può fare miracoli.

Comunque predica.. e la gente rimane ammirata, non capisce l’atteggiamento di Gesù “…da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli?

Gesù, che loro conoscevano fin da quando era bambino, come mai ora è così diverso?

La gente di Nàzareth rimane scandalizzata e non lo accetta “…non è forse lui il figlio del falegname?

La gente non accetta il mistero di Dio presente nell’uomo comune come loro conoscevano Gesù.

Per poter parlare di Dio lui doveva essere diverso, ragion per cui, come si vede, non tutto fu positivo.

Le persone che avrebbero dovuto essere le prime ad accettare la Buona Notizia, sono le prime che rifiutano di accettarla.

E il conflitto non è solo con i forestieri, ma anche con i parenti e con la gente di Nàzareth.

Nessuno accetta, perché non riescono a capire il mistero che rivela la persona di Gesù “…sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?

E questa reazione, a proposito della sapienza di Gesù, fa pensare al capitolo del Siracide, che contrappone il lavoro manuale e la legge.

La gente del popolo -operai, contadini- dice il Siracide, mette tutta la sua attenzione nelle cose materiali; lo scriba invece ha pensieri profondi, cerca le cose importanti e può essere consultato per il buon andamento della città.

La gente di Nàzareth si domanda “…da dove mai viene a costui questa sapienza? Non è il figlio del carpentiere?“, che non ha studiato e non può avere cultura?

Ma per chi crede non c’è nessun mistero, perché il Signore lo ha svelato: la sua sapienza, è sapienza divina, ed egli ha insistito varie volte sul mistero di Dio che viene rivelato ai piccoli, ai semplici e nascosto ai sapienti, criticando persino gli scribi “…che dicono e non fanno“.

D’altra parte il Vangelo SI REGGE SULLA PAROLA: è necessario accogliere, nella nostra vita, LA PAROLA DI DIO, perché la nostra vita ha senso solo se ogni nostro atto vitale è ispirato alla parola di Dio: “…tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre“.

“…Tutto quello che fate“, sia i lavori materiali, che i discorsi.

E questo brano ci rivela anche un altro dato essenziale: ciò che facciamo deve essere un servizio umile e sincero, caratterizzato dalla disponibilità nella carità, per essere uniti a Gesù, FIGLIO DEL CARPENTIERE, che non solo ha dichiarato, MA CON LA SUA VITA E LA SUA MORTE, HA DIMOSTRATO, VIVENDOLO, di essere venuto per servire.

La vera dignità consiste nel servizio dei fratelli, secondo le proprie capacità, in unione con Gesù, Figlio di Dio.

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

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Sia Lodato Gesù, il Cristo!